La Jornada, domenica 10 dicembre 2000

COMPLICITA' DI EX GOVERNATORI E DEL POTERE GIUDIZIARIO PER LEGITTIMARE GLI ARRESTI

RIVELATE IRREGOLARITA' NEI PROCESSI CONTRO INDIGENI ZAPATISTI

- Il Procuratore Mariano Herrán analizza i processi di circa un centinaio di basi di appoggio arrestate: si applicava loro il "principio dell'immediatezza processuale"

Juan Balboa e Andrea Becerril, Tuxtla Gutiérrez, 9 dicembre

Mentre si insedia il governo di Pablo Salazar, a partire da lunedì prossimo, la revisione dei processi contro circa un centinaio di indigeni zapatisti, incarcerati in diverse prigioni dello Stato, metterà a nudo la complicità che hanno avuto negli ultimi sei anni, i poteri Esecutivo e Giudiziario del Chiapas per legittimare l'arresto illegale e la violazione dei diritti umani di simpatizzanti e basi di appoggio dell'EZLN.

Dalla documentazione a disposizione del Procuratore di Giustizia dello Stato, Mariano Herrán Salvatti, è evidente che quasi un centinaio di indigeni, in buona parte di etnia chol e tzeltal, sono stati privati della libertà attraverso procedimenti viziati, sono stati torturati per costringerli a confessare delitti che non avevano commesso e per i quali sono stati condannati, alcuni perfino a 25 anni di carcere.

"In tutti i casi, è ovvio che i giudici considerano gli indigeni zapatisti degli oppositori politici" e che, su questa base, i processi contro di loro sono avvenuti senza l'analisi obiettiva della verifica delle prove, legittimando con questo detenzioni arbitrarie, confessioni ottenute sotto tortura ed eseguendo ordini d'arresto con inusitata rapidità", afferma l'avvocato difensore dei prigionieri, Miguel Angel de Los Santos.

Dichiara inoltre che è per questo che la liberazione di tutti i prigionieri politici indigeni, è sempre stata una delle condizioni posta dall'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) per la ripresa dei dialoghi con il governo federale.

De Los Santos evidenzia che la situazione che hanno dovuto affrontare i circa cento indigeni ancora detenuti, dimostra perché sia fondamentale che vengano applicati gli Accordi di San Andrés, in quanto gli stessi, tra gli altri punti, riconoscono ai popoli indios le loro forme di amministrazione della giustizia.

"Si eviterebbe così che gli indigeni siano giudicati con meccanismi che sono culturalmente lontani da loro. Il riconoscimento di questi diritti alle etnie in Messico, è, senza alcun dubbio, un punto fondamentale per stabilire le basi di una pace duratura, frutto della giustizia".

Il difensore ha precisato quindi che la maggioranza dei casi si riferiscono ad indigeni accusati di partecipazione ad atti violenti avvenuti nella zona nord. Altri, in misura minore, si riferiscono a arresti e detenzioni avvenuti in seguito allo smantellamento di municipi autonomi.

Nel primo caso, all'escalation della violenza nella regione del conflitto armato, nota come zona nord, è cominciata anche la presentazione di accuse penali contro le basi di appoggio dell'EZLN e di persone identificate con organizzazioni politiche di opposizione.

Almeno la metà dei prigionieri uniti ne "La Voz de Cerro Hueco" proviene da questa zona nord e si tratta di indigeni di etnia chol, reclusi nel carcere Cerro Hueco di Tuxtla Gutiérrez, da dove deriva il nome della loro organizzazione, e nel carcere distrettuale di Yajalón.

L'avvocato sostiene inoltre che lo schema con il quale sono stati accusati, è sempre lo stesso: un militante del PRI presenta una denuncia per un presunto reato al Pubblico Ministero ed immediatamente questo spicca un mandato di cattura che il giudice esegue con la stessa celerità, senza verificare le prove e quindi l'indigeno viene arrestato anche con una scenografia di imponenti operazioni di polizia.

Cioè, il Pubblico Ministero non esegue alcuna indagine per dimostrare la presunta responsabilità dell'accusato. Gli bastano semplici segnalazioni di reati relativi alla privazione illegale della libertà attraverso il sequestro, l'omicidio, l'assalto e lesioni gravi, tra le altre cose.

Le versioni dei fatti imputati agli zapatisti "arrivano all'assurdo", ma sono accettate dagli agenti del Pubblico Ministero.

Un esempio è il caso di Cristóbal Gutiérrez Gómez, base di appoggio dell'EZLN, accusato dell'omicidio di César Santiz Pérez, morto in un'imboscata nella comunità di Chimix, municipio di Chenalhó, il 10 ottobre 1997. Feriti e testimoni descrissero che gli assalitori erano scesi dalla montagna, vestiti di nero, con passamontagna ed armi da fuoco.

Lo zapatista Cristóbal Gutiérrez, sicuramente, fu arrestato e processato perché uno dei testimoni disse di averlo riconosciuto nel gruppo degli assalitori "dalla forma del corpo".

Gli indigeni zapatisti sono stati condannati applicando il principio ricorrente dell'immediatezza processuale, secondo cui, anche se chi si è ritenuto offeso dichiari di non voler sporgere denuncia e non riconosca la firma posta nella sua presunta dichiarazione, a tutto ciò viene dato valore di prova valida, perché le prime dichiarazioni sono preferenziali rispetto a quelle posteriori.

De Los Santos ha evidenziato che sulla base di questo principio dell'immediatezza processuale, sono state prese come valide dichiarazioni rilasciate sotto tortura o senza traduttore.

Come è avvenuto nel caso di Adolfo López Vázquez, un indio chol processato per omicidio sebbene non avesse mai avuto l'apporto di un traduttore. Il giudice incaricato della causa, dice il difensore, ritenne che non ne avesse bisogno. "Anche la mia cameriera è chol e parla molto bene lo spagnolo", disse, sebbene un perito linguistico dell'Istituto Nazionale Indigenista dimostrò che non avrebbe mai potuto narrare le tre pagine di dichiarazione di cui si componeva la sua deposizione di ammissione di colpa.

Ugualmente, sebbene non esistano prove della sua presunta responsabilità, Diego Pérez de La Cruz, della comunità Francisco Villa, municipio di Sabanilla, è detenuto dal 1997 e condannato a 15 anni per la morte di un poliziotto, delitto da lui confessato dopo brutali torture.

E' la stessa storia per quasi un centinaio di indigeni zapatisti, che hanno subito lunghi processi penali e "nonostante la loro difesa abbia smontato una alla volta tutte le accuse rivoltegli", continuano ad essere detenuti: 37 restano a Cerro Hueco, 20 nel carcere di Yajalón, 1 a Comitán, un altro nel carcere di Carranza, 23 in quello di San Cristóbal, 2 a Villa de Las Flores, 11 a Tapachula, 2 ad Ocosingo e 2 a Tacotalpa, in Tabasco.

I loro espedienti processuali sono nelle mani del Procuratore dello Stato, che ha ricevuto incarico dal governatore Pablo Salazar di definire, per questo lunedì, una commissione che riveda tutti i casi dei detenuti zapatisti, in vista della loro liberazione immediata.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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