La Jornada 16 novembre 2002

A LARRAINZAR, SOLO 500 METRI SEPARANO ESERCITO E AUTONOMI

HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

San Andres Larráinzar, 15 novembre - Un pallone cade sulla strada proveniente dall'accampamento militare. La palla, che ha iniziato il suo arco discendente più di venti metri sopra, rimbalza fino a fermarsi immobile in mezzo all'asfalto. Una decina di indigeni lavora nella cunetta. Passano campesinos che indossano chujes neri. Superstiziosamente, tutti evitano la palla.

Più sopra, dietro la rete dell'accampamento, i quattro giovani soldati in uniforme potrebbero gridare: "palla, per favore". Ma, non gridano. Vedono l'effetto spauracchio della solitaria palla che gli indios evitano.

Rassegnati, i soldati fanno a testa o croce, perché qualcuno dovrà pur uscire dalle installazioni del reggimento e scendere il pendio fino alla strada. Non hanno fretta. Nessuno ruberà loro la sfera. Proprio nessuno la toccherà.

Sebbene adesso sia il capoluogo del municipio autonomo, San Andrés Sakamch'en de los Pobres, questo centro famoso per i dialoghi, conserva il nome caxlán (meticcio) per effetto della tradizione. Perfino gli autonomi, abbreviando, lo chiamano "Larráinzar".

Su una collina all'interno del villaggio è insediata l'importante base militare che tiene sotto tiro tutto l'abitato: quartieri, cappelle e declivi, il mercato, le strade verso Pinar, San Juan Chamula e Oventic-Caté. In poche parti si osserva così tanta contiguità fisica tra un consiglio municipale autonomo attivo e l'occupazione militare. Non più di cinquecento metri.

La sala in cui si svolsero i dialoghi tra il governo e l'EZLN, costruita sopra un campo di basket a pochi metri dalla piazza (e di fronte al palazzo municipale) non è più che un rudere. Dopo il 1996, alla sospensione dei negoziati, la sala fu completamente abbandonata. I muri provvisori, il tetto, i mobili, le porte, si sono deteriorate fino a scomparire. Oggi il luogo è tornato alla sua condizione originale: campo di basket all'aperto.

Quel poco che si era riusciti a concordare tra il governo e gli zapatisti, è stato firmato qui nel 1996. Nemmeno questo è stato compiuto. Meglio che serva ai ragazzi per giocare.

Ne Los Altos del Chiapas, si pratica il basket prima di qualsiasi altro sport, non per penetrazione imperialista o a causa delle "sette", ma perché è l'unico gioco con la palla che sia possibile giocare su queste incessanti montagne senza che la sfera voli via. Terreno difficile per il calcio, impensabile per il baseball.

Adesso arrivano i soldati di cui parlavo all'inizio. E a loro, i palloni volano via.

Nel palazzo municipale autonomo si lavora, pare, normalmente. Un gruppo di donne aspetta su una panca sotto il portico. Le autorità non vogliono parlare con la stampa e comincia a scendere la nebbia. Un telo sulla facciata annuncia che questo è il municipio ribelle San Andrés Sakamch'en de los Pobres e sotto dice: "Viva l'autodeterminazione dei popoli".

Per la strada circolano uomini brilli. Alcuni stanno abbracciati o vociando si dividono una bottiglia di posh. Gli zapatisti non bevono, ma qui non tutti sono zapatisti. In questo villaggio, che è grande, ci sono gruppi di priisti che ostentano di essere la giunta ufficiale (marginale) e ricevono soldi dal governo.

È anche un importante centro religioso. Nella religione tzotzil, il posh occupa un posto centrale, seppure fuori della liturgia. È già cominciata la festa del santo patrono che è capriccioso e pretenzioso. Quindi, questa settimana e la prossima, ci saranno ubriachi in giro.

Petardi esplodono ad intermittenza in cima alla piazza. Il fumo del copal che esce dalla chiesa è tanto spesso che prende di sorpresa anche la nebbia, anche lei bianca. Nel tempio di San Andrés la visibilità è di un metro al massimo. Fumo ed aroma. Sensazione di molta gente che non si vede. Candele accese e spente. Musica. Interminabile suono di arpa, chitarra e maracas. Alcuni uomini ballano, dolcemente. I santi, in legione, sono stati svestiti: indossano solo una pudica tunica bianca di cotone. Più all'interno, dietro il fumo, si scorge un folto gruppo di uomini e donne circondano decine di cesti contenenti, ognuno, un fagotto pieno di indumenti. Lì, sono avvolti i ricami e gli abiti tessuti delle artigiane di San Andrés. Tutti i loro lavori. Li stanno consacrando.

Le artigiane indossano huipiles rossi ricamati in modo speciale. Cioè, la casacca quotidiana, perché è così che si vestono queste donne tanto povere: con eleganza, anche se scalze.

I capitani, in chuj nero e cinta rossa e cappello bianco, circondano le artigiane con un cordone di protezione rituale che, mi concederete, mi ricorda i cordoni di pace durante i dialoghi del 1995/96. Stile tzotzil, forse. E, come allora (per disperazione dei delegati governativi) oggi, qui, il tempo trascorre "molto diverso".

San Andrés, San Sebastián e tutti gli altri santi, sopra i tavoli, aspettano in pigiama che i loro vestiti si asciughino. Il giorno 30, l'intraprendente e permaloso San Andrés, percorrerà le strade e le colline coperto ed avvolto dai suoi vestiti. I capitani saranno a cavallo. Come ogni anno, prima della guerra e adesso. Prima delle guerre antiche. Prima e dopo che un reggimento dell'Esercito federale si è accampato sulla collina ed ha puntato le sue armi da fuoco contro questo popolo che conosce il fuoco da sempre.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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