LA JORNADA 6 GIUGNO 2002

LA GUERRA SEGNA I BAMBINI DEL CHIAPAS

VICTOR BALLINAS e ANGEL BOLAÑOS

Sono i bambini profughi in Chiapas, i sopravvissuti alle persecuzioni delle autorità e dei gruppi paramilitari ed ai conflitti di partito e religiosi che raccontano con le loro piccole storie, accompagnate da disegni, il vero volto della violenza che hanno subito e che ha lasciato molti di loro orfani. Loro, con i loro testi ed immagini, chiedono di porre fine all'impunità ed esprimono il desiderio di vivere con dignità.

Le cronache di questi bambini raccolgono la memoria della violenza in Chiapas. Illustrano il terrore in cui hanno vissuto e raccontano degli omicidi, furti, sparizioni, espulsioni, saccheggi, umiliazioni che hanno subito uomini, donne, anziani e bambini delle loro comunità.

Sono le storie di chi si è visto obbligato ad abbandonare la propria terra.

I bambini, con la loro testimonianza, esprimono le loro emozioni, tristezze, paure ma anche i loro sogni.

Ieri, durante la presentazione del "Informe especial sobre desplazados de la guerra en Chiapas, caminando hacia el amanecer" del Centro Fray Bartolomé de Las Casas, il bimbo chol Alfonso Quirón ha detto: "Là nella nostra terra, da dove ci hanno cacciato, ci hanno lasciato senza nulla. Dove ci troviamo oggi non abbiamo acqua, non c'è cibo, abbiamo freddo e siamo senza riparo. Ci hanno rubato tutto. Non abbiamo nulla ma chiedo al governo che sottoponga alla giustizia quei paramilitari che ci hanno espulso".

Ed ha aggiunto: "Portate con voi la mia storia. Fatela vostra e parlatene affinché ci sia resa giustizia!".

Le testimonianze, le storie si dipanano e danno volto alla violenza.

Questa è la storia di un bambino indigeno di Marqués de Comillas: "Alle sei del mattino sono uscito di casa con mio papà e mia zia Gloria per andare a raccogliere il mais nella milpa. Alle due del pomeriggio stavamo tornando a casa quando a metà del cammino ci hanno sparato. Hanno sparato prima a mio papà e a mia zia Gloria e per metterci in salvo siamo corsi indietro da dove eravamo venuti ma hanno continuato a sparare contro mio papà. È riuscito a scappare per circa 100 metri e poi è caduto. Allora, io e mia zia Gloria siamo riusciti a correre ancora per una cinquantina di metri da dove era caduto mio papà. In quel momento abbiamo visto i tre assassini incappucciati con le loro armi ed i machete. Ho potuto guardare negli occhi dei tre ed ho potuto riconoscerli, erano Nicolás, Manuel e Pedro. Nella corsa mia zia Gloria è caduta e gli assassini hanno approfittato per colpirla alla testa a colpi di machete. Poi mi hanno preso ed hanno colpito anche me in testa con il machete, qui si vedono le cicatrici. Sono rimasto a terra per mezz'ora. Poi mi sono sollevato poco a poco e siccome sapevo che mio zio ed i suoi figli erano andati a prendere il mais alla loro milpa con i loro due cavalli, ho deciso di raggiungerli. Non ho dovuto camminare molto perché li ho incontrati sul cammino che già erano di ritorno. Mi hanno visto macchiato di sangue e mi hanno chiesto che cosa era successo e gli ho raccontato cosa era accaduto a mio papà e a mia zia. Mio zio mi ha preso in braccio ed abbiamo proseguito il cammino. Siamo arrivati nel punto in cui era morta mia zia Gloria a due metri dal ciglio della strada. Lo zio e i suoi figli hanno trovato la zia morta. Più avanti c'era mio papà. Ho potuto vedere, con mio zio, che gli assassini gli avevano tagliato la testa perché dalla testa di mio papà pendeva solo un pezzo di pelle! Giunti a casa, mio zio ha chiesto a suo cognato Pedro di accompagnarmi all'ospedale di Villahermosa, Tabasco. È stato con me in ospedale per otto giorni e quando sono uscito siamo andati a Palenque dove sono rimasto per due giorni, poi è arrivato un altro cognato di mio zio che si chiama Pánfilo e che possiede un taxi e ci ha detto di andare alla comunità di Orizaba e non a Río Salinas, dove già erano sfollati i miei zii e mia mamma. Poi concordarono di sfollarci a Chanibal, dove vivo attualmente".

Il bambino ha disegnato un campo di basket, la sua casa con dentro sua madre. Suo papà, sua zia Gloria e il "Manuel". Inoltre, la strada verso la milpa e gli assassini Nicolás, Manuel e Pedro. Il suo cavallo e la chiesa.

In altri racconti, i bambini e le bambine indigeni disegnano i gruppi paramilitari come quelli di Paz y Justicia "che hanno sparato, bruciato le case, teso imboscate, catturato i nostri compagni e ucciso Nicolás".

Un altro testimone racconta che poiché erano militanti del PRD "sono arrivati i paramilitari di Paz y Justicia. Hanno bruciato tutto. Siamo scappati. I militari fanno così dal 1995!".

La maggior parte dei testi sono brevi, con disegni che riflettono la paura, il coraggio ed il grido di giustizia di questi bambini indigeni profughi.

Sono gli occhi dei profughi stessi e le loro voci che compongono questo rapporto.

Nonostante il dolore, si sono fidati del Centro Fray Bartolomé de Las Casas consegnando le loro testimonianze ed hanno chiesto solamente: "adesso che vi abbiamo raccontato le nostre sofferenze, saprete fare qualche cosa per noi rispetto ai diritti umani".

Le voci dei bambini risuonano come un grido di giustizia.

Il loro silenzio è stato rotto ed hanno deciso di disegnare quello che avevano paura di dire.

La paura ha preso forma per comunicare il loro dolore: "Ascoltatemi uomini e donne. Quando ce ne siamo andati abbiamo sofferto. Sul cammino abbiamo incontrato fango e pioggia, portando i nostri carichi siamo arrivati qui a X'oyep. Dico solo questo".

Ma quello che i loro occhi hanno visto, è rimasto inciso: "i soldati ti puntano i fucili. Le case vengono bruciate e comincia l'esodo. Abbandonano tutto. Scappano per salvarsi!".

Guadalupe, una bambina di 12 anni, racconta "Io ho disegnato il mio cane perché se lo sono portati via i priisti. I fiori, i cani e la scuola sono rimasti a Yaxgemel e io voglio studiare ma qui a X'oyep non c'è la scuola. Le galline se le sono prese i paramilitari priisti. Probabilmente per mangiarsele. Il cuore dei paramilitari non è buono. Abbiamo perso la tavola su cui si preparavano le tortillas e la dispensa in cui conservavamo le tortillas. Siamo scappati perché avevamo paura dei loro fucili e perché ci minacciavano di ucciderci".

Un'altra bambina indigena racconta: "Abbiamo disegnato le nostre chiese, i fiori, le galline e le anatre, tutto è rimasto là perché i paramilitari ci hanno cacciato perché i nostri genitori non hanno collaborato all'acquisto delle pallottole che sparavano in aria nella scuola di Yaxgemel. Noi eravamo nelle nostre case. Io ero triste quando sentivo rimbombare le pallottole ed abbiamo pensato che fosse meglio andarcene prima che ci ammazzassero. La scuola è rimasta nel centro di Yaxgemel".

Sono storie di violenza. Sono le voci e gli sguardi dei bambini indigeni che mostrano il volto della paura, della guerra, della violenza, dell'ingiustizia.


SI INTENSIFICA L'OSTILITA' PARAMILITARE CONTRO LE BASI D'APPOGGIO ZAPATISTE A HUITIUPAN

HERMANN BELLINGHAUSEN - inviato

San Cristóbal de Las Casas, 5 giugno - "Non speriamo più di vivere in pace", affermano gli abitanti dell'ejido Lázaro Cárdenas, municipio di Huitiupán, che denunciano che lo scorso 29 maggio hanno subito un'incursione intimidatoria dell'Esercito federale nella loro comunità. Un'altra.

Questi indigeni, basi d'appoggio dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) da settimane denunciano l'ostilità che subiscono da circa tre mesi e che ora si è intensificata.

La comunità è in allerta.

"I soldati ci terrorizzano sempre più perché arrivano giorno e notte a diversi orari. La popolazione non dorme più tranquilla, ci trattano come delinquenti. Non sappiamo che cosa dobbiamo al governo. È forse un crimine organizzare un lavoro sociale? Sappiamo che esistono leggi ed è un diritto organizzare lavori collettivi, ma l'Esercito ci interroga per sapere perché la popolazione è così povera, come se il governo non lo sapesse o lo ignorasse. Il governo manda i soldati come supervisori e loro ne approfittano".

Per i campesinos in resistenza "si tratta di una strategia militare del governo con intenti di controinsurrezione e per terrorizzare la popolazione civile".

Gli ejidatari di Lázaro Cárdenas affermano che "nella regione si stanno preparando gruppi di paramilitari di Desarrollo, Paz y Justicia per attaccare le comunità che non stanno con loro. Leader e dirigenti priisti organizzano gruppi di giovani drogati per seminare l terrore nelle comunità, ma noi sappiamo che è il governo federale e statale che forniscono istruzioni a queste organizzazioni per seminare il terrore e dividere la gente".

Gli indigeni si chiedono: "Sarà questo il cambiamento annunciato dal governo di Fox?".

Chiedono che la loro denuncia "venga ascoltata" perché "da altre comunità ci giunge voce che ci sono ordini di cattura contro di noi".

Con malizioso candore aggiungono: "Dubitiamo di questo, perché non siamo delinquenti".

In diverse occasioni questi ejidatari di Huitiupán (municipio che si trova nella regione tzotzil della zona nord, vicino a Los Altos) hanno affermato: "Quello che chiediamo è giusto. Non vogliamo cadere nella provocazione, sappiamo rispettare le leggi delle autorità competenti e vogliamo vivere in pace".

Già prima, il 22 maggio, alle 3 del mattino, ora molto opportuna, erano entrate nell'ejido tre pattuglie della Polizia Giudiziaria "che gironzolavano". Poi "elementi dell'Esercito federale si sono messi ai bordi della comunità e siccome era buio non si è potuto vedere quanti giudiziali e militari ci fossero e neppure i numeri delle targhe". Il fatto ha provocato grande paura tra gli abitanti che da allora "temono che possa accadere qualche fatto violento".

All'inizio di maggio I rappresentanti di Lázaro Cárdenas avevano reso noto un "nuovo tentativo" dei soldati federali, della Pubblica Sicurezza e degli agenti della Giudiziaria di occupare l'ejido. In quell'occasione sono arrivati due camion di soldati federali che trasportavano 36 soldati ciascuno ed un veicolo con agenti della Pubblica Sicurezza "confusi" con giudiziali e paramilitari.

"Sono arrivati e domandavano i nomi delle persone regalando dolci e denaro ai bambini affinché fornissero informazioni o dicessero se qualcuno era contrario al governo o se c'era qualche movimento" riferiscono i braccianti.

"Hanno anche spaventato la comunità dicendo che sarebbero venuti ancora e con più soldati".

Anche se gli indigeni ignorano il motivo di questa ostilità, dichiarano: "Quello che sappiamo è che nella regione si stanno preparando i paramilitari dell'organizzazione Desarrollo, Paz y Justicia". Ed ancora si chiedono se sia questo "il cambiamento tanto annunciato" dall'attuale governo federale.

"Il cambiamento è forse organizzare gruppi paramilitari, disgregare l'organizzazione della gente e dividere affinché in una piccola comunità ci siano due o tre gruppi di autorità?".

Invece di rispettare gli accordi firmati dal governo federale e dall'EZLN su diritti e cultura indigeni, "il governo attuale ci fa la guerra senza porre fine a questo conflitto per raggiungere una pace vera".

"Vogliamo dire ai governi federale e statale che interrompano le aggressioni contro le comunità, che non mandino i soldati, la Pubblica Sicurezza, i paramilitari. Che le comunità indigene non abbiamo due o tre gruppi che nominano ognuno le proprie autorità disconoscendo le autorità nominate dalla maggioranza. Noi diciamo che non siamo delinquenti, non siamo violenti, sappiamo rispettare le leggi e l'essere umano. Non abbiamo bisogno di soldati e né di giudiziali che ci vengano a proteggere o spaventare ogni momento con le loro armi da fuoco", dichiarano i rappresentanti dell'ejido Lázaro Cárdenas, e chiedono al governo "che rispetti i popoli del Messico e comandi obbedendo alle autorità del popolo".


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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