LA JORNADA - Domenica 20 gennaio 2002

A Francisco Gomez affermano che vogliono solo molestare gli autonomi

GRUPPI DI COLTIVATORI DI CAFFÈ ACCUSATI DI DIVIDERE GLI INDIGENI

Lo scorso 15 gennaio più di 70 di loro sono entrati nel municipio aggredendo gli abitanti

HERMANN BELLINGHAUSEN

Nuevo Poblado Javier Lopez, 18 gennaio - Oltre la deviazione di Toniná a Taniperla, un cartello indica, con lettere rudimentali, che qui inizia Nuevo Poblado. Tre uomini ne controllano nervosamente l'accesso. Un sentiero sale fino al gruppo di case in cui vivono circa 30 famiglie indigene in queste "terre riscattate" nel 1994, dopo la sollevazione zapatista, che si sono costituite in comunità nel 1997.

La località è ancora nota nei dintorni con il nome di Chamizal, nome della fattoria di allevamento che esisteva prima. Oggi appartiene al municipio autonomo Francisco Gómez, la cui circoscrizione arriva fino alle porte di Ocosingo.

Qui, la notte del 15 gennaio, è avvenuto uno scontro, quando un folto gruppo di membri della Orcao ha attaccato gli abitanti zapatisti del posto. Passata la tormenta c'è ora una calma piatta ed un nuovo problema tra l'organizzazione di produttori di caffè e le basi zapatiste.

Secondo quanto dichiarato ieri a La Jornada dai membri del consiglio autonomo di Francisco Gómez, la Orcao "recluta persone con la promessa di progetti produttivi del governo di allevamento, miele, e ne approfitta per creare divisioni".

Un centinaio di uomini, donne e bambini, tutti tzeltales, con bastoni in mano, circondano la casa in cui si trovano i rappresentanti della comunità. Al mio arrivano le donne si coprono il viso con il paliacate. Gli uomini abbassano il passamontagna. Un anziano chiede alle famiglie che si avvicinino per ascoltare.

Pensando di correggerlo, dico che non sono venuto a parlare, ma ad ascoltali. "Appunto. Ascolteranno quello che noi stessi diremo", risponde l'uomo. Sarà lui che parlerà a nome della comunità.

Modeste abitazioni di legno che denotano grave precarietà suscitano una sensazione contraddittoria. Qui si tenta di praticare l'autonomia in un regime di proprietà comunale che incontra sul suo cammino costanti agguati.

LA STORIA NON È COMINCIATA IERI, NÉ L'ALTROIERI

A tratti interrotto da altri suoi compagni, per dire o aggiungere dettagli, il rappresentante della comunità abbozza questa storia di divisioni indotte da promesse di denaro da parte del governo.

Una storia che di per sé non è nuova, ma che dall'anno scorso coinvolge organizzazioni perrediste che erano vicine allo zapatismo, che partecipavano alla gestione autonoma ed alla resistenza ed oggi invece reclamano attestati di proprietà, compresa l'espulsione della basi d'appoggio dell'EZLN dalle terre riconquistate e dai nuovi centri abitati sorti in diverse zone delle valli e della selva Lacandona.

"Il problema non è cominciato ieri e né l'altro ieri. Già tempo fa un ex compagno, Antonio Gómez, volle radicare il problema della divisione. Cominciando dapprima dallo spazio. Sollevava un sacco di problemi con gli altri compagni e riuscì a raggruppare simpatizzanti. Tre anni fa cominciarono a creare divisioni nel lavoro dei campi. Lavorano dove vogliono senza rispetto alcuno. Come concordato fra tutti quanti, in questo villaggio esistono dei limiti. Ma Antonio pensa che la terra sia sua. All'inizio lui era cardenista - dice il portavoce, con riferimento all'estinto partito politico conosciuto come El Ferrocarril - e quando ci fu la nostra sollevazione il 1° gennaio, il padrone di Chamizal, Javier Robelo, fuggì.

In principio, i cardenisti si sono impossessati di questo posto. Quando la nostra organizzazione fu riconosciuta, venimmo qui a costruire il villaggio. Alcuni cardenisti si unirono a noi, diventarono zapatisti ed accettarono i nostri accordi, altri se ne andarono perché dicevano che non gli conveniva.

Antonio, quello che ora crea problemi, all'inizio si comportava bene. Poi cominciò a fare a modo suo. Non accettava che la terra fosse distribuita in parti uguali. Non teneva conto della maggioranza. Decideva da solo. Come sa, l'organizzazione zapatista è molto indulgente. Vennero le autorità autonome a parlare con lui. Fecero accordi che lui non rispettò. Quelli di Antonio non capivano, dicevano che riconoscevano i loro errori, ma non era così.

Per dimostrare la sua forza, cominciò a lavorare dovunque, senza che importasse il lavoro, e provocava. Comprò una motosega e cominciò a tagliare alberi e vendere legname della comunità. Tagliò legno di rovere, ocote. Lo denunciammo ma non accadde nulla. Poi non lavorò più la terra che abbandonò. Faceva così lui solamente, ma siccome altri vedevano che non succedeva nulla, altri cinque si unirono al gruppo il 26 novembre 2001. E poi sono passati alla Orcao.

Nella comunità esiste un lavoro di servizio ed un lavoro collettivo. Non lo svolgono. Poi portò suo figlio, che possiede un piccolo rancio vicino all'Università (Tecnologica) della Selva. Avevano in mente di creare problemi. Lo stesso 26 novembre uno del suo gruppo viene a litigare con un piccone, ma noi non glielo abbiamo permesso.

Per calmare la situazione abbiamo interrotto il lavoro e ci siamo accordati per creare un gruppo di discussione. Ci recammo a Francisco Gómez a consultarci con le autorità. Volevamo un accordo, non volevamo litigare. Alcuni di loro avevano abbandonato le loro terre e secondo gli accordi della comunità, quando uno abbandona le sue terre, queste vengono assegnate ad altri compagni.

Concordammo di dare loro l'opportunità di lavorare e raccogliere il raccolto per tre mesi. Ma questi cominciarono a prendere legna senza il permesso del villaggio per costruirsi un negozio. Qui è cominciato il problema che è venuto fuori il 15 gennaio. Eravamo andati a parlare con il gruppo di Antonio - che è formato da cinque famiglie e da 12 uomini in totale - per dire loro con le buone maniere che non avevano il diritto di agire in quel modo. Loro si alterarono e presero i loro machete. Abbiamo dovuto disarmarli e mettere in prigione tre di loro. Altri hanno colpito alcuni compagni con pietre e bastoni e poi sono fuggiti.

Abbiamo trattenuto tutto il giorno i detenuti che volevano aggiustare le cose. Alle 4 del pomeriggio abbiamo tenuto un'udienza per ascoltarli. Alle 9 della sera sono arrivati quelli della Orcao. Erano circa 70, era buio. Venivano direttamente a litigare. Avevano con loro pietre, randelli, fionde, catene, machete. Ci siamo difesi. Ad un compagno hanno rotto la bocca a sassate. Un altro compagno è stato portato nel carcere di Ocosingo e volevano trasferirlo a Cerro Hueco. Durante il trasferimento verso il carcere è stato picchiato. La polizia poi non lo ha picchiato e lo ha lasciato libero il giorno dopo.

Poi sono arrivati due sacerdoti da Ocosingo ed una persona dei diritti umani per mediare tra noi e la Orcao. Non c'è ancora un accordo. Quelli della Orcao vogliono che noi ce ne andiamo. Ieri sono venuti di nuovo i sacerdoti per chiedere a che punto era il dialogo. Ma quale dialogo se quelli della Orcao ci accusano di essere invasori? Questa organizzazione ha approfittato subito per intromettersi nei problemi. In questo modo istigano le persone là dove già esistono problemi per molestare gli autonomi".

L'uomo dà per conclusa la sua relazione dei fatti. Gli indigeni che lo hanno ascoltato in silenzio, mi guardano con occhi severi. In un atteggiamento di grave attesa, restano lì, immobili, appoggiati ai loro bastoni, in guardia.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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