Masiosare, domenica 16 gennaio 2000

 

L'ombra di Prigione dietro la rimozione di Vera

Il "disboscamento" di San Cristobal

 

 

Il "Club di Roma" ­ un potente gruppo di vescovi messicani creato da Girolamo Prigione durante i lunghi anni passati come nunzio apostolico ­ è dietro la decisione di spedire Raúl Vera fuori del Chiapas. Si tratta ­ sostiene l'autore ­ di una sorta di vendetta di Prigione contro il figlio sviato che non ha rispettato il suo compito. Una manovra che ha contato sulla complicità di un cardinale della curia romana che è niente meno che il numero due del Vaticano: Angelo Sodano, il paesano piemontese di Prigione.

Cosa succede nella diocesi di San Cristóbal? Il "Club di Roma" si appresta a ripetere il compito realizzato da alcuni dei suoi membri in Cuernavaca, quando è stato praticato il "disboscamento" dell'opera del vescovo Sergio Méndez Arceo

 

Carlos FAZIO

 

La rimozione di monsignor Raúl Vera dalla diocesi di San Cristóbal di las Casas, Chiapas, non è stata "per ragioni puramente ecclesiastiche". Ha avuto motivazioni politiche ed ideologiche. E come totale decisione della curia romana, si è trattato di una misura verticale ed autoritaria: il segretario di Stato del Vaticano, cardinale Angelo Sodano, la ha adottata contro il criterio del nunzio Justo Mullor e della volontà del vescovo Vera, che "ha reso disciplinato" imponendo un "segreto pontificio". Compiuto il fatto, Mullor e Vera hanno obbedito.

Però l'editto vaticano, vincolato direttamente alla successione di Samuel Ruiz nella diocesi, trascende entrambi i pastori e la chiesa locale di San Cristóbal. Il "caso Vera" è un incidente in più oltre la già lunga lotta tra i due tipi di Chiesa. Quella che si oppone al modello di neocristianità di papa Karol Wojtyla da oltre due lunghi decenni di fronte alla navata di Pietro ­ la Chiesa cattolica come un super-stato, saldamente centralizzato, feudale, totalitario, eurocentrista ­ con la Chiesa dei poveri latino-americana, una Chiesa comunitaria e participativa, con fedeli cristiani protagonisti e solidali. Una Chiesa profetica che acquisisce volto indigeno in Chiapas.

Alla fine della disputa continua ad esserci il disboscamento di Medellìn, la conferenza dei vescovi latino-americani celebrata nel 1968 nella città colombiana, che ha denunciato la violenza istituzionale ­ come il detonatore di una catena di violenza repressiva-guerrigliera-militare - ed ha fatto un appello per il cambiamento urgente delle strutture capitaliste del dominio e dell'oppressione.

Come sta accadendo ora in Messico, in questa missione di restaurazione impregnata di uno spirito di crociata, la Chiesa wojtyliana si è alleata con i poteri mondani, civili e militari, ed ha portato avanti un doppio discorso attraverso gli spazi del terrorismo di Stato: benedicendo Videla, Pinochet e altri generali torturatori e genocidi, mentre aggrediva le comunità ecclesiastiche di base, vittime dei paramilitari e delle politiche di "guerra sporca" e "terra bruciata", e perseguitava i vescovi indocili contaminati dal marxismo e da altre deviazioni peccaminose come la teologia della liberazione, che ha avuto la cattiva idea di nascere fuori dei muri vaticani, partendo dalla pratica concreta della gente comune.

L'affare Vera è l'ultimo in questa lotta di 30 anni, però non è nuovo e il suo risultato ancora è incerto. Si tratta della stessa vecchia lotta dell'allora delegato apostolico Girolamo Prigione, che è stato inviato in Messico nel febbraio 1978 con due compiti specifici: risolvere i casi di Cuernavaca e San Cristóbal de Las Casas. Quello che in parole povere significava la distruzione (desmonte) delle opere pastorali di due vescovi imbibite dello spirito del Concilio Vaticano II e di Medellìn, e perciò satanizzati da Roma: i monsignori Sergio Méndez Arceo e Samuel Ruiz. Due uomini dalla mente libera che si sono trasformati in un mal di testa per la diplomazia vaticana e per i custodi della fede, che sotto il pontificio di Wojtyla e della mano del tedesco Joseph Ratzinger è tornata all'epoca della Santa Inquisizione, con ridondanti casi di repressione come quelli di Hans Küng, Eduard Schillebeeckx e del brasiliano Leonardo Boff.

 

Il disboscamento di Cuernavaca

 

L'assalto contro la diocesi di San Cristóbal non è nuovo e gli attori neanche. Dal suo arrivo in Messico, Prigione si è accerchiato di persone di fiducia e ha coltivato tre elementi conservatori e arrivisti come suoi cavalli di battaglia contro la Chiesa progressista: il vescovo di Tijuana, Juan Gesù Posadas; il vescovo ausiliare di Monterrey, Luis Reynoso, e un ambizioso sacerdote con velleità di teologo che presto ha fatto vescovo, primo ausiliare del Messico e quindi titolare di Zacatecas: Javier Lozano, che oggi, già cardinale, è a fronte di un dicastero romano.

Ha convertito Posadas e Reynoso in strumenti per farla finita con il progetto di Méndez Arceo a Cuernavaca. Prigione ha pensato come prima cosa di porre un vescovo ausiliare, però temeva che la personalità così forte di don Sergio se lo mangiasse. Allora si è avvalso di altre arti: una spia. Addirittura molto prima che arrivasse Posadas alla diocesi, Prigione aveva il suo "agente confidenziale" infiltrato nel clero di Cuernavaca: il sacerdote Onésimo Cepeda. Con la sua arma segreta, il carisma.

Raccontano testimoni oculari che Onésimo aveva un feeling speciale con le signore cattoliche. Sua madre, donna Amelia, dice che da piccolo era tanto carino che lei soffriva quando gli tagliava i boccoli perché era più evidente che fosse un bambino. Da giovane è stato festaiolo, un po' cantante, e prima di che si svegliasse la vocazione religiosa, torero, barman, amico di Alfredo Harp Helú e socio di Carlos Slim. Dopo si è convertito nel gran guru dei carismatici di Cuernavaca. Aveva preso lezioni di parapsicologia con padre Vicente Guerrero e utilizzava i suoi doni per fare miracoli. Lo show di Onésimo era impressionante: piangeva, controllava le moltitudini con i suoi occhi e le sue mani. Guariva alcuni, e altri la volta dopo.

Però non era questo il suo unico dono. In poco tempo Cepeda si è convertito in un camerata di Prigione. Correvano insieme, giocavano a tennis, a golf... In quella successione di eventi ha finito con lo spodestare un altro dei preferiti del piemontese, monsignor Guillermo Schulemburg, l'abate della Basilica di Guadalupe. Alcuni anni fa un indispettito Schulemburg ha confessato che Onésimo era il "testa di ferro" del delegato apostolico in Cuernavaca.

Con un confidente in cattedrale, Prigione ha preparato e ha mosso le pedine. Due anni prima di succedere a Méndez Arceo, Posadas già conosceva il suo nuovo destino: Cuernavaca. Hanno disegnato con pazienza un piano di scontro. Una delle strategie è stata il trasferimento del clero. Intervenzionista come era ­ e come continua ed essere ­ Prigione ha ordinato al vescovo di Morelia, monsignor Magaña, il trasferimento di quattro sacerdoti che si sarebbero convertiti in pezzi chiave del progetto. Quindi, per raccomandazione del suo patrocinatore, Posadas ha nominato segretario Onésimo Cepeda. E Onésimo si è convertito nell'ombra di Posadas. Ovunque fosse il vescovo lì stava il servizievole Onésimo.

Con una concezione rurale della Chiesa, un tanto primitiva, Posadas era un uomo violento, autoritario chiacchierato. In alcune occasioni è arrivato a sfidare a pugni qualche sacerdote. Non tollerava che si sfidasse la sua autorità. Gli hanno ordinato di disfare tutto, e perciò si è alleato con il governatore Lauro Ortega. Benché dietro c'era la mano di Prigione, ha ottenuto di far parte del "brodo" della diocesi. All'inizio Posadas ha fronteggiato il clero diocesano; ha disarticolato gruppi sacerdotali. Ha realizzato molte nomine di sacerdoti con questo obiettivo e ha inviato alcuni preti in esilio. Ha fatto 22 trasferimenti e ha preso in mano le redini del seminario.

Lui e Prigione hanno tramato l'espulsione di tre sacerdoti stranieri, che sono stati denunciati come "marxisti", "illegali" e "dannosi alla patria" di fronte alla Segreteria di Governo. Pratica che con il tempo si è fatta un'abitudine per Prigione, che è divenuto una sorta di "agente della sicurezza dello Stato". Si è tornati allo schema medievale dell'Inquisizione, quando la gerarchia giudicava in modo dottrinale e consegnava al braccio secolare quelli che erano pericolosi in materia di ortodossia... per ragioni di Stato.

Come premio per il suo lavoro di distruzione a Cuernavaca, Prigione ha fatto Posadas arcivescovo di Guadalajara e dopo cardinale. E al suo posto, per completare l'opera di disboscamento, ha posto Reynoso, un canonico conservatore, istruito e anche veloce nella parola, quando la maggioranza dei vescovi messicani erano ancora "cani muti". Reynoso era arrivato ferito da Città Obregón, poiché era stato disprezzato dagli impresari di Monterrey.

Aveva un certo prestigio perché aveva difeso il diritto dei sacerdoti a votare. Però si è capito presto che a Cuernavaca è arrivato per ordine di qualcuno, come il suo predecessore. Appena arrivato ha nominato come rettore del seminario Onésimo Cepeda e ha fatto battaglia con vari sacerdoti. Dicono che è arrivato al vescovado "con le nomine nella valigia".

Tra il clero di Cuernavaca si parla ancora della sua inusuale presentazione, quando già designato per questa sede ha detto durante un incontro con la delegazione apostolica: "Che tutti i sacerdoti preparino le loro natiche".

All'arrivo sottolineò la sua esperienza: aveva avuto una chiesa in Messico, DF, ed era stato cancelliere della diocesi più grande del mondo, inoltre era stato professore alla UNAM, dove aveva impostato strette relazioni con Jorge Carpizo, Jorge Madrazo e Diego Valadés. "Cosa pensate di potermi insegnare?", ha detto sfidando il clero.

Alcuni sacerdoti ricordano che Reynoso è arrivato con la spada sguainata. E benché ha trovato un clero libero e disposto al dialogo che ha detto quello che pensava, la destra religiosa si è rafforzata nella diocesi. I gruppi conservatori sono cresciuti e si sono moltiplicati; Hanno raccolto animosità. Era giunta la fine del movimento carismatico, l'alleato principale per il disboscamento. La forza è stata la moltitudine, non la fede. E si è costruita una Chiesa verticale, di neocristianità. Reynoso ha predicato una via basata sulla pastorale ispirata dal Concilio di Trento. Nemmeno in Pío XII o il Vaticano I!

Si è esaltata l'istituzione. A Reynoso era giunta molto presto la modernità del neoliberismo. Ha instaurato relazioni con impresari ed ha ottenuto un forte appoggio economico e di potere. Ha cominciato a vedere tutto attraverso il denaro. La sua è stata e continua ad essere una missione d'impresa, permeata delle idee dell'Opus Dei. È sorta una Chiesa finanziaria, dove tutto è commercio. La nuova parola chiave è stata stipendio. I suoi "padrini" del Club Serra hanno finanziato il seminario e i viaggi a Roma e in Terra Santa. E concordi con il suo protettore Prigione, hanno fatto vescovo Onésimo Cepeda.

 

Il circolo aulico di Prigione

 

Insieme ai suoi tre delfini, Prigione ha forgiato una rete di vescovi fedeli.

Alla fine del 1992, nel nuovo contesto delle relazioni Chiesa-Stato, 50 degli 88 vescovi attivi dell'episcopato dovevano la nomina al nunzio papale. Nel circolo selezionato sono entrati Adolfo Suárez Rivera, che il nunzio ha fatto cardinale di Monterrey; Manuel Pérez Gil, arcivescovo di Tlalnepantla; il vescovo di Tijuana, Emilio Berlie; Norberto Rivera, che ha fatto vescovo di Tehuacán, e Alberto Suárez Inda, che ha sostituito Magaña in Morelia.

Alcuni di loro sono stati utilizzati nella sua strategia di smantellamento delle idee di Medellín in Messico, in particolare nel contrastare permanentemente i vescovi profetici della regione del Sud Pacifico. All'arcivescovo metropolitano di questa zona, don Bartolomé Carrasco, ha imposto un coadiutore di conservatorismo arcaico, Héctor González, per lasciare senza protezione Samuel Ruiz e Arturo Tela, vescovi di San Cristóbal e Tehuantepec, in linea con la scelta preferenziale per i poveri e i precursori della teologia indigena. Ha inviato Norberto Rivera a Tehuacán, per farla finita con il seminario regionale che serviva la diocesi del sud del paese. I visitatori ufficiali del Seminario di Tehuacán sono stati Suárez Inda e Berlie, membri del "gruppo compatto" di Prigione.

Berlie, uno dei protagonisti nella rimozione di Vera da San Cristóbal, emergeva già, da quando era diventato vescovo a Tijuana, come uno degli uomini chiave del nunzio per le sue relazioni con i poteri stabiliti.

Berlie incarna quello che i suoi denigratori chiamano "la scelta preferenziale per i ricchi" e, secondo altri più maldicenti, per i narcos, data la sua unione "spirituale" con i fratelli Arellano Félix, capi del cartello di Tijuana, che lo hanno aiutato a finanziare il seminario diocesano. Gli stessi Arellano che sono stati alla nunziatura, nell'epoca in cui don Girolamo promuoveva Berlie nello Yucatán. Da allora si sa anche del suo corteggiamento ai porporati della curia romana, dove Berlie andava quattro volte all'anno.

 

Il "caso San Cristóbal"

 

Due anni prima del suo saluto di addio al Messico nel 1997, Girolamo Prigione, che aveva fallito nei suoi numerosi tentativi a Roma perchè Samuel Ruiz fosse rimosso da San Cristóbal ­ in confluenza con gli interessi dei poteri civili, locali e federali ­, ha ottenuto di porre come cuneo un coadiutore, con pieni poteri nel governo della diocesi e con diritto di successione: il domenicano Raúl Vera, come aveva fatto con Carrasco e Tela.

La morsa strategica sopra il sudest messicano la ha completata collocando vescovi conservatori in posizioni vacanti chiave: i due Felipes del Chiapas: Aguirre in Tuxtla Gutiérrez e Arizmendi in Tapachula. Il cerchio è completo. Alla fine Prigione ha collocato tutti i suoi pezzi per dare lo scacco a Samuel Ruiz, come aveva promesso al presidente Carlos Salinas de Gortari durante i negoziati Chiesa-Stato.

L'arrivo del nunzio Giusto Mullor in Messico è venuta a marcare un interrogativo sulla politica di disboscamento di San Cristóbal. Allora era già chiaro che Raúl Vera, al quale con la nomina erano state conferite facoltà speciali che avevano a che vedere con l'amministrazione della diocesi, il seminario, la formazione di catechisti, e sotto la cui responsabilità ricadevano tutte le nuove nomine, stava fallendo nella missione come era stata concepita da Prigione. Lontano dal trasformarsi in un freno della pastorale di don Samuel, ha lavorato in comunione con lui. A sua volta, il vescovo Ruiz lo ha rispettato, ha fatto un passo indietro e non ha discusso per il potere. Vera ha deciso di lavorare in "comunione di intenzioni", come dice il diritto canonico, e si sono trasformati in collaboratori molto vicini.

Le minacce dell'Esercito Messicano e dei paramilitari di "Paz y Justicia" e "Los Chinchulines" con i loro attentati ­ sofferti da Vera su sé stesso ­ così come il modo di vita degli "auténticos coletos" e la costante persecuzione governativa contro la diocesi ­ un rosario di sacerdoti espulsi e più di 40 chiese chiuse, a cui si sono sommate le campagne di "propaganda sporca" ufficiale contro di lui e don Samuel ­ hanno generato le norme del suo criterio pastorale ed ha finito per abbracciare la causa degli indigeni.

Il massacro di Acteal ha colmato la sua pazienza. È stato coraggioso ed ha denunciato le autorità e l'Esercito, che hanno coperto i paramilitari assassini. Raúl Vera si è convertito in un altro personaggio scomodo per il sistema. Il presidente Zedillo, che durante il suo mandato è andato 29 volte nel Chiapas, lo ha messo nella sua lista dei "teologi della violenza". La sua sorte era giocata.

Justo Mullor è andato nella zona nord del Chiapas nel dicembre 1997 e si è scontrato con i paramilitari. Ha dato il suo appoggio a Ruiz e a Vera: ha compreso che erano in un ministero di frontiera. E si è trasformato anche in un nemico del governo messicano. Il nunzio ha smesso di essere un alleato del potere. Il presidente Ernesto Zedillo ha cercato un altro corridoio perché la Chiesa legittimasse la sua politica della guerra in Chiapas. Ed è lì che entra in azione il cosiddetto "Club di Roma", che non è altro che il vecchio gruppo formato da Prigione: il cardinale Norberto Rivera, di meteorica carriera; Berlie; Onésimo Cepeda; Javier Lozano, cardinale a Roma; con altri due pilastri potenziati dalla visita del papa Juan Pablo II in Messico nel gennaio 1999: il cardinale Juan Sandoval, di Guadalajara; e padre Marcial Maciel, fondatore dell'ordine ultraconservatore Legionarios di Cristo.

La nuova alleanza del potere, che si stava formando, è stata autenticata durante la visita di Karol Wojtyla per presiedere al Sinodo d'America. Il controllo della visita è rimasto nelle mani del cardinale Rivera, dell'Opus Dei e dei Legionarios di Cristo, che hanno fatto un uso simoniaco della figura pontificia, presentando di fronte ai mezzi di comunicazione un Papa "privato" e fisicamente esaurito.

In quei giorni, la presenza sibillina di Prigione in Messico ha fatto pensare in alcuni circoli della Chiesa che si stavano tramando nuovi ordini sotterranei con il presidente Zedillo. Una elevata figura della Chiesa messicana ha suggerito l'idea di un nuovo "maximato". È stata chiara, allora, la strategia del Vaticano di sottrarre potere all'episcopato come corpo collettivo e di privilegiare l'appoggio a grandi figure locali leali a Roma: i cardinali Rivera e Sandoval. Il fatto ha significato l'inizio nel Messico della nuova Chiesa di crociata del secolo XXI. Il disboscamento totale del Vaticano II e di Medellín.

Con questa prospettiva c'è da annotare una serie di segni e gesti che parlano della nuova alleanza di potere tra lo zedillismo e il gruppo di vescovi fedeli a Prigione. Dall'aereo che portava in Messico papa Wojtyla è stato lanciato un rozzo attacco contro la teologia indigena ­ la nuova "aberrazione" che sostituisce la teologia della liberazione, hanno detto ­, attacco che alcuni esperti hanno attribuito alla "mano nera" del cardinale Lozano.

Il 26 di marzo seguente, il vescovo di Ecatepec, Onésimo Cepeda, ha ottenuto di condurre alla sua cattedrale il presidente Zedillo, in quello che è stato considerato un fatto storico dalle Leggi di Riforma. Il presidente ha svelato la targa di consacrazione del tempio, la cui pietra fondamentale era stata posta nel 1997 da Girolamo Prigione e Esteban Moctezuma, entrambi assenti, come Carlos Slim e Lorenzo Zambrano, amici diletti dell'anfitrione. C'è stata un'altra assenza significativa: quella del nunzio Mullor. Nonostante, hanno assistito tutti i membri del "Club di Roma" (il cardinale Rivera, Berlie, Reynoso, il padre Maciel), e l'allora responsabile della sicurezza interna, Francisco Labastida, che si presentava elegantissimo e che durante una delle sue smancerie verso la Chiesa aveva già confessato al suo "amico" Onésimo il suo credo cattolico e guadalupano.

Il 27 luglio seguente, in un altro atto carico di simbolismi, il presidente Zedillo ha visitato la Cattedrale della metropoli in compagnia del cardinale Rivera. Il primo presidente a calpestare il pavimento della cattedrale in 150 anni!

I favori di Zedillo a Rivera e Cepeda hanno reso evidente la "buona chimica" tra i vescovi membri del "gruppo compatto" e l'Esecutivo, che ha continuato a tessersi quando l'ubiquitario e singolare Onésimo, in qualità di persona "fisica" ­ al dire di Jaime Almazán, direttore generale di Associazioni Religiose di Governo ­ è accorso la notte del 7 novembre a festeggiare la vittoria del suo "amico" Labastida nelle elezioni interne del PRI.

In questo contesto, la rimozione del coadiutore Raúl Vera è una sorta di vendetta di Prigione contro il figlio sviato che non ha rispettato il suo compito. Con la complicità di un cardinale della curia romana che è niente meno che il numero due del Vaticano: Angelo Sodano, il paesano piemontese di Prigione. L'uomo che, di fronte alla malattia del Papa, gestisce il controllo della Chiesa in questo fine di regno.

Quali ragioni ecclesiastiche? In ottobre, quando il cittadino priista e vescovo di Ecatepec, Onésimo Cepeda, ha detto pubblicamente che il coadiutore di San Cristóbal era esonerato dalla successione ed inviato come vescovo a Saltillo, Samuel Ruiz e Raúl Vera hanno voluto vedere il Papa, però sono stati fermati dal segretario di Stato Sodano nella Santa Sede: "Non era necessario".

Quando il 12 di dicembre hanno chiamato Vera dalla nunziatura e gli hanno comunicato che avevano una "notizia forte", gli hanno imposto il segreto pontificio. Gli hanno legato le mani e gli hanno chiuso la bocca. Esperti in manovrare, i burocrati della curia romana gli hanno concesso l'incontro con il Papa in maniera estemporanea, un paio di giorni dopo che si sapeva l'annuncio della sua rimozione, travestita da trasferimento. È stato un fatto compiuto.

Rimangono ancora un paio di cose per spiegare le ragioni "ecclesiastiche". Se non è stata rimozione, rinuncia né privazione ed è stato trasferito, perché, si è andati contro il consenso del vescovo Vera? Che "mancanza grave" ha commesso don Raúl in accordo con il diritto canonico? Aver fatto fallire Prigione? Il nunzio Mullor dice che continua nella sua fase di auscultazione per uniformare la terna da dove uscirà il successore di Samuel Ruiz. Che cosa farà se quelli del "Club di Roma" gli impongono il rimpiazzante? Rinunciare?


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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