LIBERAZIONE - 2 agosto 2002

Elevati agli onori degli altari due indios odiati dai nativi

Il Papa in Messico beatifica il colonialismo

F. F. Città del Messico - nostro inviato

"Come dice una canzone, me ne vado ma il mio cuore resta", dice il Papa ai fedeli lasciando la basilica di Guadalupe diretto all'aereo su cui salirà ancora una volta a piedi. Loro rispondono intonando "Mexico lindo y querido". Le note finali sono quelle malinconiche di "Las Golondrinas".

Wojtyla ha appena elevato agli onori degli altari due nuovi beati indigeni che, però, con il loro popolo non andarono molto d'accordo. Dopo le apparizioni mariane dell'atzeco Juan Diego che servirono a convertire i nativi, Wojtyla celebra una storia tutta seicentesca nel pieno della dominazione spagnola e dell'inquisizione. Juan Batista e Jacinto Los Angeles, incaricati dai domenicani di vigilare sulla "purezza della fede" come "fiscales", andarono a riferire che in un villaggio si continuavano a celebrare i riti "pagani". Gli indigeni reagirono assediando il convento e i due laici si offrirono alla morte. In seguito, gli spagnoli li vendicarono uccidendo quindici nativi. "Affrontarono il martirio mantenendosi fedeli al culto del Dio vivo e vero, rifiutando gli idoli", conferma Giovanni Paolo II.

Per due giorni ha fatto appello alla dignità degli oppressi mentre la fondazione vaticana "Populorum progressio", riunita in Bolivia, stanziava un milione e ottocentomila dollari per 223 progetti di aiuto agli indios. Ora invece il Papa raccomanda loro la conversione religiosa "senza mitizzare i costumi ancestrali". "L'amalgama di culture" del Messico - aggiunge - dipende anche dal fatto che i domenicani "utilizzarono le lingue e gli usi dei nativi". Nessuna autocritica per il tragico passato coloniale che accompagnò l'opera missionaria del tempo.

La folla è in festa, sono arrivati anche dalla regione di Oaxaca, quella dei due beati, nel sud del Paese, terra di popolazioni indigene.

Che si santifichi Juan Diego o si beatifichino altri, la festa resta comunque per il Papa e per il suo "gran corazon". Wojtyla, che in Canada si spostava in elicottero, qui percorre più volte in papa-mobile venti chilometri di strada colma di gente. Lo spettacolo è fuori dalla chiesa, nelle lunghe attese, nelle ovazioni interminabili e negli occhi lucidi su visi che ricordano Cortés ed altri che evocano Montezuma. Il Papa stesso - racconta il portavoce Navarro - si domanda: "Ma quando vanno a dormire?".

Sono meno significative le coreografie liturgiche, con i riti delle donne Zapotecas che "purificano" l'anziano pontefice. Per il quotidiano di sinistra La Jornada queste danze sono una rappresentazione folcloristica di Amalia Hernadez. I poveri veri non recitano.

Giovanni Paolo II è già in volo verso Ciampino dove arriverà stamattina alle nove. Lascia un Messico "sempre fedele" ma anche una coda di polemiche.

Qualche giornale messicano insegue la storia della "gran dama" Martha Sahagun, seconda moglie del divorziato Vicente Fox, il presidente cattolico che evidentemente non rispetta i precetti. Per "cortesia" il Papa ha ricevuto anche lei. Gli interessi della Chiesa sono ben altri e la maggior parte della stampa, infatti, dà conto delle reazioni negative del Partito della rivoluzione democratica, del Partito del lavoro e di diversi esponenti del Partito repubblicano contro "l'eccesso", "l'imprudenza", la "violazione costituzionale" del capo di stato che ha baciato l'anello pontificio e ha partecipato alle messe papali.

Si rivolta la memoria di Benito Juarez, l'eroe nazionale che scrisse la Costituzione laica del 1857, si ribella l'intero murales che, dentro il palazzo presidenziale, racconta di Pancho Villa, di Zapata e della rivoluzione del 1810.

La netta separazione tra Stato e chiesa stabilita dalle Leggi di Riforma aveva già rinunciato alle norme che limitavano il clero. Rimane ancora in vigore la legge sui culti che vieta alle autorità statali di compiere atti religiosi in pubblico.

Ventitré anni fa, quando il neoeletto Giovanni Paolo II sbarcò per la prima volta a Città del Messico, anche i vescovi dovettero indossare abiti borghesi e per lo scambio di ambasciatori il Vaticano dovette aspettare fino al 1992. Ora invece Fox invoca e ottiene l'appoggio della Chiesa coltivando l'elettorato cattolico. Ci fa conto anche per tagliare le punte della rivolta indigena.

Non è un caso che a difendere il presidente sulle pagine di Reforma sia proprio monsignor Felipe Arizmendi, il vescovo di San Cristóbal in Chiapas che il Vaticano ha messo al posto di Samuel Ruiz, l'amico degli zapatisti.

Intanto, del gran clamore italiano sul presunto attentato al Papa che ha ispirato i titoli dei maggiori giornali nostrani, qui nessuno si è accorto. È già stato affidato alla famiglia il ragazzo quattordicenne che ha sparato dalla finestra con una pistola ad aria compressa nella zona dello Zocatas affollata di fedeli quando Wojtyla era lontanissimo, ancora in chiesa. Non si conoscono le ragioni della bravata, comunque non avrebbe potuto colpire nessuno.


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