Proceso, 9 gennaio 2000

Chiapas: la tregua non basta

di Jaime Martínez Velóz

Un nuovo secolo nasce e il Chiapas continua ad essere un promemoria di quello che siamo.

Un riassunto di quanto è successo è breve: sei anni di conflitto, tre anni e quattro mesi di dialogo sospeso, due presidenti della Repubblica, sei ministri degli Interni, due commissari di pace, due rappresentanti governativi, un coordinatore per il dialogo, cinque governatori statali, migliaia di rifugiati, migliaia di soldati, molto inchiostro sulla stampa, molte ore di trasmissione televisiva e radiofonica, diversi libri e una miseria maggiore di quella che c'era all'inizio.

Tuttavia nessun libro o cronaca, nemmeno uno dei discorsi o delle lettere ingegnose, condensa la sofferenza umana, l'incertezza e l'odio che sono diventati parte della vita quotidiana di ampie zone dello stato del Chiapas.

Il 1999 è finito e il 2000 è cominciato con la persecuzione militare, poliziesca e politica contro le zone di influenza zapatista.

Questo non è strano, fa parte dello stile personale di sgovernare del governatore supplente del supplente.

Roberto Albores ha già dimostrato di essere capace di qualunque cosa, di qualunque sventatezza.

Ha anche dimostrato che non importa quello che dice o che fa, c'è un potere superiore che ha deciso di lasciarlo dov'è.

Albores non ha solo perseguitato l'EZLN, ma ha anche silurato quel poco che resta del dialogo.

Ancora peggio, ha pregiudicato la campagna di Labastida e ha causato un serio problema nel Congresso della stato.

Niente di tutto questo ha avuto importanza. Albores rimane.

La ragione di questa permanenza si può trovare nel fatto che non si considera adeguata la sua rimozione in un momento così vicino all'elezione del governatore.

È un errore. Il costo di farlo rimanere può mettere in rischio un'elezione che deve essere trasparente.

L'EZLN e le comunità hanno sopportato tutto e sono sopravvissuti.

Ma la maggior minaccia che affrontano è l'oblio e l'impossibilità pratica di trovare una forma organizzativa esterna e nazionale che riprenda la loro causa. Nonostante i suoi sforzi, il Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale non è riuscito a superarsi né a trasformarsi in una forza apprezzabile.

I partiti politici con ogni ragione sono preoccupati per l'elezione del prossimo luglio.

Gli zapatisti non sono sui media e la simpatia certa e palpabile che risvegliano nella società civile è diminuita.

Militarmente preoccupano molto meno dell'EPR, anche se paradossalmente l'EZLN ha mostrato un'arma colossale: l'immaginazione.

Anche Acteal continua a rimanere lì, nonostante le sei linee di investigazione che porta avanti la PGR, nessuna delle quali incolpa qualche funzionario dell'amministratore del precedente supplente Ruiz Ferro. A questo si aggiunge la partenza del vescovo coadiutore Raúl Vera, che ha ricevuto come regalo per l'anno nuovo il suo trasferimento alla sede vescovile di Saltillo, e la possibile accettazione della rinuncia che per norma religiosa ha presentato Samuel Ruiz al compimento dei 75 anni.

La diocesi di San Cristóbal rimarrà vacante e in essa potrà arrivare un altro vescovo con altre idee.

I vescovi Ruiz e Vera hanno accettato pubblicamente la decisione che prenderà la gerarchia ecclesiastica.

La stessa Chiesa ha detto che non succede nulla.

Tuttavia, diverse organizzazioni create sotto la garanzia del lavoro di Samuel Ruiz o vicine alla difesa dei diritti umani hanno manifestato la loro preoccupazione per questi cambiamenti.

Alcune di esse hanno accusato il governo messicano di aver influito sulla decisione del Vaticano.

Si è detto che il Papa è stato ingannato.

È difficile credere che il governo messicano avesse questa influenza o che si possa ingannare la struttura gerarchica vaticana, una delle più avanzate in questioni politiche.

In ogni caso, qualunque decisioni che abbia preso o che prenda la Chiesa, sicuramente sarà fondamentalmente appoggiata dalla sua stessa logica interna.

Naturalmente è quasi impossibile credere che il governo messicano non abbia detto niente al riguardo, ma in ogni caso questa azione ha contribuito solo ad affermare una decisione incubata a lungo nelle viscere della struttura ecclesiastica.

Nell'ambito elettorale la figura del senatore Pablo Salazar continua a guadagnare adepti nella sua corsa verso il Potere Esecutivo dello stato.

Anteriormente membro della Cocopa, ha rinunciato al PRI dopo una campagna montata contro di lui dal Palazzo del Governo.

Una campagna di una virulenza tale che persino altri senatori priisti hanno dovuto aiutare a sedarla.

Adesso, l'antico senatore priista costruisce un'alleanza che non assomiglia a nessun altra nazionale o statale.

Pablo Salazar può unire gli sforzi dei partiti, delle correnti e delle religioni attorno a un'idea: restaurare le istituzioni dello stato e rendere possibile la governabilità senza piombo e senza fuoco.

Può portare avanti un progetto che ponga le basi per una convivenza democratica e giusta.

Con questo non si afferma che un uomo solo può, come paladino della democrazia, risolvere i problemi connessi con lo stato.

Un'amministrazione statale richiede credibilità, onestà ad ogni prova, progetto e potere di convocazione.

Le forze politiche e sociale che aggruppa intorno a sé la campagna del senatore Salazar possono elaborare un progetto di governo e portarlo avanti. Non sarà un compito facile.

Sarà necessaria una grande capacità di concertazione e eludere tutte le provocazioni e le aggressioni che attendono dietro l'angolo.

Sarebbe anche indispensabile convincere la maggioranza della società chiapaneca che è meglio scommettere su un progetto di conciliazione che continuare nell'incertezza che rappresentano le vecchie forze politiche nello stato.

In questo cammino sarebbe conveniente che si convocassero i partiti e le organizzazioni a sottoscrivere, sia a livello nazionale che locale, un patto base di governabilità per il Chiapas.

Ci sono due compiti basilare che si devono contemplare nell'immediato futuro: il primo è senza dubbio che si garantisca la trasparenza e l'integrità del processo elettorale.

In questo senso i partiti e le organizzazioni nello stato devono trasformarsi in controllori di tutto il processo, ma il governo federale deve fare la sua parte.

Anche se le elezioni locali sono responsabilità delle rispettive autorità statali, il governo federale deve legare le mani alle forze vicine al governo attuale.

Se le elezioni risultano sospette o fraudolente ci sarà un nuovo motivo di conflitto.

Il PRI, nello stato, è un partito forte e influente, anche se alcuni settori sono all'interno di gruppi politici più arretrati.

Tuttavia possono vincere le elezioni.

In qualunque caso, chiunque vinca, i comizi devono essere onesti.

Il secondo compito basilare è quello di stabilire un accordo minimo per riprendere il dialogo con l'EZLN.

È chiaro che in quanto rimane del sessennio l'unica cosa che si può fare è non gettare altra legna nel fuoco, ma a partire dalla prossima amministrazione, la negoziazione deve conoscere una nuova tappa che appiani gli ostacoli che impediscono il dialogo.

I sei candidati alla Presidenza della Repubblica, in diversi incontri, hanno riconosciuto l'importanza di stabilizzare la situazione chiapaneca e di porre le basi per risolvere i problemi più acuti dello stato.

Ognuno di essi ha, naturalmente, una diversa opinione su come risolvere i conflitti, ma tutti sono d'accordo su una via istituzionale e pacifica, perché non chiedere a tutti i candidati alla Presidenza di sottoscrivere questo accordo e di impegnarsi a seguirlo nel caso vincano?

Luis Donaldo Colosio ha detto, in quel memorabile discorso del 6 marzo del 1994, che in Chiapas non c'era uno stato all'altezza della situazione.

Iniziamo il prossimo sessennio con un governo capace di raccogliere la sfida e portare avanti un dialogo fruttifero.


(tradotto dall'Associazione Ya Basta! Per la dignità dei popoli e contro il neoliberismo - Lombardia)



logo

Indice delle Notizie dal Messico


home