DOMENICA 11 GIUGNO 2000

Preparativi di guerra in Chiapas

Il voto del paura in aiuto a Labastida?

Carlos FAZIO

Tutto segnala che l'offensiva è prevista per dopo le elezioni di luglio. Però il clamoroso disastro della campagna del candidato del PRI alla Presidenza della Repubblica può accelerare i piani. Si tratterebbe di una riedizione del voto del paura.

L'ombra di un'operazione militare chirurgica scivola sul territorio chiapaneco. L'obiettivo è farla finita con la guerriglia zapatista. Il macchinario di guerra dello stato messicano è pronto: i comandi castrensi attendono solo l'ordine di agire. Decine di osservatori attendibili hanno potuto provare sul luogo l'esistenza dei preparativi per mettere in marcia il piano di sterminio.

Esiste un'impressione generalizzata che il presidente Ernesto Zedillo abbia deciso di non lasciare in eredità questo "piccolo incidente nella storia" al suo successore. In un comunicato, il subcomandante Marcos ha affermato che Zedillo è arrivato ad un "accordo" con "il nuovo signore della guerra", Francisco Labastida, per la soluzione definitiva del conflitto.

Tutto segnala che l'offensiva dovrebbe essere prevista per dopo le elezioni di luglio. Però la rovinosa campagna del candidato del PRI alla Presidenza della Repubblica può accelerare i piani. Sarebbe una riedizione del voto del paura.

Il mandatario messicano è stato il principale responsabile dell'allungamento del conflitto. Da quando ha assunto il potere nel dicembre del 1994, ha adottato la strategia dei capi della antiguerriglia. Una partenza da guerrafondaio. Per una via parallela ha però continuato nello stallo del dialogo-monologo dei padroni del Messico, nella simulazione. Ha finto di negoziare, però ha sempre cercato di risolvere la situazione mediante l'uso e/o la minaccia dell'uso della forza e chiedendo la resa nel contempo dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Ha utilizzato la cooptazione e ha cercato di corrompere piccoli gruppi e leader, stimolando conformismo, cinismo e disperazione nelle comunità, però è sempre stato per l'ottica militare, repressiva e predatrice.

Ha continuato sulla base il modello di pace con guerra iniziato dal presidente Carlos Salinas, con fini strategici politico-militari, per guadagnare tempo con l'obiettivo intanto di preparare l'accerchiamento per l'annientamento.

Così, durante il suo mandato si sono consolidati i processi di militarizzazione e di paramilitarizzazione in Chiapas e in altre regioni di Messico. Due facce di una stessa strategia di guerra destinata a lacerare il tessuto sociale delle comunità indigene e a minare la volontà di lotta e resistenza del campesinato povero che si oppone all'imposizione violenta, dello stato, delle politiche economiche e del dogma neoliberale.

Come nel Cono Sud negli anni '70, oggi in Messico - come in Colombia - si tenta di imporre ciò che resta del progetto di un capitalismo selvaggio e corporativo di tipo neoliberale. Nel caso messicano, per una via parallela si darà seguito a questa politica smantellando ciò che resta della legislazione del 1917.

La sollevazione contadina indigena zapatista è stata un già basta provocato dalle riforme all'articolo 27 costituzionale.

Tutto segnala che questo processo non porta ad una transizione alla democrazia e che, al contrario, implica rischi latenti. Uno di questi, indipendentemente dal risultato delle elezioni del 2 luglio, è che per imporre con la forza le politiche di privatizzazione e denazionalizzazione nel paese, la neo-oligarchia governante finisca per far ricorso a un stato d'emergenza.

In questa prospettiva che i padroni del Messico siano Labastida o Fox, è lo stesso.

Gli assedi della disumanizzazione

La guerra di sterminio in Chiapas -"questa non-guerra che è una guerra", come ha detto il premio Nobel José Saramago - non si è presentata come uno scontro armato tra due bande, a fuoco aperto. Però la assenza di tiri in modo continuo e sistematico non equivale a dire che "non ci sia guerra", come sostiene la propaganda ufficiale. Al contrario, i comandi dell'antiguerriglia, che dipendono dalla Segreteria della Difesa Nazionale, hanno continuato ad utilizzare alla lettera il Manuale di guerra irregolare, con un obiettivo principale di medio o lungo periodo di tempo: la "disumanizzazione del nemico", identificato come le basi di appoggio civili del zapatismo armato.

Il manuale definisce una serie di operazioni tattiche offensive, psicologiche e di spionaggio destinate a lacerare la relazione di appoggio tra la popolazione civile e l'EZLN. "Il popolo sta alla guerriglia come l'acqua al pesce", sottolinea la Sedena riprendendo Mao. Negli ultimi quattro anni l'Esercito si è dedicato a togliere l'acqua dall'acquario; a tentare di lacerare il rapporto comunità-EZLN, a creare accerchiamenti economici e di fame intorno ai villaggi filozapatisti, a distruggere le forme di organizzazione, a paralizzare il movimento sociale, a creare accerchiamenti militari intorno ai municipi ribelli, per annientare le autonomie. Assedi d'informazione, culturali, etnici.

Questo è stato il principale compito bellico di questa guerra di logoramento, prolungata, non convenzionale, a partire dall'offensiva governativa del febbraio del 1995: influire sulla condotta e dominare la volontà dell'altro, considerato nemico. Perciò si sono valsi dei lavori di spionaggio, dell'azione civica, della guerra psicologica e del controllo degli abitati. Il risultato immediato, palpabile, è stato la militarizzazione.

Dalla vita quotidiana dei villaggi. Gli strumenti utilizzati sono stati le truppe di élite o d'intervento rapido, addestrate in antiguerriglia negli Stati Uniti, come la Fuerza de Tarea Arcoiris e i Grupos Aeromóviles delle Forze Speciali (GAFE). Nel maggio scorso si sono aggiunti anche 500 elementi della Polizia Federale Preventiva, un corpo paramilitare composto da soldati e da agenti del controspionaggio del Cisen.

Hanno pure collaborato diverse istanze dell'Esercito Messicano dedite a lavori di "azione civica". Si tratta di una modalità militare quella della beneficenza pubblica (il classico "togliere denti" degli statunitensi in Vietnam), che ha come obiettivo migliorare l'immagine delle forze armate, costruire un appoggio popolare allo sforzo bellico e raccogliere informazioni per lo spionaggio. In modo fazioso, "l'aiuto umanitario" si usa di solito come una categoria politicamente neutra e, soprattutto, non militare. Però fa parte di una strategia globale e contribuisce alla costruzione di un consenso attivo della popolazione civile.

Per riuscire in questo obiettivo, l'Esercito ha utilizzato anche un dispiegamento propagandistico intenso ed aggressivo diretto ad alterare e controllare opinioni, idee e valori. E' stato tutto un montaggio pubblicitario inteso a plasmare un allineamento e, in un altro senso, ad imporre un universo culturale che organizzi la totalità della realtà in funzione degli obiettivi militari. Per cercare di costruire la "verità ufficiale" e di imporla in modo repressivo si utilizzarono i mezzi di comunicazione di massa (radio, televisione, stampa). Posto che la battaglia è per il cuore e la mente della gente, coloro che comandano hanno coscienza che i media sono il potere e li utilizzano per incrementare il proprio.

Per ottenere lo stesso obiettivo attraverso altre vie, nella zona di Los Altos del Chiapas e in alcuni punti della selva Lacandona si sta utilizzando il terrore dei paramilitari. Si sono introdotti pesci "più feroci" nell'acquario e si sta socializzando la violenza. Il Manuale di guerra irregolare della Sedena mette in luce l'importanza della conduzione militare di quei gruppi di civili militarizzati e addestrati in tattiche di controguerriglia. Il massacro di Acteal ha rivelato l'uso della violenza come un bisogno politico dello stato per mantenere stabile l'ingovernabilità e per non rispettare gli accordi di San Andrès. Il paramilitarismo è stato diretto a frenare la autodeterminazione territoriale e l'autogoverno dei villaggi indigeni, attraverso il metodo della disarticolazione degli sforzi indirizzati alla costruzione di alternative di esercizio politico che rompono i vecchi meccanismi caciquili e corruttori dei poteri, locali e statali. Però esiste un rischio reale: che il paramilitarismo si converta in un modello per tutto il Messico.

Si tratta, in definitiva, di un piano di sterminio economico, politico, sociale, culturale, militare e psicologico. Una specie di "eutanasia sociale" che pretende trasformare le comunità indigene ribelli in villaggi che vegetano, villaggi vivi però morti. E gli indigeni sono condannati ad una morte lenta, là nella montagna, senza alimenti, senza medicine, senza abbigliamento, senza sicurezze. Sotto la pressione psicologica costante dei sorvoli a bassa quota, dei pattugliamenti militari, dei posti di blocco.

La ricolonizzazione militare, combina la militarizzazione della mente con la militarizzazione di tutti gli spazi geografici. In un recente volo da Comitán a San Quintín e Amador Hernández ho potuto osservare, dall'aria, quella che oramai costituisce la caratteristica più sintomatica della nuova geografia chiapaneca: una vasta rete di accampamenti, caserme e posti di osservazione militare, accompagnata da un tessuto di nuove strade - distribuite alla maniera di "anelli periferici" intorno alle comunità in resistenza -, costruite in tutta fretta a fini bellici.

E' la dimostrazione evidente, che distrugge la verità ufficiale. Sono le strade per la guerra che saturano oggi il teatro delle operazioni, connettendo i punti fissi dell'Esercito (caserme, guarnigioni, accampamenti, posti di osservazione e posti di blocco) con una singolarità: quasi tutti confluiscono alla base di San Quintín.

I posti di controllo castrense e i serpeggianti sentieri sono l'avanzata di una "ricolonizzazione militare" della selva Lacandona, inscritti in una strategia antiguerriglia. Come una metastasi, l'infrastruttura che forma l'accerchiamento militare, si è moltiplicata negli ultimi tre anni fino a contare con più di 600 posti fissi e mobili di vigilanza e controllo del territorio e della popolazione. Oltre ai membri dell'Esercito, della Polizia d'Immigrazione e della Polizia Federale Preventiva, l'accerchiamento di guerra include elementi della Procura Generale della Repubblica e della Segreteria di Sicurezza Pubblica, ai quali si devono aggiungere i componenti dei corpi di sicurezza statali, i gruppi paramilitari e la guardia rurale. Si tratta di un controllo aereo e terrestre totale. Un accerchiamento di paura, delle produzioni e dell'alimentazione sulle comunità zapatisti ribelli, un accerchiamento che raggiunge anche la salute, la cultura e le risorse naturali degli abitati indigeni.

Se tutto questo fosse poco, un'ampia rete di spie completa la zoologia fantastica della sicurezza antiguerriglia in Chiapas. Molti agenti coperti agiscono nella zona mascherati da mercanti, altri sotto la protezione dell'Istituto Nazionale Indigenista, della Semarnap, del Sedeso, del Procede, di Progresa e dei servizi educativi dello stato, che dipendono da una Commissione Interistituzionale costituita poco dopo l'insurrezione zapatista per "curare" le cause del conflitto.

Le forze ufficiali e quelle ufficiose sono coordinate dal Consiglio Statale di Sicurezza Pubblica, subordinato a sua volta all'Esercito Federale. Un cosiddetto "Sistema 066" monitorea attraverso un'ampia rete di radio mobili e fisse tutti i movimenti dei gruppi di resistenza civile. Non ha smesso di essere eloquente il fatto provato che uno dei primi gruppi dotati di radio e inseriti nel "Sistema 066" sia stato quello dei paramilitari di Paz e Justicia, che agiscono come punta di lancia della strategia antiguerriglia nei municipi di Tumbalá, Sabanilla, Tila, Salto de Agua e Yajalón.

Dall'aria richiamano l'attenzione in particolare i posti di osservazione militare in montagna, alcuni dissimulati tra il verde sulle punte dei monti, sparsi su un vasto perimetro che comprende l'ex enclave zapatista di Guadalupe Tepeyac e il villaggio tojolabal de La Realidad, dove spesso si erano lasciati vedere il comandante Tacho, il subcomandante Marcos e il maggiore Moisés.

Nella zona che sorvolo, nei premonti dei Montes Azules, si possono notare almeno 30 nuovi accampamenti castrensi. I sorvoli civili sono controllati dalle principali guarnigioni militari. nella comunità tzeltal di San Quintín, l'Esercito ha elevato un'autentica cittadella fortificata "in terra indios". Si tratta di un insolito insieme di cemento, che somiglia a un piccolo Tlatelolco. Si notano subito i sei moduli abitativi a tre piani dipinti di verde chiaro e con tetto di tegole, che senza dubbio sono la casa degli ufficiali del Campo Militare N. 39, costruiti sulla riva del torrente Jataté sopra più di 10 ettari di questo ejido che confina con la riserva della biosfera dei Montes Azules.

Lì ha la sua sede il 73° Battaglione di Fanteria. In uno spazio tracciato armonicamente e coperto da giardini, si distinguono un paio di chalet che devono servire da residenza ai comandanti. Più in là, in alcuni rimesse deve alloggiare la truppa. E' la stratificazione sociale all'interno delle caserme.

Una monumentale bandiera messicana ondeggia sopra tutti, con un'asta di 50 metri domina l'insieme. Uffici, un eliporto, aree sportive, un campo di tiro e una zona d'addestramento completano il paesaggio interno dell'unità. Tutto segnala che si tratta di un esercito che è arrivato per fermarsi. Dall'aria non c'è tracciato visibile dell'arsenale di questa sede castrense che opera anche come base aerea e che è considerata strategica nella guerra antiguerriglia contro lo zapatismo.

Una pista asfaltata, costruita per resistere al peso di aerei di guerra, è stata posta lungo la piccola ringhiera di protezione del campo militare. Rigorosamente, tutti i sorvoli sono "ricevuti" da uomini in uniforme che fanno le veci di furtivi agenti del Istituto Nazionale di Immigrazione. Di fronte al complesso militare, dall'altro lato della pista, c'è il vivaio San Quintín, che ostenta un cartello della Semarnap. A un lato della caserma c'è una lunga fila di piccoli spacci, ristoranti e cantine. Alcune adempiono a una doppia funzione: cioè si trasformano in bordelli o antri tipici di una "zona rossa", per risolvere le necessità dei soldati della base. Questo è uno dei principali "apporti" di questa pace militarizzata che impera adesso in Chiapas: l'irruzione di una prostituzione galoppante; accanto all'alcolismo, alla delinquenza e alla droga, prodotti della "modernità" castrense.

Non si tratta di qualcosa fortuito: fa parte di una strategia militare deliberata, in questa guerra silenziosa, non dichiarata, diretta a lacerare il tessuto sociale, familiare e comunitario. E' un'altra forma della militarizzazione delle coscienze, che genera a sua volta dipendenza economica. Come insegnano i manuali di guerra psicologica, si tratta di influire sulla condotta della popolazione civile, di installarsi nelle loro teste; di sfruttare le vulnerabilità del nemico e delle sue basi d'appoggio: le loro paure, necessità, frustrazioni.

Amador Hernández

La ricolonizzazione verde olivo dà continuità allo stesso padrone: installare a fianco di ciascun villaggio autonomo zapatista un accampamento militare "gemello". Il metodo è semplice: i soldati si appropriano con la forza di terreni comunitari ed installano accampamenti militari. Come un esercito di occupazione nel proprio paese. Il caso dei profughi di X'oyep, nel municipio di Chenalhó, ha dato l'idea al mondo intero dopo essere stato captato dal fotografo Pedro Valtoserra. La fotografia riproduceva la resistenza di una piccola indigena zapatista che prendeva per il bavero un soldato federale. Però la stessa cosa succede a Taniperla, municipio di Ocosingo, o a Guadalupe Los Altos, nel municipio di las Margaritas.

Il posto di controllo sul torrente Euseba del Raggruppamento Canador dell'Esercito Messicano, a due curve di cammino da La Realidad, presto potrà contare con un supermercato della Sedena. In febbraio il presidente Zedillo ha espropriato 30 ettari comunali di Maravilla Tenejapa, municipio di Las Margaritas. Lì è ubicata il municipio autonomo Tierra y Libertad. Su quelle terre espropriate si installerà un nuovo accampamento peri l'addestramento militare dell'Esercito e della Forza Aerea.

La militarizzazione integrale della selva Lacandona è forse il progetto che ha più successo del governo zedillista: l'unico che è riuscito a continuare a crescere progressivamente. Per questo progetto ci sono sempre state risorse disponibili. Buona parte degli investimenti è andata in opere di costruzione, in primo luogo di caserme e strade. La costruzione di strade è una tipica azione civica. Di solito viene presentata dall'Esercito come un beneficio per la comunità, però ha obiettivi militari chiari per il controllo territoriale e il trasporto di uomini, equipaggiamenti, armi e munizioni.

Un caso singolare è quello di Amador Hernández. Ubicata a cinque minuti di volo da San Quintín, è una comunità tzeltal del municipio di Ocosingo situata a una delle entrate verso i Montes Azules. Lì la terra è nera e fertile e nel sottosuolo c'è petrolio: molto petrolio. La regione è anche ricca di uranio, acqua e biodiversità.

Agli inizi degli anni '90, Petróleos Mexicanos ha progettato un investimento di migliaia di milioni di dollari per sviluppare il Macroproyecto Exploratorio Ocosingo-Lacantún, che comprende le aree di Ocosingo e Marqués de Comillas. Si stima che lì ci sia una riserva potenziale di 3 mila 500 milioni di barili di petrolio, che ai prezzi attuali rappresenterebbe più di 80 mila milioni di dollari. Una autentica miniera d'oro, come bene sanno le compagnie petrolifere statunitensi. Questa è stata una delle ragioni strategiche per la costruzione di una strada di 82 chilometri che unisse San Quintín con Amador Hernández e Las Tacitas; una strada verso le privatizzazioni e la denazionalizzazione delle nostri risorse naturali, che include la vendita della Pemex.

Però è anche la strada silenziosa per la ricolonizzazione militare. Per la mala morte e lo sterminio di indigeni ribelli. Tracciata tra le vallate di Patihuitz e Agua Azul, nella parte centrale della Avellanal, si tratta di una strada strategico-militare per facilitare il passo di veicoli muniti di artiglieria, armamento pesante e truppe di fanteria tra le due basi castrensi piùmás importanti della Lacandona: Ocosingo e San Quintín.

L'accampamento militare fu installato nel pomeriggio del 14 dello scorso agosto, dopo che un gruppo di paracadutisti fortemente armato e appartenente a un corpo di élite dell'Esercito Messicano "occupò" il luogo con un'operazione fulminea. Un elicottero s'abbassò sul "campetto appena seminato" del ejidatario Manuel e uno dopo l'altro fino ad arrivare a 15 sbarchi, portando sempre più e più soldati. "Circa 400", secondo gli abitanti. Loro, gli abitanti di Amador Hernández, non hanno potuto impedire l'occupazione. I sorvoli arrivavano dalle caserme di San Quintín e di Ibarra e trasportavano pure riserve alimentari, asce e rotoli di filo spinato. Anche mitragliatrici su treppiedi, lanciafiamme, scudi, defolianti chimici e decine di bombole di gas lacrimogeno.

Questo 14 agosto i bambini della comunità conobbero i militari. In pochi giorni, i soldati spianarono una porzione considerevole di selva, più di cinque ettari, buttarono giù alberi di mogano, cedro e maculis e costruirono un accampamento con due eliporti. La Semarnap non ha detto niente. Hanno circondato l'accampamento con vari giri di filo spinato, come in Vietnam. Dopo hanno scavato trincee, piazzato varie casematte e un posto di blocco nel sentiero reale che con sette ore di mula conduce a San Quintín.

Un'altra base dell'offensiva castrense era stata piazzata, di fatto, puntando verso i Montes Azules. Il generale Fermín Rivas García, comandante della 39° Zona Militare, in Ocosingo, e il governatore ad interim Roberto Albores, hanno dichiarato che i soldati erano arrivati per offrire sicurezza al personale topografico della ditta costruttrice che doveva tracciare la strada San Quintín-Amador Hernández. Poco dopo l'opera fu sospesa, però i militari sono rimasti. E ogni giorno, dei comandos vanno a rastrellare la zona, in su per la montagna.

Ogni giorno la popolazione in resistenza di Amador Hernández percorre il piccolo sentiero che la separa dall'accampamento, per cantare l'Inno Nazionale, gridare slogan e chiedere ai soldati che se ne vadano, mentre il generale responsabile dell'invasione ha fatto installare otto altoparlanti ad alta potenza per interferire con le proteste. Prima gli altoparlanti erano lungo la strada, per spegnere le voci dei ribelli. Però dopo li hanno installati dentro la base, per assordare i soldati rapati con marce militari, il pianoforte di Richard Clayderman o canzoni ranchere. A tutto volume, il rumore delle canzoni cerca di evitare che i soldati si "contaminino" con le richieste degli abitanti del posto. Come gli altoparlanti tappano le orecchie però non gli occhi, nelle occasioni in cui gli zapatisti alternano le parole con i cartelli.

Ammutolisce la loro voce, però parlano i loro cartelli. Come quando hanno scritto: "Questa terra è dei nostri morti, come potete uccidere i nostri morti?".

È come un gioco: una singolare braccio di ferro. L'immagine è quella di un pugno di soldati rifugiati dietro i fili spinati. Autoaccerchiati, prigionieri.

Però è una falsa immagine. L'accampamento è la chiave. Quando lo installarono, il subcomandante Marcos denunciò che era "una nuova postazione militare, alle nostre spalle". Gli abitanti del posto affermano che zappatori dell'Esercito stanno costruendo una strada occulta e controllata da loro, attraverso i Montes Azules. È l'accerchiamento che si restringe. Quello che in antiguerriglia si conosce come "il nodo dell'impiccato". La corda che si serra al collo del comando zapatista.

Il macchinario bellico è pronto. A tre settimane dalle elezioni la campagna di Francisco Labastida non ha successo. È il momento per rivivere il voto della paura. Che meglio di una guerra per farlo?

[http://www.jornada.unam.mx/2000/jun00/000611/mas-voto.htm]


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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