il manifesto - 14 luglio '02

Tlatelolco, qualcuno pagherà?

A Città del Messico riaperti i casi delle stragi di piazza delle Tre culture, 1968, e del Corpus Domini, 1971, in cui centinaia di studenti furono uccisi

Per ora l'unico accusato è l'ex presidente Echeverria

Ma la resa dei conti è ancora lontana

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

L'ex-presidente messicano Luis Echeverría Álvarez si è presentato due volte, nei giorni scorsi, di fronte alla Fiscalia Especial para la Investigación de Movimientos Sociales y Políticos del Pasado, una nuova figura di inquirente creata dal governo Fox in risposta alle forti pressioni della società civile. Echeverría, che nel suo sessennio (1970-'76) si guadagnò una certa simpatia nella sinistra latinoamericana concedendo asilo politico a molti esuli cileni, è attualmente indiziato di "genocidio, omicidio, lesioni, sequestro di persona, abuso di autorità e quanto possa risultare" in relazione a due stragi di stato perpetrate a Città del Messico contro il movimento studentesco di quegli anni.

Una è la tristemente celebre matanza di Tlatelolco, in cui il 2 ottobre 1968, quando Echeverría era ministro degli interni, centinaia di studenti radunati nella Plaza de las Tres Culturas furono massacrati dall'esercito e dai corpi speciali. L'altra, meno nota ma ugualmente efferata, è passata alla storia come "la strage del giovedì di Corpus Domini", avvenuta il 10 giugno 1971, quando un gruppo di agenti in borghese, noti come gli Halcones, i falconi, trucidarono decine di giovani universitari che manifestavano pacificamente.

Assistito da una dozzina di avvocati, straordinariamente ben portante per i suoi ottant'anni, martedì 2 luglio, Luis Echeverría si è presentato alla prima udienza con più di un'ora di anticipo e passando da un'entrata secondaria. All'interno, l'ex-presidente si è trovato di fronte vari leader del movimento studentesco del `68 sopravvissuti alla strage di Tlatelolco - gli stessi che hanno presentato la denuncia contro di lui - e ha ascoltato impassibile un rosario di ben 182 domande, lette dal fiscal especial Ignacio Carrillo Prieto.

Dopo una breve consultazione con i suoi legali, ha chiesto un periodo ragionevole per poter rispondere e si è visto concedere quaranta giorni. Dato il volume dell'interrogatorio, la cui lettura ha richiesto quasi sei ore, risponderà probabilmente per iscritto.

Ballando con i morti

Il fatto che un ex-presidente della repubblica sia chiamato a deporre in un processo penale in qualità di indiziato è un evento inedito nella storia messicana.

Dotati di un potere assoluto ereditato dai viceré spagnoli e, prima ancora, dai tlatoani aztechi, i presidenti del Messico hanno sempre goduto di un'impunità totale e indiscussa, che si estendeva al di là del loro mandato, come una sorta di assicurazione vitalizia.

Oggi, però, alla crisi del presidenzialismo messicano, favorita da un potere legislativo che comincia a muovere i suoi primi passi in autonomia, si somma l'esigenza ormai inarrestabile della società civile che vuole far luce sul passato, chiarire le maggiori atrocità commesse dal potere negli ultimi decenni e assicurare i responsabili - almeno, quelli ancora vivi - alla giustizia.

"Non avremo un buon futuro, se non si risolvono i crimini del passato", ha detto Mary Robinson, alto commissario dell'Onu per i diritti umani, che si trovava in visita in Messico proprio nei giorni delle udienze di Echeverría.

E questo reclamo di giustizia, ormai generalizzato, è particolarmente comprensibile in America latina, dove quarant'anni di "dottrina della sicurezza nazionale" e di forsennata crociata anticomunista condotta da Washington hanno prodotto decine di migliaia di morti, torturati, desaparecidos.

La seconda comparizione di Luis Echeverría, martedì 9 luglio, è stata quasi una ripetizione della prima. Solo che, in questa seconda occasione, le domande - 159 - tendevano a chiarire le sue responsabilità come presidente della repubblica nella strage del giugno 1971. All'ex-presidente, che ha ascoltato le domande "con una maschera di pietra" - così la stampa ha definito la sua espressione - sono stati concessi ugualmente quaranta giorni per rispondere. Ma questa volta non è riuscito a eludere il pubblico all'uscita e, prima di sparire in un'auto con i vetri polarizzati, ha ascoltato varie volte il grido di "assassino" lanciatogli dai manifestanti.

"Echeverría è il maggior criminale di stato nella storia contemporanea del Messico", dice Pablo Gomez, che nel `68 faceva parte del movimento studentesco e oggi è uno dei maggiori dirigenti del Prd, il Partido de la Revolución Democrática .

È grazie a lui, e a un gruppo di ex-studenti del Cgh, lo storico Comité General de Huelga, scampati alla "notte di Tlatelolco" e alle persecuzioni successive, se oggi l'ex-presidente siede sul banco degli imputati. Sono stati loro, in quanto parte lesa, a presentare la prima denuncia alla magistratura nel 1998, a trent'anni dalla strage.

Se fosse stato per Fox, che in tema di giustizia e diritti umani apre solo la bocca ma non muove un dito, Echeverría dormirebbe ancora tranquillo, avvolto dal manto della tradizionale impunità.

La recente apertura degli archivi di stato, permessa da Fox e salutata dagli ingenui come prova di un'incipiente democratizzazione del regime, conta poco o niente senza l'istituzione di una Comisión de la verdad incaricata di vagliare, giudicare e sanzionare i crimini del passato. Così come è stata fatta, è un po' come sparpagliare le carte al vento.

Un puzzle incompleto

Ugualmente, le comparizioni dell'ex-presidente Echeverría - e i prossimi interrogatori di altri 50 indiziati, fra cui cinque generali dell'esercito - non garantiscono affatto che si arrivi a condanne penali o a sanzioni di qualche tipo.

L'ora della resa dei conti è ancora lontana e, per il momento, bisogna accontentarsi della valenza simbolica di queste innovazioni, che rappresentano pur sempre un piccolo sollievo per l'opinione pubblica.

Sul piano dell'accertamento della verità, invece, sono stati fatti dei grandi passi avanti, non per merito delle autorità ma grazie alla società civile e alla poca informazione libera.

Del massacro di Tlatelolco, in cui a tutt'oggi non si sa quante furono le vittime, è comparsa pochi mesi fa una serie di 35 fotografie inedite, scattate evidentemente da un agente dei servizi di sicurezza la notte del 2 ottobre 1968. Inviate da una mano anonima a Sanjuana Martinez, corrispondente da Madrid della rivista messicana Proceso, le foto mostrano con tutta chiarezza i famigerati "guanti bianchi", i militari in borghese del Battaglione Olimpia che spararono per primi sui manifestanti. Le autorità avevano sempre negato la loro esistenza.

Il 10 giugno 1971, a meno di tre anni dalla strage che fece inorridire il mondo ma non impedì il regolare svolgimento delle Olimpiadi, un pacifico corteo di studenti e professori sfilava nel quartiere di San Cosme. Era una manifestazione di solidarietà con l'università dello stato di Nuevo León e per chiedere la liberazione degli studenti arrestati. Un corpo paramilitare di giovani in borghese, noti come gli Halcones, irruppe nel corteo al grido di "Viva Che Guevara" - evidentemente per confondere le acque - e cominciò a sparare all'impazzata sugli studenti.

La spietata aggressione provocò decine di morti, ma anche in quell'occasione non si è mai potuta determinare la cifra esatta. Di certo, si sa che gli Halcones entrarono in un ospedale vicino, terrorizzando pazienti e dottori, e si portarono via gli studenti feriti, alcuni sul tavolo operatorio. Di loro non si è mai saputo più nulla.

Secondo Alfonso Martinez Dominguez, allora sindaco di Città del Messico, che si trovava a cena quella sera dal presidente Echeverría, quest'ultimo diede ordine per telefono di far sparire i cadaveri e le eventuali fotografie della strage.


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