da Carta del 9/9/2002

Sabato corso, tutti i media messicani hanno dato notizia che la Corte costituzionale aveva rigettato, perché non di sua competenza, gli oltre trecento ricorsi, presentati da altrettanti municipi indigeni di tutto il paese, contro la "ley indígena" approvata dal parlamento, su proposta del presidente Fox, all'indomani della marcia zapatista. Quegli accordi, dicono l'Ezln e i popoli indigeni del Messico, tradisce gli Accordi di San Andrés, tra governo federale e zapatisti, che avrebbero dovuto appunto tradursi in una riforma costituzionale sui diritti e la cultura indigeni. È un fatto molto grave, che, come dicono molti, lascia il campo libero alla violenza, dell'esercito e dei paramilitari, che ha lasciato sul terreno, nel mese di agosto, quattro indigeni zapatisti, in Chiapas.

Questo è il commento pubblicato a caldo da La Jornada

quotidiano di Città del Messico

La decisione della Corte Suprema di dichiarare non legittimi i ricorsi indigeni mostra l'egemonia di un pensiero giuridico coerente con i parametri del regime, che non è cambiato con l'alternanza politica. È una decisione storica, resterà nei memoriali delle prepotenze contro i popoli indigeni, segna la misura con la quale il potere giuridico nega il suo contributo alla riforma dello Stato ed è parte integrante degli ostacoli che lo Stato ha opposto ai popoli indigeni sulla via del riconoscimento dei loro diritti collettivi.

Non si può nemmeno ignorare che la sentenza riguarda e colpisce il processo di pace, cancellando la possibilità di una revisione della presunta riforma costituzionale (votata un anno fa, dopo al marcia zapatista, N.d.T.), dato che il senato nella sua attuale composizione dura per sei anni. E d'altra parte, un atteggiamento tanto chiuso significa nei fatti una vittoria per la linea dura che si identifica con il Pri (ex partito-regime, N.d.T.) e il Pan (partito dell'attuale presidente, Fox, N.d.T.) e le cui espressioni locali se ne avvarranno nelle comunità indigene, specialmente in Chiapas, per metterla in atto contro settori e comunità vicine allo zapatismo.

I ricorsi indigeni significavano una sfida giuridica e politica, per la Corte, perché affrontarli onestamente richiedeva uno sforzo d'interpretazione che avrebbe creato nuovi spazi e possibilità per la Corte, quale tribunale costituzionale. Dalla stessa accettazione dei municipi indigeni come querelanti fino alla valutazione sull'inserimento nel diritto interno di convenzioni internazionali e la loro relazione con il principio di supremazia costituzionale. La sintesi che i giudici ne hanno fatto e che ha prevalso nella loro sentenza è stata quella di definire se la Corte avrebbe o no potuto rivedere i procedimenti di riforma della Costituzione.

Formata questa premessa, si sarebbero disposti a valutare se nel caso concreto in questione la cosiddetta riforma indigena era stata un procedimento corretto.

In una sessione plenaria chiusa, otto degli undici giudici hanno giudicato che la Corte non ha il potere di rivedere i procedimenti di riforma della Costituzione lasciando così campo libero all'organo riformatore, maldefinito come "costituente permanente" (il Congresso e il senato, N.d.T.), perché faccia con la Costituzione quel che vuole, tanto nella forma che nella sostanza.

(...) Questi problemi sono alla base delle grandi sfide che la nazione ha di fronte, grazie all'arroganza di un regime che si dispone a continuare ad alterare le decisioni fondamentali del patto sociale nato dalla Rivoluzione del 1917, come è accaduto nel 1992 con la privatizzazione della proprietà della terra (proibita dalla Costituzione, N.d.T.), e come ora si vuole fare con l'energia elettrica (la cui privatizzazione sta suscitando un grande movimento di protesta in Messico, N.d.T.).

Politicamente, i giudici della Corte non sono immuni dall'influenza di coloro che comandano nel Congresso e talvolta mantengono con loro vincoli nei loro affari privati. E gli argomenti ufficiali del Congresso sono stati diversi da quelli trasmessi nei loro documenti. Mentre da parte indigena si è agito con le carte sul tavolo: gli argomenti proposti per iscritto sono stati avvalorati nelle poche audizioni che hanno avuto da alcuni dei giudici, in ci non si è arrivati a un dialogo autentico perché l'atteggiamento ideologico più benigno esprimeva simpatia per l'estrema povertà, per la bellezza dei tratti somatici tipici, ma mai per gli interessi giuridici e storici dei popoli indigeni. In questi incontri si è percepito che nella Corte si giudicava che il problema che era loro sottoposto era politico, e non di natura giuridica.

Cerco di immaginare la reazione di coloro che avevano promosso i ricorsi, avvezzi come sono a resistere alle aggressioni dello Stato e anche profondamente fiduciosi di riuscire ad ottenere, un giorno, il riconoscimento dei loro diritti.

Nei processi democratici di altri paesi, i tribunali costituzionali si sono collocati in una tendenza nota come attivismo giuridico, coinvolgendosi nella definizione delle sfide del cambiamento e creando e ricreando il diritto. La Suprema Corte del Messico ha deciso che è meglio il male già noto e, avvolta nel suo autismo giuridico, ha rinunciato a seminare per il futuro.

[Magdalena Gómez - da La Jornada]


Danielle Mitterrand: la Corte suprema dà uno schiaffo alla speranza indigena

Danielle Mitterand ha inviato un messaggio alla società civile messicana e agli zapatisti attraverso le pagine del quotidiano La Jornada.

"Abbiamo appreso con tristezza la decisione della Corte suprema del Messico.

Ricordo la speranza che ci aveva riempito quando c'è stata la 'marcia del colore della terra.

Quell'esperienza è ancora viva.

Una legge era possibile, una legge già negoziata da entrambi le parti. Una legge già scritta.

Si riaprirà il dialogo, tra il governo e gli zapatisti. La democrazia si arricchirà della presenza viva delle culture indigene.

Con questo schiaffo alla speranza, il cammino della pace sembra oggi più difficile.

Nonostante tutto, continueremo a difendere questa causa giusta.

Io e tutti quelli che la mia voce rappresenta, lo diciamo alla società civile messicana, agli zapatisti, che continueremo a camminare accanto a loro".


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