La Jornada - 7 luglio 2002

GLI ABITANTI ACCUSANO IL GOVERNO PER LA DEFORESTAZIONE

DENUNCIANO AUMENTO DELLE OSTILITÀ NEI MONTES AZULES

HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

San Cristóbal de Las Casas, 6 luglio - Negli ultimi mesi sono state inoltrate diverse denunce di ostilità e minacce contro le comunità indigene insediate nei Montes Azules. Il progetto di sgombero di 49 comunità, nel quadro di un conflitto politico-militare, può rappresentare un momento scatenante, con serie conseguenze per la popolazione che vive in questa regione e corre il rischio di aggravare l'escalation repressiva.

Nella regione dei Montes Azules si trova il municipio autonomo Ricardo Flores Magón che ha molto sofferto nell'ultimo anno per gli innumerevoli operativi militari e l'ostilità da parte di gruppi paramilitari.

La discussione che si è aperta sullo sgombero di popolazioni indigene con il pretesto di proteggere la riserva della biosfera dei Montes Azules, ha un significato molto più profondo della semplice intenzione di proteggere la riserva ecologica.

È pendente una riforma indigena inclusa negli Accordi di San Andrés che attualmente è nelle mani della Corte Suprema di Giustizia della Nazione. Il progetto di sgombero lede la libera determinazione e le garanzie individuali e mostra un possibile e irriducibile punto di rottura tra la popolazione civile e le autorità federali e statali a causa delle loro complicità o omissioni.

INVIATI DA CAPISE

Il Centro di Analisi Politiche e Ricerche Sociali ed Economiche (CAPISE) ha inviato per una settimana un gruppo di ricercatori nella regione dei Montes Azules. Gli specialisti sono riusciti ad incontrare gli abitanti direttamente interessati dallo sgombero.

Le informazioni raccolte hanno mostrato un'ampia gamma di fattori e protagonisti coinvolti nella sistematica violazione dei diritti umani a causa dei progetti di sgombero delle comunità indigene, in simbiosi con la guerra di bassa intensità.

"I nuovi trucchi del governo per sgomberare la zona, continuare la guerra di controinsurrezione e mettere in atto le politiche neoliberiste del Piano Puebla Panama sono pronte ed aumentano così le ostilità e le minacce per sgomberare le comunità della riserva lacandona e per limitare i diritti agrari delle comunità che vivono all'interno delle zone di attenuazione", segnalano i ricercatori.

CAPISE ha discusso ampiamente con abitanti di Taniperla, Nuevo Dolores, El Tumbo, San Jerónimo Tulijá, Arroyo Granizo e La Culebra. Tutti sono stati concordi sul fatto che la deforestazione della zona (il motivo per cui sono minacciati di espulsione) non corrisponde ai fatti. Accusano il governo di aver prima venduto le loro terre "con le persone e tutto quanto ci stava dentro" e poi di volerle scacciare.

Aggiungono che la popolazione non brucia i boschi né taglia gli alberi, ma che loro si prendono cura della montagna ed utilizzano tagliafiamme per prevenire gli incendi. Accusano il governo della deforestazione e del saccheggio di legname pregiato. Imprese come la Cofolasa sono incaricate del disboscamento.

A seguito del disboscamento sono rimasti punti di accesso utilizzati da questa impresa. Poi ci sono state le accuse contro gli indigeni di essere responsabili dell'estrazione delle risorse. I campesinos accusano anche i militari del traffico di legname pregiato: "Contattano alcuni abitanti delle comunità priiste per il taglio di alberi in cambio di qualche pesos, poi arrivano i camion a caricare i tronchi".

Le comunità dichiarano che il programma microregionale chiamato anche Progetto di Sviluppo Sostenibile della Selva, è una delle diramazioni del Piano Puebla Panama. Affermano che alcuni villaggi sono abitati da lacandoni (caribes) e che questi consentono accesso a stranieri ed al governo con i suoi piani.

Sostengono che se loro permetteranno la realizzazione di questi progetti, finiranno con diventare schiavi, lavoratori giornalieri, guide turistiche o collaboratori domestici ed è questo il futuro che si prospetta per i caribes.

Tra gli obiettivi del Piano Puebla Panama c'è l'installazione di fabbriche maquiladoras e coltivazioni di palma africana, vaniglia, gomma ed eucalipto. Accusano il governo di offrire aiuti ricattatori attraverso i programmi Procampo o Progresa.

Denunciano che sono invasi da coltivazioni transgeniche e sostanze chimiche e che attualmente c'è un 25% di sementi transgeniche attive e che anche l'introduzione dell'allevamento bovino rappresenta un grave problema. Le popolazioni indigene sostengono che continueranno a coltivare caffè, fagioli, zucche, yucca e banane.

Data la bellezza naturale della zona, si sentono minacciati anche da progetti ecoturistici che danneggeranno i corsi d'acqua e l'ambiente. Dichiarano che i gruppi di potere vogliono appropriarsi del fiume Santo Domingo e che esistono già imprese impegnate sul posto. "Siamo nati come municipio autonomo allo scopo di proteggere il territorio. Qui sono morti i nostri padri e qui moriremo noi".

Ribadiscono che difenderanno le loro terre e che non accetteranno che le imprese si impadroniscano delle loro terre e né il ricollocamento nella valle di San Antonio.

Il governo offre aiuti come il Progresa, il Procampo o con crediti - riferisce lo studio del CAPISE - ma gli aiuti sono condizionati e servono per creare divisioni tra la popolazione. Gli autonomi dichiarano che le persone che sostengono le politiche del governo ricevono benefici. "La nostra posizione è quella di rifiutare giocattoli o secchielli di plastica, che è quello che offrono in cambio del tradimento. In primo luogo, reclamiamo la terra; il resto sono solo menzogne".

Gli zapatisti del municipio autonomo dichiarano: "non vogliamo la divisione delle comunità per le briciole del governo. Ci fidiamo solo delle risorse che possiamo produrre noi stessi. Il resto non conta. Sapete quanto pagano per un chilo di caffè? Quattro pesos! Non bastano nemmeno per una bibita".

Sulla base di queste osservazioni, gli analisti del CAPISE hanno concluso: "Si corre il rischio di entrare in un circolo vizioso: si tenta di costringere la popolazione ad accettare determinati progetti e man mano cresce l'opposizione, aumenta il numero di postazioni ed operativi militari e di polizia, aumenta la repressione e di conseguenza cresce la resistenza.... e così di seguito".


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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