CARTA SETTIMANALE - N. 24 - 20 GIUGNO 2002

Chi tace è ingovernabile: è questa la forza del silenzio

articolo di Luis Hernández Navarro

DI FRONTE ALLA CONFUSIONE e al fracasso del "governo del cambiamento" di Vicente Berlusfox, gli zapatisti hanno deciso, finora, di parlare con la forza del silenzio. Dal primo maggio del 2001, quando resero noto un comunicato che rigettava la riforma indigena approvata dal Congresso [la camera dei deputati messicana, N.d.T.], l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale non si è più rivolto alla società civile nazionale e internazionale. Solo l'assassinio di Digna Ochoa, avvocatessa impegnata sui diritti umani, lo ha indotto a rompere questo voto del silenzio, per esprimere le condoglianze ai suoi familiari e compagni.

Mentre il nuovo governo di centrodestra si logora in modo accelerato senza tener fede alle sue promesse di avviare una riforma dello Stato e i suoi membri litigano in pubblico, il presidente si scontra con il parlamento, e i partiti politici avvicendano i loro gruppi dirigenti, i ribelli costruiscono dal basso il potere popolare, scelgono le loro autorità locali autonome in forma diretta e avviano programmi sulla salute, l'educazione, l'agroecologia.

Il silenzio zapatista non è nuovo, come tattica politica. Tanto meno è un fatto estraneo alla cultura di resistenza dei popoli indigeni. Spesso gli indios di questo paese tacciono davanti a funzionari prepotenti e autoritari, e fingono di non capire le loro parole per farli sentire nel cielo della incomunicabilità o per evitare di assumere impegni sfavorevoli. l'EZLN è cresciuto come forza politico-militare delle comunità indigene chiapaneche durante più di dieci anni, facendo del silenzio verso l'esterno un elemento centrale della sua azione. Non pronunciarono parola alcuna durante le elezioni federali del 1997 e del 2000. Hanno taciuto dopo l'offensiva militare del governo di Ernesto Zedillo all'inizio del 1998.

Il silenzio degli zapatisti si è trasformato in uno specchio nel quale i diversi attori politici vedono riflessa la propria immagine e i propri desideri. Il silenzio ha sostituito temporaneamente il passamontagna e il "paliacate" [il fazzoletto tradizionale degli indigeni, N.d.T.]. Paradossalmente, colui la cui voce non si sente ha permesso che i ricorsi per incostituzionalità contro la riforma indigena, presentati da più di trecento municipi, potessero essere ascoltati dall'opinione pubblica nazionale. Lo stesso è accaduto con una moltitudine di lotte di resistenza che sono nate in lungo e in largo per il paese. È come se l'assenza di parole dei comandanti ribelli avesse stimolato la maturazione e la ricollocazione politica degli altri attori sociali.

Questo silenzio non ha implicato, però, che le comunità che si sono ribellate abbiano smesso di parlare. Una dopo l'altra, hanno documentato le aggressioni di cui sono state oggetto e hanno riaffermato la loro disposizione a resistere pacificamente. Le loro prese di posizione pubbliche mostrano l'esistenza di un coordinamento interno. Le autorità dei municipi autonomi hanno reso note regolarmente dichiarazioni pubbliche in cui danno conto delle aggressioni da parte dell'esercito federale e dei paramilitari. Però l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale non ha detto, per il momento, nulla; ciò non vuol dire che non abbia fatto nulla.

Al contrario, le sue linee di azione in questa congiuntura sono chiare: avanzare nella costruzione dell'autonomia di fatto in un ampio territorio, rafforzare la formazione di un largo movimento contro il neoliberismo sul terreno internazionale, e aiutare la formazione di una forza indigena nuova e indipendente dentro il paese. Lo specchio nel quale si riflette il governo è [non ci voleva molto] assai poco immaginativo. Tra le sue fila c'è nervosismo. Si è reso conto del fatto che l'aver sconfitto il Pri [il partito-regime rimasto al potere per settant'anni, fino all'elezione di Fox] non ha lasciato senza bandiere né ragioni l'EZLN, e non sa cosa fare per sottrargli legittimità. Non ha potuto rimpicciolire gli insorti. E teme il momento della loro riapparizione pubblica.

Di quando in quando, il governo ha messo in discussione il silenzio zapatista e questa interrogazione si è rivoltata contro di lui: ha messo in evidenza che il potere manca di un discorso proprio, che non ha una strategia di pace nella regione, che quel che spera è che il tempo passi. Con ciò, si è collocato da solo nel peggiore dei mondi possibili: senza legittimazione a fare la guerra e senza credibilità per raggiungere la pace. Il discredito governativo è stato prodotto tanto dalle incongruenze interne nell'applicazione della sua strategia e della sua mancanza di unità di comando, quanto dallo scontro tra questa e le comunità che resistono pacificamente e ampi settori della società civile nazionale e internazionale. Il silenzio zapatista ha aumentato i costi della strategia ufficiale. Rendendosi invisibile, la comandancia dell'EZLN ha messo in evidenza la vera natura dell'offensiva governativa: la demagogia come politica di Stato, la guerra occulta contro i popoli indigeni incartata dentro le offerte di pace.

Ironicamente, il silenzio della comandancia si sente con la stessa forza della sua parola di ieri.

Lungi dall'aver perso spazio nella vita politica nazionale, lo zapatismo si mantiene, senza pubblicare una sola frase, nel centro della tormenta.

"Chi resta in silenzio è ingovernabile", dice Ivan Illich.

Il silenzio zapatista risuona forte.

È un grave errore sottovalutarlo.


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