Il MANIFESTO - 3 febbraio 2002

Nove mesi di silenzio zapatista. Perché?

L'ultimo comunicato dell'Ezln risale al 29 aprile 2001

dopo la legge-truffa sull'autonomia indigena

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

É ormai da nove mesi che gli zapatisti sono apparentemente usciti di scena. È come se la selva Lacandona li avesse reinghiottiti, passamontagna e tutto. E su loro è sceso il silenzio.

Dopo la storica carovana della primavera scorsa, che ha portato 24 comandanti dell'Ezln nel cuore della capitale federale sulla ola di milioni di persone, il riconoscimento costituzionale dei popoli originari sembrava ormai cosa fatta.

Invece, la ley indigena votata in aprile dal Congresso, che snaturava e mutilava gli accordi di San Andrés firmati dal governo e dagli zapatisti nel 1996, ha preteso di riportare indietro l'orologio della storia. E soprattutto, ha rivelato la tragica distanza fra le istituzioni e la società in un momento decisivo.

Uno dei pochi gol politici segnati dal presidente Fox nel suo primo anno di governo, contrassegnato da svariate autoreti, è stato il permettere la marcia zapatista. Ossessionato dalla sua costante perdita di popolarità, Fox ebbe allora un breve momento di rilancio. Ma fallì nel suo scopo ultimo, che era quello della foto abbracciato al mitico sub Marcos. Una foto che avrebbe significato miliardi di dollari in investimenti stranieri e la fama di grande statista pacificatore.

Ingenuità

Il Congresso, a cui gli zapatisti si erano ingenuamente appellati, in nome di più di 50 popoli indoamericani, per la riparazione di cinque secoli di ingiustizie e l'instaurazione di un nuovo patto sociale, si è rivelato uno zelante guardiano - o prigioniero? - degli interessi delle multinazionali.

Di fatto, il solo concetto di autonomia indigena, con quello che comporta sull'uso delle risorse territoriali, suona come campane a morto per i mega-progetti neo-liberali.

Il corridoio trans-istmico - alternativa terrestre all'obsoleto canale di Panama - deve attraversare lo stato di Oaxaca, dove centinaia di comunità zapoteche, storicamente autonome e combattive, sono già "sul piede di guerra".

Il Plan Puebla-Panamá, che vuole seminare maquilas per tutto il sud del Messico e il Centroamerica, è sempre più in discussione.

La figura più misera nell'approvazione della ley indigena truffaldina l'ha fatta il Prd, il Partido de la Revolución Democrática, che ha deluso gravemente la sinistra - o ciò che di essa resta - votando a favore in Senato e ripensandoci poi - ma troppo tardi - alla Camera.

Per gli zapatisti, è stato un brusco atterraggio: dal bagno di folla e di entusiasmo che diede loro la parola nel Congresso, facendo risuonare per la prima volta le lingue autoctone in quell'aula, alla realtà di una finta riforma, addirittura regressiva rispetto alla legislazione già vigente.

L'ultimo comunicato dell'Ezln, datato 29 aprile 2001, dichiara: "Con questa riforma, i legislatori federali e il governo foxista chiudono la porta del dialogo e della pace". Gli zapatisti fanno un appello alla società civile nazionale e internazionale per organizzare mobilitazioni e invitano il Congresso nazionale indigeno a mantenere forme di resistenza civile.

Da allora, non riprendono più la parola.

Non è la prima volta che gli zapatisti scelgono il silenzio, opponendolo al bla-bla dei politici.

Nel 1998, rompendo cinque mesi di silenzio, la Quinta dichiarazione della Selva Lacandona diceva: "Mentre il governo ammucchiava parole vuote, noi zapatisti abbiamo fatto del silenzio un'arma di lotta. Così come dopo i combattimenti del gennaio 1994 abbiamo scoperto nella parola un'arma, ora lo facciamo con il silenzio. (...) Con la ragione, la verità e la storia, si può combattere e vincere...tacendo".

Nel 2000, ci vollero altri cinque mesi prima che gli zapatisti commentassero i risultati elettorali che avevano portato alla sconfitta del Pri, il Partido Revolucionario Institucional, dopo settant'anni di governo.

Adesso, però, il silenzio di nove mesi è il più lungo nella storia pubblica dell'Ezln.

Non si è rotto, incredibilmente, per l'11 settembre e la guerra in Afghanistan.

E non sembra rompersi neanche per il Forum Social Mundial di Porto Alegre, un evento considerato importante dagli zapatisti ma a cui difficilmente potranno assistere.

L'assenza dalla scena provoca anche le speculazioni più differenti: da quelle, malevole, che scommettono da sempre sulla paralisi e la disgregazione dell'Ezln, a quelle benevole, che considerano che gli zapatisti si sono ritirati volontariamente dalla scena per lasciare la parola - e l'iniziativa - ai municipi autonomi, al movimento indigeno e alla società.

Il mauna dei saggi induisti e buddisti è una pratica di silenzio totale che può durare anni, fortifica le capacità di meditazione e restituisce alla parola il suo potere primigenio.

Per le culture indoamericane, la parola è energia, capace di modificare la realtà, di curare e di uccidere.

E se l'attuale agrafia di Marcos, un autore felicemente prolifico, fosse come quella dell'ultimo Rimbaud?

O se, più semplicemente, non fosse nient'altro che un'oculata strategia, dopo la sovraesposizione mediatica della marcia?

Sopra il vulcano

Sul fronte politico, il tempo è al burrascoso.

I tre maggiori partiti - il Pan, il Pri e il Prd - stanno eleggendo contemporaneamente i nuovi dirigenti che dovranno portarli alle elezioni mid-term del 2003. In tutti e tre, ci sono, simmetricamente, due anime - o progetti o bande rivali - pronte a tutto pur di controllare il partito.

Lo scandalo di Pemex, l'ente petrolifero statale che avrebbe finanziato la campagna presidenziale del Pri nel 2000, è un parente povero di quello dell'Enron, che pure ha appendici messicane. Se il caso Pemex andrà a fondo, consegnando alla giustizia qualche pesce grosso della passata amministrazione, si illustrerà un segreto di Pulcinella: che il Pri si serviva illegalmente di denaro pubblico per finanziare le proprie campagne elettorali.

Il governo Fox, ridicolizzato quotidianamente dai cartoonist per le dichiarazioni dissociate dei suoi ministri, vorrebbe far passare lo scandalo Pemex come una lotta alla corruzione del regime anteriore. Ma è chiaro a tutti che, così facendo, si sta aiutando la fazione più "dinosaura", corrotta e salinista del Pri.

A poco più di un anno dall'illusione che la sconfitta del Pri avrebbe portato alla democratizzazione del paese, il Messico di sotto è sempre più represso, affamato e disoccupato.

Con la sua voracità imprenditoriale, il governo Fox sta attizzando la rivolta popolare.

Il progetto di un nuovo aeroporto internazionale a Texcoco, in un'area lacustre vicino alla capitale, trova tutti contrari, a partire dagli abitanti della zona e dalle autorità locali. Nei prossimi giorni, la corte costituzionale dovrà pronunciarsi sui ricorsi presentati da varie comunità della zona, che non vogliono abbandonare le loro terre per le magre indennizzazioni promesse.

In Chiapas, un anno del nuovo governo di Pablo Salazar Mendiguchia, il primo di opposizione nello stato, ha cambiato poco o niente. Hermann Bellinghausen, il giornalista più vicino ai municipi autonomi, registra aggressioni quotidiane dell'esercito, posti di blocco e maltrattamenti agli abitanti delle comunità che simpatizzano per gli zapatisti. Nessuna banda paramilitare è stata finora disarmata e migliaia di rifugiati vivono ancora in campi profughi, dopo anni di esilio dalle loro case. Il processo di ritorno, tanto pubblicizzato dal governo dello stato, è lento, incerto e rischioso.

In alcune regioni, i paramilitari sono più aggressivi e minacciosi che mai.

In altre, sorgono rivalità fomentate su base religiosa (cattolici tradizionalisti contro protestanti) o politica (ultimamente addirittura fra basi zapatiste e seguaci del Prd, di solito alleati).

La miseria e il deterioro prodotti da decenni di saccheggio e malgoverno, innestati su secoli di razzismo e asservimento, non sembrano cambiare, almeno non al ritmo sperato.

L'ottimismo generato dalla grande mobilitazione del marzo scorso in favore dei diritti indigeni si è spento nel silenzio zapatista.

In questo apparente stallo, a chi tocca la prossima mossa?

In un discorso sulla via del ritorno, a Juchitán, città india e orgogliosa, il subcomandante Marcos disse :"Ad alcuni tocca cominciare, ma finire è lavoro di tutti".


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