LA STORIA DI UN POPOLO CHE É DIVENTATO POPOLO

QUANDO HA DICHIARATO GUERRA AD UNA STORIA IMPOSTA

Per la D.ssa Monique Lemaitre, con una nostalgia comune

Gli zapatisti

La nebbia é il passamontagna che usa la selva. Così lei nasconde i suoi figli perseguitati. Dalla nebbia escono e alla nebbia ritornano: gli indios del Chiapas vestono abiti maestosi, camminano fluttuando, tacciono o parlano sottovoce. Questi principi, condannati alla schiavitù, furono i primi e sono gli ultimi. Sono stati espulsi dalla terra e dalla storia, e hanno trovato rifugio nella nebbia, nel mistero. Da lì sono usciti, mascherati, per smascherare il potere che li umilia.

Eduardo Galeano - Patas arriba

É notte, Don Emiliano entra nella cucina del campamento civil por la paz di San José del Rio, municipio di Las Margaritas, Chiapas.

Parliamo un po' di tutto. Il caso e la memoria porta la narrazione a quando San José é nato come villaggio e ha cambiato la direzione della storia di molti di noi.

Quando aveva 17 anni, Emiliano, un giovane meticcio nato fra indios tojolabales, viveva, sopravviveva, in una delle tante fincas nel sud-est messicano dove si sfrutta e si succhia la vita degli indios. Era giovane, ma molto disciplinato; il padrone della tenuta aveva notato le sue capacità di organizzare il lavoro degli altri e gli propose di diventare il caposquadra della finca.

Il proprietario gli diede l'incarico e lo avvertì: "Tu devi essere colui che esige da tutte le famiglie, che lavorano un pezzo di terra, che eseguano, durante la settimana, il loro lavoro giornaliero nella tenuta, dalle cinque della mattina alle cinque del pomeriggio.

Poi, alla domenica, gli dai alcool e quando sono ubriachi, segni tre o quattro bottiglie in più, così quello che dovranno pagare allo spaccio sarà di più di quello che varranno i loro raccolti e quelli dei loro nipoti".

Emiliano accettò l'incarico, lavorò cinque anni come caposquadra ricevendo al mese 1000 pesos (di quelli vecchi).

Le cose cambiarono nella finca. Il padrone viveva in Margaritas, nel capoluogo municipale, Emiliano era un caposquadra comprensivo e giusto con le famiglie che lavoravano e vivevano nella tenuta.

Gli anni passarono, Emiliano diventò adulto, il suo disaccordo con il lavoro di tutti giorni diventò asfissiante. La povertà e la mancanza di speranza minacciavano di inghiottire tutte le sue aspettative per il futuro.

Parlò con Don Chuy, suo padre, e decise di andarsene dalla finca, propose a tutte le famiglie di emigrare, di provarci insieme. I capi famiglia si riunirono dopo la messa e decisero di rimanere, "per lo meno, qui abbiamo il nostro piccolo pezzo di terra e da bere la domenica, é molto poco, ma andandocene sarà molto più difficile farcela." Così rimasero.

A vent'anni

Emiliano non era sposato e poteva rischiare. Andò a Margaritas, con il padrone. Li stavano aspettando il cachique e sua moglie, con una bottiglia di alcool e un pranzo, che al solo descriverlo gli viene l'acquolina in bocca, "c'erano sulla tavola chicharron, carne, alcool, come non mai".

Il padrone della finca gli offri alcool, voleva ubriacarlo. Ma Emiliano, da bravo indio, sapeva che cosa era andato a fare lì e scusandosi diceva: "no padrone, grazie, ma mi rimproverano se torno a casa ubriaco".

Mangiarono e parlarono, condividendo il cibo e le novità, "mi trattò da vero amico". Emiliano disse che era stanco e doveva andarsene. Il padrone provò a convincerlo, inizialmente in maniera gentile, offrendogli da bere e dopo alcune ore arrabbiandosi.

Gli propose "...ti pago 1500 pesos però fermati come caposquadra della finca, mi servi, il tuo lavoro é perfetto"; lo sguardo e la decisione di Emiliano rimanevano saldi, nonostante le offerte salissero.

L'ultima proposta del padrone arrivò a: 2500 pesos, una razione mensile di grano, bestiame, scarpe e abiti.

Già ubriaco, il padrone della finca, continuava ad insistere: "Vedi, sei giovane e scapolo, se ti do dei buoni abiti e un buon stipendio, immagina...". Più tardi, il cacique, la sua famiglia e Emiliano, visitarono il padre del cacique, mangiarono, bevvero e insistettero ancora per convincere Emiliano a fermarsi a lavorare per loro.

A notte, dopo inutili suppliche e insistenze, il padrone liquidò Emiliano: "Va bene, vattene, però ti chiedo di non creare subbuglio tra la gente".

Chiusero i conti e Emiliano partì con la dignità e la ribellione come bagaglio. Prima di andarsene dalla finca, in una riunione disse ai capi famiglia che vivevano nella tenuta: "andiamocene tutti, perché in pochi anni il padrone venderà la finca e il nuovo padrone sarà senz'altro peggio".

Ancora una volta i capi famiglia decisero di fermarsi.

Emiliano invece rischiò.

Passarono due anni e il padrone della finca la vendette ad un altro ricco della classe agraria del Chiapas. Quando questo nuovo padrone arrivò le cose, i costumi e la divisione del lavoro cambiarono.

Tutti gli appezzamenti di terra individuali, ottenuti e pagati con il lavoro instancabile dei nonni di Emiliano furono confiscati. Il proprietario che comprò la finca e con lei, si suppone, il futuro di un pugno di famiglie, non rispettava gli accordi impliciti, quelli non legalizzati, che riconoscevano il diritto di proprietà delle famiglie sui loro piccoli appezzamenti di terra.

Tutta la terra sarebbe stata utilizzata per l'allevamento del bestiame. Il lavoro sarebbe stato dall'alba al tramonto. L'unica cosa che rimaneva invariata era il debito per l'alcool che i contadini avevano accumulato durante la loro vita.

Il padre di Emiliano lo mandò a chiamare. Le famiglie, che alcuni anni prima non se ne erano andate con lui per timore di un peggioramento delle condizioni di vita, se si può usare questa espressione in luoghi dove la pauperizzazione è storicamente inumana, in questo momento erano decise a lasciare la tenuta.

Emiliano aveva uno zio padrone di un terreno, giusto alle porte della Selva Lacandona. Era un terreno molto difficile per costruire case e molto lento nel dare un raccolto però aveva il suo fiume e le sue montagne a garanzia che, lavorando bene, poteva diventare un posto abitabile e, ad ogni modo, non avevano alternative.

Questo sarebbe stato il futuro delle famiglie che rischiavano senza sapersi ribelli e degni.

Le famiglie non avevano denaro per comprare la terra, né per costruire le case e ancor meno per le sementi.

Lo zio di Emiliano accettò che il terreno fosse pagato con il lavoro. I dettagli del niente, della mancanza di tutto, Emiliano li ha omessi nel suo racconto, però si pagarono molte gocce di sudore, lacrime, rinunce, fino alla vita, per popolare questa terra che oggi é bandiera della ribellione mondiale contro il neoliberismo.

Quando il padrone della finca venne a conoscenza del progetto delle famiglie che lo servivano come peones, andò a cercare lo zio di Emiliano. Ubriaco e minaccioso lo avvertì : "perché vuoi fregarmi? perché stai sobillando la mia gente?".

Lo zio fece, letteralmente, finta di niente e rispettò con fermezza la parola data ad Emiliano. Cedette loro le terre ribelli.

Le donne e gli uomini che avevano deciso di rendere indipendente il proprio destino, hanno costruito un villaggio. Il suo nome è San José del Rio, è alle porte della Selva Lacandona ed è uno dei ponti tra il mondo e la ribellione zapatista.

Il primo gennaio del 1994, dei miliziani zapatisti cercarono di far giustizia contro il capo della finca che aveva boicottato sistematicamente il nuovo villaggio, San José.

Il 12 gennaio del 1994, tutte le famiglie del villaggio, che erano state le prime a seminare il caffè nelle terre ribelli della selva, si unirono alla causa zapatista e continuano ancora oggi a gridare al mondo che esistono, che reclamano uno spazio nella storia del possibile. Per tutto ciò, questa è la storia di un popolo che è diventato popolo per ribellarsi a una storia imposta.

Epilogo

NEL SESTO ANNO

Dopo sei anni dall'inizio della guerra contro l'oblio e per la memoria, e con il cacique profugo, la metà delle famiglie di San Josè del Rio ritornarono alla finca oggetto di questa storia. Oggi si chiama Nuevo Horizonte, è abitata dai degni indios ribelli ed è simbolo di appartenenza, di ciò che storicamente è giusto.

Il finale di questo racconto è solo l'inizio. Don Chuy, Don Emiliano e la sua famiglia, sono solo una parte di questo complicato ingranaggio che comincia in San Josè del Rio e che ha i suoi specchi in molti angoli del mondo.

Amarela Varela

Marzo del 2000


(tradotto dal KOLLETTIVO ESTRELLA ROJA Cesena, Italia, Pianeta Terra http://www.ecn.org/estroja)



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