21 marzo del 2000

A: Germán Dehesa

Messico, DF


Don Germán,

è da tempo che ho voglia di scriverle. La leggo da molto tempo (sempre, chiaro, che Reforma arrivi nella Selva Lacandona), con attenzione e divertita serietà (che c'è, forse no?). Ora, leggendo la sua colonna di giovedì 16 marzo, vedo che, generoso, lei ha un udito attento alle nostre parole. Tenterò di non estendermi troppo. Sale y vale.

Chiede lei, innanzi tutto, "Cosa ha fatto l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per preservare la Selva Lacandona?"

Rispondo: dettare leggi e vigilare la loro osservanza. Come lei non saprà (perché il governo ha presentato i municipi autonomi indigeni come secessionisti) le autorità autonome delle comunità indigene zapatiste della Selva Lacandona, hanno dettato una legge che proibisce "la sarchiatura, l'abbattimento e l'incendio del monte alto" (i compagni usano la parola "monte alto" per riferirsi alle zone boschive, così le differenziano dalle milpas ­ terreni coltivati ­ e dagli "acahuales" terreni con vegetazione bassa, invariabilmente rovi , cardi , liane ed altre piante parassite). Le comunità non si sono accontentate con lo stabilire e diffondere queste leggi, si sono anche incaricate di vigilare sul loro rispetto e sanzionare per la loro mancata osservanza. Lavoro comunitario extra e multe sono le pene per questo reato. E, occhio, si attua. Così come sono riuscite non solo ad arrestare la distruzione delle zone boschive della Selva Lacandona, sono anche riuscite a modificare in parte i sistemi di semina nelle comunità. Per far fronte agli incendi che proliferano in quest'epoca dell'anno, i villaggi hanno un sistema di comunicazione e di segnali per soccorrersi a vicenda se il fuoco si estende. Risultato? Nelle zone zapatiste ci sono decine di migliaia di "pompieri" esperti. Questo ed altro fanno questi indigeni, signor Dehesa, per proteggere la terra che, per loro, non è solo un mezzo di sopravvivenza, ma è anche il luogo della memoria, della cultura, della storia. Questo fanno questi indigeni che sono ribelli contro un governo che si rifiuta di mantenere la parola data e che, alle richieste di giustizia, ha risposto inviando decine di migliaia di soldati che, credetemi signor Dehesa, non vengono in Chiapas a piantare gli alberelli che lei ha visto a San Miguel de los Jagüeyes, bensì a seminare il terrore che lei vedrà solo sui volti degli uomini, donne, bambini ed anziani che hanno la disgrazia di avere, sui loro terreni, una caserma di soldati, diversi bar, almeno un bordello, e nessun rispetto per l'autorità civile.

Le racconto questo, signor Dehesa, non perchè ho intenzione di "convertirla" in zapatista o di reclutarla. Lo faccio perché credo che lei sia tanto intelligente come lo riflettono i suoi scritti (anzi di più, ci sono bagliori che neppure le parole rivelano). È chiaro che non fu "innocente" che la invitassero a San Miguel de los Jagüeyes (e non ad Acteal, o ad Amador Hernández, ad Amparo Aguantinta, a Taniperla, a Roberto Barrios o in altri luoghi di "rimboschimento" bellico), e che lei lo capisce.

Dato che sono sicuro che lei è di ampie vedute ed inquieto abbastanza da conoscere le diverse immagini di una stessa realtà, io la invito a venire in Chiapas in incognito, che vada a Comitán e lì prenda un taxi aereo alla comunità di Amador Hernández. Dall'aria, quasi all'arrivo, potrà apprezzare l'abbattimento brutale di alberi che i soldati lì posizionati hanno fatto per i loro eliporti, la quantità di foresta disboscata per pulire i "campi da fuoco" per le loro mitragliatrici. Se scende e riesce a penetrare nella fortificazione militare, potrà vedere i bidoni di defoglianti che stanno nei loro magazzini, i lanciafiamme che, insieme ai mortai e alle mitragliatrici leggere, costituiscono parte del loro arsenale.

Vada ad Amador Hernández, non lo accoglierà alcun segretario di Stato od alcun "alto capo" della guerriglia zapatista, nè si occuperà di lei alcun incaricato alle relazioni pubbliche. Lo accoglieranno uomini e donne indigeni tzeltales, le mostreranno le loro coltivazioni distrutte, le loro fonti d'acqua inquinate, la spazzatura non organica che gettano in giro i militari, le trappole "caza-bobos" con stecche acuminate sul fondo della buca, le muraglie di rami e alberi tagliati, dietro di cui si nascondono i militari per non vedere i cartelli che gli uomini e le donne indigene gli presentano tutti i giorni esigendo che si ritirino. Venga señor Dehesa, non ha nulla da perdere e probabilmente molto da capire. Potrebbe (è un suggerimento) portare con sé Madame Loaeza (che pure voleva fare il suo giro), sono sicuro che lei ideerà un buon travestimento affinché entrambi passiate inosservati e possiate costatare in questo modo l'altra realtà dei soldati federali nella Selva Lacandona.

Perchè questi soldati che il signor Aguilar Zinser vede (e applaude) proteggendo" i boschi della Selva Lacandona, sono i complici dei tagliaboschi (i grandi camion con legname clandestino hanno via libera nei posti di blocco militari nelle cañadas); sono gli stessi che hanno stuprato le donne indigene nella comunità di Morelia; gli stessi che hanno giustiziato sommariamente degli indigeni ad Ocosingo; gli stessi che addestrano paramilitari (la cui maggiore impresa "forestale" è la strage di bambini, donne, uomini e anziani ad Acteal); che convertono le scuole e le chiese in caserme (vada a visitare la zona norte del Chiapas); che prostituiscono le donne indigene (parli con le donne priiste di San Quintín); che nel "fiammante" ospedale del vecchio Guadalupe Tepeyac rubano i nascituri per venderli (completi o in parti) nel mercato nero degli Stati Uniti; che seminano, trafficano e consumano droghe (che le mostrino i dintorni delle caserme di Guadalupe Tepeyac, San Quintín, Taniperla, Ibarra, La Soledad, per citarne alcune); che proteggono i narcotrafficanti nelle loro rotte verso l'Unione Americana (dal 1995, anno del "recupero della sovranità nazionale", i cartelli sudamericani "hanno recuperato" il trampolino che avevano perso con l'insurrezione dell'EZLN); che hanno introdotto alcol nelle comunità (può lei apprezzare i convogli militari mentre scortano i camion colmi di bevande alcoliche!); gli stessi che perseguono, minacciano, picchiano, incarcerano, violentano ed ammazzano gli indigeni messicani (in qualsiasi comunità che abbia la disgrazia di avere una caserma vicina) che, fin dove intendo, valgono lo stesso (al meno) come qualsiasi alberello.

Venga, signor Dehesa, venga e veda e parli e chieda che le mostrino l'interno della caserma che l'esercito ha nella comunità di San Quintín (alle porte della biosfera dei Montes Azules), lì potrà vedere le efficienti e moderne segrete destinate alla tortura di indigeni, i tunnel per "far sparire" le persone senza lasciare tracce agli osservatori dei diritti umani. Venga, veda e ascolti.

Venga e vedrà che esistono due progetti sul domani: quello del governo e quello degli indigeni. Il nostro cerca di "creare le condizioni affinché la nostra buona gente della campagna recuperi grazie al suo sforzo: la sua storia, pensiero, dignità, rispettabilità ed iniziativa". (Dehesa, G. Reforma, venerdì 17 marzo 2000), e questo che non siamo in campagna elettorale.

Non creda a me, signor Dehesa, creda a ciò che vedono i suoi occhi e ascoltino le sue orecchie. Se non fosse possibile il suo viaggio, non faccia caso a quello che le sto scrivendo. Veda, piuttosto, le centinaia di dossier delle organizzazioni non governative, degli scienziati e ricercatori, dell'Alto Commissario dell'ONU per i Diritti Umani. Tutti loro raccomandano l'uscita dell'esercito dal Chiapas. E non è perchè vogliono vedere i boschi distrutti. È perché non hanno visto i soldati piantare alberelli, ma violare i diritti umani.

Bene signor Dehesa, spero di essermi limitato alle cartelle che, immagino, occupano la sua colonna. Per il resto, non creda alla faccenda della posta elettronica, l'unico mezzo effettivo di comunicazione con il Comando Generale dell'EZLN continua ad essere quello che offrono un paio di scarponi, un po' rotti, è vero, ma ancora utilizzabili. Ignoro se lei pubblicherà la presente o il tono della sua risposta. Qualunque questa sia, sappia che lei conta con, almeno, due lettori (includo La Mar) in queste montagne del Sudest messicano che, nonostante non condividono molte delle sue opinioni e valori, sorridono di buona volontà al suo ingegno, la sua mordacità e allegria.

Vale. Salute e l'albero che vale è quello del domani.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos.

Messico, Marzo del 2000.

(tradotto da consolato Ribelle del Messico- Brescia)

P.S. IMPERTINENTE. Mi dimenticavo, Lei domandava anche: "Quanti alberi ha seminato Marcos?" Le rispondo: Senza contare il piccolo arancio che verdeggia alla porta del Comando Generale dell'EZLN, si può dire che ho seminato solo un altro albero. Questo albero è molto peculiare. Non solo perché per piantarlo è stato necessario il concorso di migliaia di uomini e donne per varie generazioni; non solo perché il suo concime contiene molti dolori e, è giusto dirlo, non pochi sorrisi. No, signor Dehesa, l'albero che abbiamo seminato qui è peculiare perché è un albero per tutti, per quelli che non sono ancora nati, per quelli che non abbiamo conosciuto, per quelli che ci saranno quando noi ci saremo persi dietro l'angolo di qualsiasi calendario. Quando il nostro albero sarà cresciuto, sotto la sua ombra si siederanno grandi e piccoli, bianchi e bruni e rossi e blu, indigeni e meticci, uomini e donne, alti e bassi, senza che tali differenze abbiano importanza e, soprattutto, senza che nessuno di loro si senta inferiore o peggiore o si vergogni di essere com'è. Sotto questo albero ci sarà rispetto per l'altro, dignità (che non significa superbia), giustizia e libertà. Se mi sollecita a definire brevemente questo albero le dirò che è l'albero della speranza. Se in un domani qualsiasi sulla carta geografica del Chiapas, al posto di un'immensa zona verde attraversata dalle azzurre linee dei fiumi e torrenti, si vedranno segni di pozzi petroliferi, miniere di uranio, casinò da gioco, zone residenziali esclusive e basi militari, allora vorrà dire che quei soldati, che Lei dice che proteggono la Selva Lacandona, avranno vinto.

Non vorrà dire che noi abbiamo perso, solo che stiamo impiegando più tempo di quel che abbiamo pensato nel vincere...

IL P.S. PROPONE UN'ALTRA FINESTRA

(Off the Record: La Realtà)

(Postscriptum alla lettera 6.c.)

Marzo del 2000

A: Don Pablo González Casanova

UNAM, Messico

"Le finestre sono come i biscotti:

sono saporiti e nutrono".

Don Durito della Lacandona

Don Pablo,

certamente la sorprenderà l'epigrafe che intesta questa missiva, e ancora di più l'autore. Non è semplice da spiegare, però cercherò di farlo. Tutto è iniziato quando...

Su il cielo si stira da orizzonte a orizzonte. Tanto si stira che gli si lacera la pelle e appare la luce tra gli strappi. C'è pochissimo vento, pure così una brezza fugace mi porta gli echi di alcune voci. Scendo dalla Ceiba e cammino verso un lumicino coperto dagli alberi. Pare una piccola riunione o qualcosa di simile. Mi avvicino e "a distinguere mi soffermo le voci degli echi e ascolto solamente, tra le voci, una". Il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina versano il tè mentre discutono con La Mar un'inchiesta che afferma che il 90 per cento degli esseri umani preferirebbero celebrare il proprio non-compleanno e rinunciare ai festeggiamenti dell'anniversario. Queste cose accadono solo nelle montagne del sudest messicano. Io appartengo al 10 per cento che preferisce celebrare i compleanni, così sono rimasto senza tè e senza discussione.

Come si vuole che sia, il 21 già fa la ronda per tutti i calendari e, in mancanza di tè, ci sarà caffè e biscotti di animaletti. E parlando di animaletti, il gabinetto allargato di Zedillo (cioè, il proprio e il cosiddetto ­ presuntuosamente ­ "squadra di campagna" di Labastida) molesta con le sue dichiarazioni il, ogni volta più rachitico, rispettabile. E non è che il rispettabile abbia perso la sua rispettabilità, ciò che accade è che diminuisce velocemente il numero di messicani e messicane che ascoltano ciò che il supremo dice loro.

Durito, che quando si tratta di biscotti si avventa come un politico che cerca il suo nome nelle liste dei candidati, compare da uno dei bordi del tavolo. Io stavo scrivendo una risposta per Don Pablo González Casanova (o meglio un postscriptum), quando Durito, buttando di lato la benda, la mano di legno e l'uncino, esclama-domanda-esige-richiede:

­ Qualcuno ha detto biscotti?

­ Non l'ho detto, l'ho scritto. E non emozionarti perché sono di animaletti e, per quanto ne so, non sono i tuoi favoriti.

- Perché mischi sempre la politica con cose tanto nobili come i biscotti? Inoltre, io so dove sono conservate delle "Pancrema".

Ho smesso immediatamente di scrivere.

­ "Pancrema"? Dove?

­ Niente, niente. Se non c'è tè, non ci sono biscotti.

­ Però Durito... Buono, contrattiamo: io te aiuto a sistemare la scatoletta di sardi..., pardon, la galera, e tu mi dici dove sono le "Pancrema".

Durito ci pensa un momento. Dopo domanda:

­ Questo vuol dire che lavi la coperta e plachi l'acqua nella tormenta?

­ Sì ­ dico vedendo che il cielo adesso non ha neanche una nuvola, così che non devo preoccuparmi per nessuna tormenta.

­ Seguimi ­ dice Durito e, scendendo del tavolo, inizia la marcia all'interno della montagna.

Ho preso la lampada, benché la luna la rendesse inutile. Non camminiamo molto.

Durito si è fermato di fronte a un Huapac' e ha indicato un ramo. ­ Lì ­ ha detto.

Ho guardato verso il punto indicato e ho visto un piccolo sacco appeso. Doveva essere una vecchia "cassetta da lettere", abbandonata da tempo da qualche nostra unità. Durito si è seduto ai piedi dell'albero, ha tirato fuori la sua pipa e si è messo a fumare. Io ho interpretato il suo silenzio e sono salito sull'albero, ho slegato il sacco e sono sceso con esso. Nell'aprirlo ho visto, in effetti, che c'era un vecchio pacchetto di biscotti "Pancrema", un paio di pile "AA", una torcia elettrica già ossidata, un libro vecchio e sciupato di Lewis Carrol (Al altro lato dello Specchio), un canzoniere zapatista... e un libro di teoria politica il cui autore è il Subcomandante Insurgente Marcos!

Non ricordo di aver scritto nessuno libro di teoria politica. Di più, non ricordo di aver scritto nessuno libro, punto. Certo che l'idea di un lungo scritto che espone ciò che gli zapatisti pensano della politica mi è frullato per la testa, però non si è concretizzato. Mi sono messo a sfogliare il libro mentre Durito dava debito conto dei biscotti. Quando mi sono girato, non restavano più nemmeno le briciole delle "Pancrema".

­ Te le sei mangiate tutte? ­ lo rimprovero.

­ Dovresti ringraziarmi. Erano più vecchie che il "nuovo" PRI. Durito mi guarda e aggiunge: ­ Vedo che qualcosa ti preoccupa. Puoi confidarmelo, mio caro naso sconcertato.

­È che ho trovato questo libro nella cassetta. Com'è possibile che trovi, in una vecchia cassetta postale di montagna, un libro che non è stato ancora scritto?

­ Il tuo problema trova soluzione nell'altro libro.

­ Quale? Quello di Lewis Carrol?

­ Naturalmente! Controlla il capitolo V.

Così ho fatto. Non sono molto sicuro, però credo che la risposta starebbe nel seguente dialogo tra Alice e la Regina Bianca:

"­ Questo è il risultato di vivere a ritroso ­ ha detto la Regina bonariamente ­.

All'inizio ciò ti fa sentire sempre un poco stordito.

­ Vivere a ritroso! ­ ripeté Alice, grandemente sorpresa ­. Non ho mai udito una cosa simile!

­ Però c'è una gran vantaggio in ciò: che la nostra memoria lavora in entrambi i sensi.

­ Sono certa che la mia lavora solo in un senso ­ osservò Alice ­. Non posso ricordare cose prima che accadano.

­È una triste memoria questa che solo può lavorare verso il passato, rispose la Regina.

­ Che tipi di cose lei ricorda meglio? ­ osò domandare Alice.

- Oh! Le cose che successero fra due settimane rispose la Regina negligentemente ­".

Lewis Carrol, Attraverso lo Specchio. Cap. V.

­ Di modo che ho tra le mani un libro che non è stato ancora scritto? ­ ho detto.

Così è. Siamo in una di quelle zone chiamate "finestre". Io lo guardo meravigliato. ­ Sì ­ dice Durito ­ "Finestre". Cioè in questi luoghi si può guardare verso l'altro lato, sia verso ciò che è passato, sia verso ciò che sta per succedere. Qui, por esempio, puoi vedere ciò che è stato il sessennio di Zedillo, e vedere anche il caos verso cui si dirige. Adesso l'unica cosa stabile è l'instabilità. Vi saranno problemi di ogni tipo.

­ Pare che lì la portino. Vedi già che la borsa valori è alle stelle e, non capisco bene, gli indici economici assicurano che non ci sarà "errore di dicembre".

­ Sarà perché avverrà in un altro mese. Durito pare accorgersi della mia perplessità perché quasi immediatamente aggiunge: ­ Devi capire - Durito mi guarda dubitativo e si corregge, ­ bene, devi cercare di capire che... guarda, cioè, leggi questo che sto scrivendo. Durito mi passa alcuni fogli scritti dove si legge:

APPUNTI CHE CERCANO DI SPIEGARE CIO' CHE DI PER SE' STA PER SUCCEDERE QUANDO STIA PER SUCCEDERE DI PER SE'.

Gli indici macroeconomici: l'ambito maquillage

In periodo elettorale abbondano, oltre ai candidati, le bugie. Una delle maggiori è quella che decanta le bontà di un apice economico che non si vede da nessuna parte. Ciechi nei confronti dei patimenti della gente comune, i funzionari governative esibiscono cifre che dicono di più in ciò che tacciono.

Gli alti indici macroeconomici non sono se non un macro trucco per occultare la realtà: la crescita della povertà e del numero dei poveri nel nostro paese. Di fronte all'evidenza del fatto che nessuno gli crede, il governo mette in bocca dei grandi centri finanziari i risultati e gli applausi della rapida e tumultuosa vendita del Messico. Mentre nelle riunioni imprenditoriali e governative (il club più potente dei criminali nazionali) ci si felicita mutuamente per gli aumenti nei guadagni, nelle strade e nelle campagne del Messico la sopravvivenza si converte in lotta quotidiana e gli aumenti dei prezzi dei prodotti basilari e dei servizi si riflettono sulle tavole (meno alimenti e in minore quantità), nelle strade (crescono i disoccupati e i sottoccupati), nei piccoli commerci (agonia e chiusura), e nelle campagne (aumenta l'emigrazione verso le città e gli Stati Uniti).

E anche così, il macro maquillage presenta serie deficienze. Nel XIII Congresso del Collegio Nazionale degli Economisti, il segretario zedillista del Commercio (Herminio Bianco) ha affrontato la critica alla sua campagna pubblicitaria.

Enrique Dussel, ricercatore dell'UNAM, gli ha detto: - "Le tremilacento imprese di assemblaggio e le 300 grandi imprese nazionali e straniere sono lo 0,12% delle imprese del paese, e creano solo il 5,6% dei posti di lavoro" (El Universal, 9 di febbraio 2000, sezione Finanze, reportage di Lilia González e Alberto Bello). Nell'evidenziare che le grandi corporazioni non hanno creato una catena produttiva con le piccole e medie industrie (che sono la principale fonte di impiego in Messico), il ricercatore ha avuto lo spirito di sottolineare al signore Bianco: - "Questi sono dati, non globalofobia" (Ibid).

La grande frode chiamata "Trattato di Libero Commercio del Nord America" (prodotto della grande menzogna di Salinas), si proietta ora nel futuro con la firma di un trattato di libero commercio con l'Unione Europea.

Estimatori dei maquillage moderni, i governi europei danno la mano a Zedillo senza badare al fatto che è macchiata di sangue indigeno, senza fare attenzione che il suo governo è quello che ha più legami con il narcotraffico, e chiudendo gli occhi di fronte alla mancanza di democrazia nel nostro paese. Si comprende la flessibilità dell'Unione Europea, ciò che è in gioco è una fetta della torta chiamata, ancora, "Messico". Per le meraviglie della globalizzazione, un paese si misura per mezzo dei suoi indici macroeconomici. La gente? Non esiste, ci sono solo acquirenti e venditori. E, al loro interno, ci sono classificazioni: i piccoli, i grandi e i macro. Questi ultimi comprano o vendono paesi. Un tempo sono stati governi degli Stati Nazionali, oggi sono solo mercanti in cerca di buoni prezzi e sostanziosi guadagni.

La classe politica e i suoi convocati: clero, esercito, mezzi di informazione, intellettuali, organismi internazionali

Se prima abbiamo detto che la classe politica è di volta in volta meno politica e più imprenditoriale, in periodo elettorale il cinismo raggiunge toni da "boom" pubblicitario. Quelli che "contano" non sono i governati, ma coloro che favoriscono od ostacolano l'esercizio del potere. Convocati dalla classe politica messicana, l'alto clero, l'Esercito, i mezzi elettronici di comunicazione, gli intellettuali e gli organismi internazionali, si convertono nei "grandi elettori". Le loro rispettive parti ricevono i benefici del regime e, in modo accentuato, nel periodo elettorale. Los cittadini restano ai margini e le loro richieste sono ridotte alle indagini sulla preferenza elettorale. Le dichiarazioni, controdichiarazioni e commenti alle une e alle altre, corrispondono agli appelli leader di una opinione ogni volta più vicina all'accordo di consorteria, e più lontana dal dibattito serio di idee e progetti.

L'alto clero avanza, con presunto avallo divino, in intrighi terreni.

Facendo squadra con i governanti e/o gli aspiranti governanti, la gerarchia cattolica vede con soddisfazione che la sua parola incide e contrassegna politiche di governo. Mentre lo Stato laico non è altro che una data vergognosa nel calendario, in riunioni pubbliche e private i politici e il clero dividono il pane, il sale, la complicità e l'impudenza. Non si tratta di un rispetto mutuo tra ambiti differenti, no. È una simbiosi che permette che alcuni vescovi e cardinali stiano più vicini al Messico del potere, che ai cattolici (la gran maggioranza dei messicani) comuni. Le Leggi di Riforma? Mi scusi stimatissimo, non è il nome di una via?

In altro ambito, altri "vescovi" e "cardinali", però della intellettualità di destra, litigano per occupare lo spazio che lascerà il sommo pontefice, Ottavio Paz. Se in qualche modo si può misurare la statura di Paz come intellettuale efficace con e per il potere, è misurando quella dei nani che si disputano la sua eredità. Con Paz muore l'ultimo grande intellettuale della destra in Messico, quelli che lo seguono potranno essere di destra però sono molto lontani dall'essere intellettuali. Tuttavia, le gerarchie dell'intellettualità di destra in Messico hanno i loro accoliti e, in caso di bisogno, i loro soldati.

Negli ultimi giorni, il fronte intellettuale di destra contro il movimento universitario ha patito un serio infortunio. Il colpo è arrivato da un universitario, intellettuale e di sinistra, chiamato Pablo González Casanova.

Il ricercatore dell'UNAM ha messo in evidenza qualcosa di fondamentale: la legalità non può soppiantare la legittimità, e, nel caso del conflitto dell'UNAM, la "legalità" (già altri intellettuali di sinistra hanno dimostrato che l'entrata della Polizia Federale Preventiva all'UNAM fu illegale, come sono illegali i processi penali contro gli studenti detenuti) si convertiva in un mezzo col quale la pazzia della violenza otteneva il dottorato Honoris Causa della università più grande dell'America Latina.

Se l'essere di sinistra era già qualcosa di imperdonabile in González Casanova, il fatto di operare in modo conseguente con le sue idee era troppo. I "cardinali" dell'intellettualità hanno mandato le loro pedine (pare che alcune abbiano perfino nomi e cognomi) a spezzare lance contro Don Pablo. Benché abbiano perduto la battaglia, l'intellettualità di destra non si tormenta por questa scaramuccia fallita. Le loro battaglie decisive non sono sul terreno delle idee (perderebbero di certo) né nei confronti degli intellettuali progressisti. No, il terreno da conquistare, quello che desiderano, quello che alcuni già sfruttano, sta accanto al "principe", ai bordi del suo tavolo, sussurrando lodi all'orecchio dei grandi signori della politica e del denaro. Tuttavia, qualcosa devono fare per differenziarsi dai buffoni che pullulano nei palazzi di governo. A questo fine preparano le loro riviste e i loro programmi televisivi. Le lettere senza risposta che scrivono, i loro nessi intellettuali e i loro spazi aperti non hanno come destinatario altri che non siano loro stessi. In questi spazi si commentano tra loro, si leggono tra loro, si "criticano" tra loro, si salutano tra loro e, nel farlo, si dicono mutuamente: "siamo la coscienza del nuovo potere, siamo necessari perché noi diciamo che siamo necessari, il Potere ha bisogno di qualcuno che metta in prosa e in verso gli interessi economici e le loro realizzazioni, ciò che ci rende diversi dai buffoni è che noi non raccontiamo barzellette, le spieghiamo".

In questo mondo nano di nani, la superficie è un scacchiera dove alfieri, re, regine, pedine, cavalli e torri cospirano a voce in collo. Tutti sanno chi sta per vincere, ciò che conta non è questo, se non quale casella occupano e per quanto tempo. Il baccano assorda gli uni e gli altri, però la macchina funziona, lì ci sono sette decenni di un sistema politico che adesso si chiama "nuovo PRI". Il rumore della macchina non sembra a quello di ingranaggi che girano, ogni volta di più pare uno "spot" pubblicitario.

I problemi iniziano quando entrano pezzi che non sono di questo scacchi, quando qualche oggetto estraneo ostruisce gli ingranaggi, o quando un'interferenza blocca la "compravendita" onnipotente...

L'Agenda Nazionale al reparto "Spettacoli"?

La cassa di risonanza fondamentale di questo Messico dei potenti è nei mezzi elettronici di comunicazione. Però, lungi dall'essere solo un eco di ciò che la classe politica dice, la televisione e la radio acquisiscono voce propria e, senza che nessuno ne discuta, si convertono nella voce principale. L'agenda nazionale non la contrassegnano i grandi problemi del paese e neppure i leader politici. No, le campagne elettorali e le agende governative vanno d'accordo con le programmazioni radiofoniche e televisive.

La comunicazione elettronica non diffonde notizie, le crea, le alimenta, le fa crescere, le annienta. La differenza tra le scelte dei partiti nel periodo elettorale non sta nei progetti di Nazione che sostengono le une e le altre, ma nel tempo che ottengono nei mezzi di comunicazione.

La "valutazione" che conta non è quella del pubblico televisivo, ma quella che si raggiunge nella classe politica. La maggior parte delle dichiarazioni e dei pronunciamenti dei principali attori politici non sono nei confronti di situazioni reali, ma per " i bene informati". Così, i temi "del momento" nascosti dai media sono quelli che essi hanno selezionato allo scopo.

Nel gran teatro della politica in Messico, i politici sono gli attori e, simultaneamente, gli spettatori; la radio e la televisione adempiono alle funzioni di regista, sceneggiatore, produttore, elettricista, macchinista e biglietteria.

Se ogni volta è più difficile parlare di un solo Messico, in tempi elettorali è impossibile. È palpabile l'esistenza di due paesi: quello che vive nei titoli delle notizie e quello che vive off the record, fuori dai notiziari e dalle esclusive.

Off the record: La Realtà

Mentre alla radio e alla televisione si sforzano, inutilmente, nel presentare un'immagine di "normalità" nella Università Nazionale Autonoma del Messico, gli entusiasti dello "Stato di Diritto" esercitato contro coloro che lottano nella società, vedono sorpresi che l'entrata nella Città Universitaria dei paramilitari di Wilfredo Robledo e l'arresto di centinaia di universitari non "hanno risolto" il conflitto nella massima università. Né il movimento universitario è finito, né il simulatore De La Fuente è rettore. La liberazione col contagocce e selettiva di studenti detenuti (sforzandosi di lasciarne alcuni detenuti) non ha scoraggiato la lotta per la richiesta di educazione gratuita e per un congresso universitario davvero democratico e risolutivo. Talvolta sconcertato, il movimento universitario si mantiene fermo nella richiesta di libertà ai detenuti politici, di educazione gratuita e del congresso. Seccate, la radio e la televisione fanno in modo che i titoli principali siano unicamente di quelli hanno pagato il tempo in programmazione. Il resto deve localizzarsi nella nota rossa o di "riempimento". A chi interessano i padri di famiglia che si dissanguano per esigere libertà per i loro figli, se nella squadra di Labastida stanno scontrandosi Esteban (Guajardo) Moctezuma e Emilio Gamboa? Gli stessi media che si abbattevano per il lessico del CGH, oggi si entusiasmano per le "merdate sul Chiapas" delle campagne elettorali e con lo scambio a profusione di gestacci tra i candidati.

Però se la Realtà trascorre molto tempo fuori della programmazione, ogni tanto dà un morso al Messico di chi sta in alto e rovina indici macroeconomici, programmi bene informati e agende dei candidati. In un angolo dell'altro Messico, una comunità decide di prescindere dalle telenovela e dai notiziari, si scontra con la polizia e difende una scuola normale rurale.

In El Mexe, Hidalgo, i protagonisti non sono gli studenti normalisti, né le polizie che stavano per reprimerli, è la gente. Gente che non aveva maggior spazio nelle notizie che la nota rossa, un punto nel comizio del candidato, un numero nella quantità di torte e rinfreschi da distribuire nel giro elettorale per far proseliti. Come appare, scompare. Un valanga di dichiarazioni seppellisce il fatto fondamentale (il ˇya basta! esercitato con forza) e il resto.

Chiapas? Potrà trovarsi nell'agenda dell'ONU o di organizzazioni non governative nazionali e internazionali però non in quella nazionale. Per evitarlo, il crocchetta Albores non bada a spese. In un anno, il crocchetta ha speso 28 milioni di pesos per evitare che il "Chiapas" facesse brutta figura nelle notizie (Proceso Sur, numero 1, 4/marzo/00). L'uomo dal libretto degli assegni è il figlio diletto di TV AZTECA: Manuel della Torre, che appena ieri distruggeva scuole rurali con il suo "bat-elicottero", e oggi pretende di frustare i giornalisti come se fossero bestiame.

Mentre il governo insiste col dire che ha fatto un grande investimento economico in Chiapas, "dimentica" di dire che il costo maggiore si realizza in pubblicità, articoli giornalistici pagati, buchi-neri per tacitare le notizie "sgradevoli" e per migliorare la malconcia immagine dell'Esercito federale.

Tra i latrati di Albores e i ragli di Rabasa, l'Esercito prende nuove posizioni di attacco, rinforza palesemente le sue guarnigioni, gli aerei e gli elicotteri aumentano i loro sorvolamenti a bassa quota e la guerra continua, adesso mantenendo una prudente distanza dai titoli dei giornali.

Gli indigeni zapatisti insistono nel valore della parola: le donne l'8 marzo a San Cristóbal, i coordinamenti il 21 marzo, gli abitanti di Amador Hernández, quelli di Amparo Acqua Tinta, gli tzotziles degli Altos, gli tzeltales delle vallate, i choles e zoques del nord, i mames della sierra, tutti tornano a ricordare che c'è una parola che il governo non ha rispettato, gli Accordi di San Andrès, e che non c'è pace, né giustizia, né dignità per gli indigeni messicani.

Lontano dalle otto colonne, dai notiziari elettronici, il Messico della gente vive nella resistenza, nella paziente attesa, nella speranza...

Che sperano?

Restituisco i fogli a Durito dicendogli:

­ Questo "che sperano?", è una domanda, una richiesta, o una profezia?

­ Affacciati alla finestra, mi dice Durito. Lo faccio e vedo e non ci credo.

­ Di modo che...? Chi lo avrebbe detto!

­ Così è. Le finestre sono come i biscotti: sono saporiti e nutrienti ­ dice Durito mentre intraprende il ritorno...

Con tali parole Durito ha terminato la sua chiacchierata di questa mattina all'alba, Don Pablo.

Quando sono tornato alla capanna ho riletto la sua lettera e ho iniziato a scriverle queste righe.

Io dovevo cercare di spiegarle che noi zapatisti non ci vediamo solo nella finestra della sinistra che lei evidenzia nel suo testo. Noi abbiamo pensato che abbiamo aperto un'altra finestra, una finestra dentro alla finestra della sinistra, che la nostra proposta politica è più radicale di quelle che si affacciano alla sua finestra e che è differente, molto "altra" (occhio: non ho scritto "migliore", solo "differente"). E si suppone che questa lettera fosse per spiegare a lei (e ad altri) in che consisteva, secondo noi, questa altra finestra che avremmo aperto noi zapatisti.

Però risulta che tutto sta in questo libro che non si è ancora scritto, ma che si può leggere in una delle zone "finestre" che ci sono nelle montagne del sudest messicano. Cosicché dovrà aspettare che il menzionato libro sia scritto (cosa che non cessa di essere ottimista) e che sia pubblicato (cosa che sconfina nell'ingenuità).

A presto, Don Pablo, riceva i saluti di tutti noi e la sua prossima lettera la accompagni, di preferenza, con alcuni biscotti "Pancrema" (meglio se non sono rancidi). Forse così io posso convincere Durito che mi porti di nuovo alla gioiosa "finestra". Perché del libro che non ho scritto (però che, si suppone, scriverò) sono solo riuscito a leggere la dedica, e non ho proseguito perché un'umida tenerezza me lo ha impedito.

Bene, Don Pablo. Salute e, pensandoci bene, una finestra non è altro che uno specchio rotto.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Marzo del 2000


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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