In Chiapas non c'è pace

Luis Hernández Navarro

Il fantasma dello zapatismo è apparso mercoledì scorso a Vicente Fox in Europa.

Con suo dispiacere, ha scoperto che in materia di diritti umani il Messico non ha cessato di essere osservato, benché giochi a diventare un osservatore.

Il capo dell'esecutivo diffonde nell'opinione pubblica una visione idilliaca del conflitto in Chiapas e sulla situazione dei diritti umani in Messico.

In una recente intervista a El País (5 maggio 2002) ha assicurato: "La legge sui diritti indigeni è la più avanzata e all'avanguardia del mondo. Il Chiapas è in pace...".

Le affermazioni presidenziali sono smentite dal più recente rapporto che la Commissione civile internazionale di osservazione dei diritti umani in Chiapas (Cciodh, la sigla in spagnolo) ha presentato martedì 14 maggio al parlamento europeo.

Il giorno dopo la Commissione ha recapitato una copia del documento al delegato messicano che è intervenuto a Strasburgo.

La Commissione era formata, in questa sia terza visita di lavoro in Messico, da 104 persone di 14 paesi.

Il suo obiettivo è stato valutare, un anno e mezzo dopo l'assunzione della presidenza da parte di Vicente Fox, la situazione del conflitto in Chiapas.

Tra il 16 febbraio e il 3 marzo del 2002 sono stati condotti 130 colloqui con altrettanti interlocutori: istituzionali, della società civile e "bases de apoyo", cioè indigeni zapatisti.

Le conclusioni alle quali la Commissione è arrivata smentiscono categoricamente le affermazioni presidenziali.

L'approvazione del progetto di riforma costituzionale da parte del Congresso dell'Unione è molto lontana dall'aver varato la legislazione "più avanzata e all'avanguardia del mondo" e, al contrario, non ha soddisfatto i popoli indigeni, che non hanno visto riflessa in quella legge l'essenza degli accordi di San Andrés: non si stabilisce che le comunità devono essere enti di diritto pubblico, e non si riconoscono i popoli come soggetti della legge né depositari dei diritti alla libera determinazione e all'autonomia.

In Chiapas non c'è pace. I sorvoli di aerei militari continuano a seminare angoscia nelle comunità. I pattugliamenti e posti di blocco dell'esercito messicano sono andati aumentando gradualmente ed è già diventato usuale che i soldati improvvisino posti di controllo nei paraggi dei villaggi, per assillare e intimidire gli indigeni, sottoponendoli ad interrogatori e impedendo il libero transito.

Lungi dal frenare gruppi paramilitari come Paz y Justicia (i cui dirigenti sono stati inesplicabilmente rimessi in libertà), questi continuano a provocare conflitti multipli, a sbarrare strade, applicando una politica di terrore, di assassinii e aggressioni costanti contro le comunità zapatiste, appoggiati, come sempre, dalle vecchie strutture municipali e comunali priiste (del PRI, vecchio partito-regime, ndt.), e godendo della complicità, per omissione o per committenza, di diverse organizzazioni governative.

Il problema dei "desplazados" (profughi interni, ndt.) a causa della guerra e della controguerriglia continua a non essere risolto. I saccheggi e gli assassinii che hanno costretto all'esilio migliaia di choles e tzotziles (etnie indigene, ndt.), nella maggioranza "bases de apoyo" dell'EZLN (Ejercito Zapatista de Liberación Nacional), restano impuniti.

Finora il problema dei "desplazados" non è stato affrontato nella sua vera dimensione. Né il governo federale né quello dello stato hanno assunto che si tratta di persone forzate ad abbandonare le loro comunità dalla violenza paramilitare. Di conseguenza, spingono al ritorno i profughi in condizioni di insicurezza e sulla base di deboli accordi di riconciliazione che non sono stati preceduti da atti di giustizia né dalla riparazione dei danni causati alle vittime.

Ma, al di là del rapporto della Commissione, la situazione dei diritti umani in Messico continua ad essere preoccupante.

In Chiapas sono stati incarcerati negli ultimi mesi altri 17 zapatisti.

L'assassinio di Digna Ochoa (avvocata dei diritti umani uccisa a Città del Messico l'anno scorso, ndt.) non è stato ancora chiarito e altri avvocati hanno subito minacce di morte.

Nonostante si sia creata una corte speciale per investigare presumibilmente sul problema dei detenuti-scomparsi, nei primi mesi del governo di Vicente Fox ci sono stati altri 15 casi di detenuti-scomparsi, e recentemente un detenuto è stato assassinato, presumibilmente durante tortura.

Per giustificare la sua subordinazione ai desiderio di Washington su Cuba, il governo messicano ha invocato la causa dei diritti umani. Che non venga smascherato quando la comunità internazionale lo dovesse giudicare con lo stesso metro.

[da La Jornada di mercoledì 14 maggio 2002 - tradotto da "carta"]


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