Liberazione - 1° agosto 2002

Giovanni Paolo II santifica Juan Diego, l'indio che vide incinta la madonna morenita

Un santo indio per il Messico

Momenti di tensione alla notizia di un attentato: era solo un adolescente con un fucile ad aria compressa - Navarro: "il corteo papale non si è accorto di nulla"

Fulvio Fania - Città del Messico - nostro inviato

Un santo atzeco e un bacio di troppo. La prima giornata messicana di Wojtyla trascorre tra opposte emozioni. E anche con un po' di tensione. Un giovane di 14 anni, subito arrestato, ha infatti sparato un colpo di fucile ad aria compressa dopo il passaggio del pontefice. Secondo la polizia non ci sarebbero feriti e il portavoce vaticano Navarro ha precisato che il corteo papale non si è accorto di nulla.

Il bacio è invece quello che il presidente Vicente Fox, cattolico benché divorziato, ha impresso sull'anello di Giovanni Paolo II. L'immagine fa subito il giro delle tv e dei giornali. "È questo lo stato laico?" si domanda la prima pagina de La Jornada, ma anche la stampa di destra dà rilievo al gesto che segna una svolta nelle tradizioni repubblicane. Non è la prima volta né sarà l'ultima, visto che il capo di stato prende parte anche alla messa mentre l'effigie della Madonna alle spalle dell'altare è contornata dal tricolore messicano.

Il santo, invece, è Juan Diego, l'indio Cuauhtlatoatzin (Colui che parla come aquila) che, secondo la fede, nel 1531 vide la Madonna morenita, quella figura meticcia e incinta che avrebbe segnato la conversione di otto milioni di atzechi.

Sotto il grande tendone in cemento armato che è il moderno santuario di Guadalupe, dodici ragazzi indigeni con le piume di pavone sul capo irrompono nella messa. Avanzano danzando al suono della conchiglia e al tintinnio delle maracas, sovvertono i canoni della liturgia e fanno inumidire gli occhi ai nativi. Suggestivo. Finalmente c'è un santo tutto loro a cui rivolgere la preghiera perché cambi qualcosa anche tra i comuni mortali.

Giovanni Paolo II lo offre come simbolo di "una nuova identità messicana" che riconosca "le legittime aspirazioni e gli autentici valori di ciascun gruppo etnico" perché "il Messico ha bisogno degli indigeni e loro hanno bisogno del Messico". Insomma, non più la religione dei conquistatori o almeno non solo.

Dopo l'appello a sostegno dei nativi e dei campesinos pronunciato in Guatemala, anche queste sono parole di conforto per la dignità degli indios.

Antonio Vasquez Romero e i suoi compagni del popolo Nahualt piangono di commozione e sostengono che questa cerimonia servirà all'unità degli indigeni e a dare speranza.

Non tutti ci credono.

Mario Hermandez Perez, della Coalizione dei nativi del Chiapas, replica che "la dignità si difende in terra, non in cielo e che la Chiesa non può lavarsi l'anima con Juan Diego".

Dubbi forti anche tra i vescovi di frontiera.

Per esempio Raul Vera, l'ex ausiliare di San Cristóbal ora relegato nella diocesi settentrionale di Saltillo, che prima dell'arrivo del Papa aveva detto che il nuovo santo non allevierà l'oppressione dei poveri.

Il presidente Fox, al momento della sua elezione, aveva aperto una breccia nel muro della repressione: gli zapatisti avevano potuto marciare fino al Congresso federale. Ora invece le trattative sono ferme da mesi, bloccate dal petrolio e dall'acqua che in genere contano più dei santi.

Wojtyla, comunque, esorta ad un processo di pacificazione che qui deve fare i conti con oltre mezzo millennio di colonizzazione. La conversione atzeca risale ai tempi dell'Inquisizione e nella sua seconda cerimonia Giovanni Paolo II beatificherà altri due indigeni martiri, che però furono uccisi dalla gente del loro stesso popolo, nel 1700, perché avevano fatto la spia ai domenicani sui riti tradizionali che i "convertiti" continuavano a celebrare. D'altra parte, la Chiesa stessa si era divisa sulla verità storica di Juan Diego, che molti considerano mai esistito. L'ex abate del santuario di Guadalupe, Guillermo Shullemburg, - andato all'estero - sospetta che questa canonizzazione sia un artificio del cardinale di Città del Messico Norberto Rivera, che si considera tra i papabili.

Quanto al Messico, questa quinta visita di Wojtyla rafforza l'intesa con il Vaticano. Non a caso nell'omelia il Papa parla di "momento decisivo della storia messicana" e, subito dopo, si riferisce alla famiglia e all'educazione cristiana. La scuola cattolica ambisce agli aiuti pubblici, in prima fila la potente organizzazione dei Legionari di Cristo, nota per il suo credo tradizionalista.

Una richiesta del genere fa a pugni con il Messico laico erede della rivoluzione del 1910.

Wojtyla ha già celebrato i martiri dell'anticlericalismo massonico. Ma adesso si tratta d'altro.

L'entusiasmo dei fedeli è alle stelle ma non si vedono i milioni di persone che erano stati annunciati. L'area della celebrazione conta appena cinquantamila persone mentre è difficile misurare le masse radunate nelle strade a inneggiare il Papa.

Giovanni Paolo II è la copia stanca del pontefice ritemprato che avevamo visto in Canada: l'altitudine degli altipiani centroamericani si fa sentire.


Dai messicani arrivati da tutto il paese l'entusiasmo che era mancato a Toronto

Una vera "fiesta" per Wojtyla

Fulvio Fania - Città del Messico - nostro inviato

È qui il clima di fiesta, non a Toronto. Dopo i settecentomila campesinos del Guatemala, ora toccherebbe ai cattolici messicani. Per entusiasmo reggono il confronto.

Aspettiamo il passaggio del Papa all'angolo di Insurgentes, non molto distante dalla nunziatura dove alloggia. In Italia è già notte, qui invece il sole sta calando lentamente dietro l'altopiano mentre si accendono i lampioni che fanno poca luce.

La gente è assiepata da ore e arriva da ogni strada. Giovani a frotte, vecchi con lo sgabello, intere famiglie con le sedie, bambini in braccio alle mamme, muratori con i sandali ancora coperti di calce. In mezzo a loro si vendono pezzi di santità a pochi pesos, un'immaginetta con Juan Diego e la Madonna morenita, la bandierina vaticana, la foto del Papa quando scalava le montagne, perfino un tubo di cartone munito di specchietto che chiamano "telescopio".

In mezzo alla strada un ragazzo sale sulla pedana rotonda del vigile e dirige il coro: "Juan Pablo secundo, te quiere todo el mundo" e una infinità di varianti. Qui si scopre che il nome di "Jesus" si può gridare come fosse quello Maradona e così pure Maria o anche "Cristo re".

Questa gente non attende un uomo. "Il Papa per me? È il rappresentante di Cristo sulla terra", ti rispondono senza alcuna ombra di scetticismo. Pochissimi lo definiscono "il capo della Chiesa". Ma davvero non c'è niente di cattivo nella Chiesa? Sì, ci rispondono un'impiegata e uno statale: quei preti che fanno male ai bambini. Un affare, secondo loro, che riguarda soltanto gli americani ricchi.

Arrampicata sul muretto, in un gruppo di ragazze, c'è Lorena, novizia di 25 anni. Ammira il vecchio vescovo del Chiapas Samuel Ruiz e dice che laggiù chi lotta cerca soltanto di difendere i diritti degli indigeni. Attraversi la strada e trovi due bancarie che invece ripetono la versione ufficiale: lo scontro in Chiapas è una questione messicana e troppi stranieri ci vengono a mettere il naso.

"Si vede, si sente, il Papa è già presente", scandisce il coro; si ride, si scherza.

Al nome del presidente Fox si accende una piccola discussione tra l'insegnante che rimpiange i governi del Pri e un foxista convinto. Anche secondo il giovane Jonatan adesso "c'è più democrazia", invece per l'operaio meccanico che gli sta di fronte l'economia "è peggiorata e pessima".

Ma Juan Pablo, quando arriva? Una giovane ha portato un televisore a pila, si possono vedere le immagini dell'aeroporto, anche là un sacco di gente. Stavolta Wojtyla scende con il montacarichi, due ore prima in Guatemala era salito sull'aereo con le proprie gambe. Sono dettagli da vaticanisti, qui non importa nulla e poi il Papa lo vogliono vedere dal vivo, mica in tv. Occhi neri brillano su visi splendidi e corpi minuti. Una mamma scherza con il figlio, è come recitasse una cantilena: "Perché son qui? Perché amo il Papa. E perché amo il Papa se non lo conosco? Non so, ma amo il Papa".

Eccolo, arriva, l'urlo si alza. Wojtyla, in quest'ultimo tratto si è seduto sulla papa-mobile e tiene pure la testa tra le mani.

Che peccato, viva il Papa.

Un gruppo di giovani canta a più non posso, provengono da un paese a 350 chilometri di distanza, sono felici e innamorati del Papa e della Chiesa. Li spiazziamo: che cosa pensate di Bush? "Buuh" rispondono con tutto lo sdegno di messicani. E di Castro? "Meglio, ha buone idee". Ma cosa c'entra con la vostra fede? "Niente".

Vorreste che il prossimo papa fosse latino-americano? Tutti rispondono sì.

Troviamo soltanto una donna che lo preferirebbe "romano" "per rispettare la tradizione": ma Cracovia è a Roma?


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