8 settembre 2000

Venustiano Carranza: tra l´abbandono e la lotta

di Oscar Paciencia

"Io, José Manuel Hernandez Martinez, ho 47 anni, i miei genitori sono indigeni tzotziles, nativi e membri della comunità indigena la Casa del Pueblo; la mia compagna, Rosa Perez Coronel convive con me assieme ai nostri sei figli e il nostro domicilio è nel Barrio San Pedro di Venustiano Carranza, Chiapas. Il giorno 16 di giugno di quest'anno, verso l'una del pomeriggio, un gruppo formato da più di 20 persone, tra polizia giudiziaria e guardie bianche comandate da JESUS ORANTES RUIZ, a bordo di quattro camionette, hanno assaltato la mia casa con tutta la violenza possibile.

Hanno scavalcato il recinto aprendo la porta a calci, cercandomi in tutti i posti possibili con l'intenzione di assassinarmi. Hanno minacciato col fucile puntato i miei figli, mia nuora e il mio nipotino di 2 anni.

Minacciavano che se avessero parlato li avrebbero uccisi. Hanno portato via oggetti di valore e denaro. Specifico che appartengo al gruppo di espulsi dalla Casa del Pueblo, scacciati dalle nostre terre e rifugiati nell'abitato denominato La Gloria. Qui viviamo in un accampamento subendo costantemente le persecuzioni dei corpi di polizia e delle guardie bianche al soldo di Jesus Orantes Ruiz".

Così inizia la lunga testimonianza scritta di un vecchio lottatore sociale, come lui si definisce, che da più di ventitré anni accompagna lo sfiancante processo di difesa dell'unità terriera dai continui, violenti, tentativi dei latifondisti di dividerla in piccole proprietà. La data è del 28 giugno di quest'anno ed è stata inviata a tutti i possibili organismi a tutela dei diritti umani, istituzionali e volontari, ONU e Organizzazioni non governative comprese, senza che, al momento, nessuno si sia mosso in difesa di questi contadini espulsi dalle loro terre.

Venustiano Carranza si raggiunge con tre ore di viaggio da San Cristóbal de Las Casas e tre cambi di mezzo, a Teopisca, a Villa Las Rosas ed infine a Pujiltic, dove le strade scendono verso le pianure delle vallate e dove il fresco della montagna lascia il posto ad un caldo appiccicoso e inesauribile anche durante le ore notturne.

Oscar mi raccatta al distributore di Pujiltic e con Bartolo mi accompagna all'accampamento dei desplazados La Gloria, costruito dietro il ricco ristorante El Hungaro. Nell'accampamento oggi risiedono una ventina di persone tra uomini donne e pochi bambini, dato che dopo sei mesi di vita passati sotto tetti di plastica, senza acqua potabile né possibilità di coltivare un po' di terra per il proprio sostentamento, gli altri 228 espulsi hanno trovato sistemazione in case di altri loro compagni di Venustiano Carranza e dintorni.

Venustiano Carranza ha una storia secolare. Nel 1529, chiamata Comunità indigena San Bartolomé de Los Llanos, fu costituita su una superficie territoriale di 1300 Caballerias che vennero posteriormente comprate dagli antenati degli attuali espulsi. Con l'incremento degli allevamenti, si formarono i grandi latifondi ed il cacicchismo si andò rafforzando, radicandosi sempre di più nel potere politico. I padri degli espulsi tornarono allora a vivere come schiavi, sotto il dominio dei ladinos - i bianchi -, i quali, protetti dalla legge, cominciarono a ripartirsi le terre, estendendo i titoli di proprietà tra loro stessi e spogliando la comunità di quasi tutte le terre, convertendo i comuneros - coloro i quali non accettavano la spartizione della terra ed erano legittimi proprietari della stessa - in peones, braccianti pagati (quando lo erano) pochissimo, ma obbligati a lavorare per il cacicco.

Questa lotta, tra i comuneros e i latifondisti, cominciata all'inizio del secolo, è proseguita fino ad oggi. E continua, per esempio, nel racconto che mi fa Ruben Jaramillo, responsabile di un piccolo poblado attualmente inesistente per lo stato. Qui ci si arriva dopo un'ora circa di camionetta da Carranza, avendo percorso l'ultimo chilometro di strada sterrata che, con le piogge intense che si verificano in questa zona, rende impossibile l'entrata e l'uscita dal villaggio. Si trovano arrampicate sul pendio del monte dodici famiglie, circa 50 persone, sistemate su 60 ettari di terreno. Le case sono costruite, alcune, con il poco legno che si trova in giro, mentre la maggior parte con impasto di terra e foglie secche.

I più fortunati hanno tetti di lamiera, gli altri si accontentano della plastica. Hanno da poco cominciato a rendere praticabili per la semina del mais una parte di questi 60 ettari. Per potersi assicurare alcune tortillas.

Il 17 maggio del 1999, in una denuncia ufficiale alla Commissione Nazionale per i Diritti Umani, la comunità scriveva la sua non troppo recente e triste storia.

"Siamo un gruppo di contadini poveri che furono braccianti (peones, nel testo in spagnolo) della proprietà "Il Rifugio" e obbligati a lavorare per il cacicco della stessa proprietà. Abbiamo vissuto così per 40 anni. I proprietari, ad un certo punto, hanno deciso di ripartire il terreno su cui noi lavoravamo e vivevamo. Noi lì siamo vissuti e siamo cresciuti, obbligati a lavorare per loro, per 40 anni. Abbiamo lavorato per pochi soldi e senza nessun diritto e garanzia, guadagnando, solo negli ultimi tempi, 10 pesos al giorno. Abbiamo coltivato la terra e fatto arricchire i proprietari, mentre noialtri morivamo di fame. Per questo il 12 giugno del 1995 abbiamo deciso di riunirci e parlare. Ma i proprietari ci hanno minacciato di cacciarci dalla terra. Sei giorni dopo abbiamo sollecitato il governo dello stato affinché si avviassero le pratiche per farci diventare i legittimi proprietari della terra che per legge ci spettava. Allora i proprietari, resisi conto delle nostre richieste al governo, hanno cominciato a reprimerci. Il primo di ottobre del 1999 fummo scacciati dalla terra dai cacicchi e dai loro pistoleros. Erano accompagnati in questa operazione da un convoglio di polizia con 400 effettivi, 400 soldati dell'esercito, 33 della polizia giudiziaria e 3 carri armati. Ci hanno scacciati, hanno bruciato le case, le hanno saccheggiate. Abbiamo perso 48000 pesos".

Quando mi accompagnano a fotografare l'attualità della loro condizione di vita, una donna incinta, sotto un tetto di plastica retto da quattro pali, seduta su di un tronco, sorride, coprendosi gli occhi con una mano. Sotto lo stesso telone c'è un bambino che osserva questa specie di marziano - io - che lo sta inquadrando nell'obiettivo. Suo padre gli tira giù la maglietta piena di buchi affinché la foto "salga bonita" (venga bella). Un po' più in là, su di un fuoco acceso all'aria aperta - la cucina - bolle una piccola pentola con alcuni elotes dentro. Chissà da dove arrivano quelle pannocchie, visto che la possibilità di coltivare le poche terre su cui stanno è ancora molto lontana. Vita quotidiana da sfollati.

"Dopo il primo sgombero dalle nostre terre, abbiamo vissuto in montagna, sotto gli alberi, con le nostre famiglie, soffrendo la fame, il freddo e le malattie", continua la denuncia. "Allora abbiamo deciso di tornare ad occupare le nostre terre. Avevano bruciato tutte le case. Ci hanno lasciato lavorare e vivere sulle nostre terre per 28 giorni, dopodiché sono tornati a scacciarci. Il 4 novembre 1995 siamo stati nuovamente costretti a fuggire dai proprietari accompagnati dai loro pistoleros, coordinati con il cacicco più grande della zona, Jesus Orantes Ruiz. Duecento elementi della Sicurezza Pubblica, 24 elementi della polizia e oltre 40 guardias blancas, hanno partecipato a quest'azione. Distrussero di nuovo le case e rubarono le poche cose che eravamo riusciti a mettere insieme.

Nonostante ciò, decidemmo, per la terza volta, dopo la seconda cacciata, di recuperare nuovamente le terre che ci appartenevano, ma, il 26 ottobre 1996, siamo stati nuovamente scacciati da più di 1270 elementi tra polizia giudiziaria, guardias blancas, Pubblica Sicurezza ed esercito. Siamo andati a vivere su di un terreno dei compagni di Carranza e lì abbiamo vissuto per due anni, fino all'agosto del 1998, quando i ricchi proprietari, stanchi delle continue occupazioni, hanno accettato di lasciarci vivere su 60 ettari di terreno, sul costale del monte in cui stiamo vivendo ora, senza però nessuna garanzia legale".

La camicia inondata dal sudore del giovane portavoce della comunità ancora "inesistente" Ruben Jaramillo, è il segno concreto della fatica, fisica, mentale, spirituale, che i rifugiati hanno ereditato dai loro antenati. Fatica spesa alla ricerca di un futuro vivibile che qui continuano a chiamare "terra". E che si è lasciata molti morti alle spalle: "nel 1975 il commissario della Casa del Pueblo Bartolomé Martinez Villatoro e Guadalupe Mendoza cadono in una imboscata ordita dai cacicchi e dal governo dello stato. Da questo momento decidemmo di essere indipendenti da tutti gli organismi di governo e decidemmo di recuperare le nostre terre poiché anche se le carte legittime erano nelle nostre mani, le terre continuavano ad essere nelle mani dei ricchi" continua la testimonianza-storia di Josè Manuel Hernandez. "Nel 1976, mentre stavamo recuperando le nostre terre e cacciando i cacicchi, il governo dello stato ci ha fatto reprimere dall'esercito. Ci fu un combattimento dove morirono due nostri compagni e più di un centinaio furono incarcerati e torturati.

Nel 1984 sono stati massacrati 9 compagni, tra di loro 3 bambini e otto persone sono rimaste ferite. Hanno visto come i responsabili dell'attacco, membri del CEN, Bartolomé e Manuel Gueshte, Bartolomé Gomez Mendoza (Los Pelones) hanno bruciato il camion con quattro morti sopra. Invece che applicare la legge, dopo che si dimostrarono i fatti, il governo li premiò comprando loro prima 200 ettari di terreno, poi altri 830, oltre ad aver loro condonato debiti che avevano per milioni di pesos." Così si legge nella testimonianza degli espulsi da Carranza.

Venustiano Carranza è situata su di un pendio della montagna dalla cui chiesa, posta sulla cima, si può vedere tutta la meravigliosa Valle de los Llanos. Ma se giri la testa verso il campo da basket, sotto l'antenna di Televisa, si vedono accatastate baracche di legno e plastica nera, dalle quali fuoriesce la luce azzurrognola dei televisori accesi. Lì ci stanno alcune decine di poliziotti della Pubblica Sicurezza, per evitare che nuovi scontri avvengano in paese tra i comuneros e i paramilitari. Di questi "agglomerati" ce ne sono altri tre, sparsi per Carranza, persino nella piazza centrale, dove, al mattino i poliziotti si esercitano per la prossima sfilata del 16 settembre.

Dopo che, nel 1993, a seguito di una nuova offensiva del governo per dividere le famiglie della Casa del Pueblo con aiuti, finanziamenti e crediti vari, i compagni della Casa del Pueblo espulsero questo "gruppo di attacco" appositamente creato; e, dopo che nel 1994 il deputato priista Eucario Orantes Ruiz unì tutti i gruppi costituendo l'Alianza San Bartolomé de Los Llanos - gruppo paramilitare - con la principale funzione di perseguitare i comuneros, 500 persone della Casa del Pueblo sono state spogliate della loro fetta di terreno e dei materiali necessari al lavoro.

Lì si è ben visto, a cosa servivano i poliziotti della Pubblica Sicurezza in Venustiano. Continua la testimonianza: "Nel 1996 la polizia di pubblica sicurezza e i paramilitari cercano di assaltare la Casa del Pueblo. La comunità resistette e fallirono nel loro proposito. Il giorno dopo lo scontro si fece più duro e la polizia arrestò 13 persone lasciando un morto per strada. Nel 1997 tutto il villaggio è militarizzato con pattugliamenti permanenti, posti di blocco in tutti i quartieri e nella campagna, accampamenti e pattugliamenti nel territorio, per proteggere i latifondisti mentre ci rubavano tutti i raccolti di mais e ci scacciavano dalle nostre terre".

Fino ad ora nessuno ha risposto alle richieste di questi lottatori sociali della Organizzazione Campesina Emiliano Zapata (OCEZ), che alla luce del sole combattono per la loro sopravvivenza, in nome di una proprietà comunale da mantenere integra e affinché il prodotto della terra appartenga a chi la lavora. Questi campesinos, molto spesso critici con la scelta dell'EZLN di trattare nel 1996 con il governo, mentre loro venivano continuamente spodestati, torturati, uccisi, hanno ora accettato di entrare a fare parte della Coordinadora, organismo nato dopo la consulta zapatista del 1999, nel tentativo di accumulare le forze di tutte le organizzazioni presenti sul territorio.

In ogni Comunità che ho visitato ci sono sempre 5, 6, 10 persone su cui grava un ordine di cattura o di comparizione poiché associati alla guerriglia dell'Esercito Popolare Rivoluzionario, noti cattivi della zona e che, contrariamente all'EZLN, contano su pochissimi sostenitori (compreso all'estero). Tutte queste persone continuano a vivere alla luce del sole, nelle comunità fantasma, in cui cercano di costruire una possibilità per il futuro.

Quando ci spostiamo da San José verso Nuevo El Paraiso, sono necessari i cavalli perché con il fiume di mezzo e senza ponti che lo scavalchino, è ben difficile poter arrivare. Il percorso attraversa tutte le meraviglie naturali presenti - con annesse difficoltà - di cui molto raramente gli abitanti di El Paraiso possono approfittare, vista la scarsezza dei mezzi sia di trasporto che economici in cui queste 87 persone appartenenti a 25 famiglie stanno vivendo.

Anch'essi sono membri della OCEZ, da poco, quindi non hanno un curriculum scritto da mostrarmi. Ed allora il responsabile parla, seduto su di un rudere in cemento, posto nella proprietà che hanno di recente occupato, mentre la pioggia comincia a cadere fitta: "Siamo tutti originari di Amantenango del Valle, un municipio confinante, costretti ad abbandonare le nostre terre per colpa dei grandi proprietari, che non ci permettevano di lavorare sulla terra dei nostri avi. Siamo stati costretti a venire qui e ad occupare questo terreno, di 256 ettari, il 12 novembre del 1995. In quel periodo facemmo un incontro nella Casa del Popolo ed i proprietari del terreno occupato erano d'accordo a vendercelo. Allora abbiamo chiesto al governo dello Stato che ci pagasse il terreno, come nostro diritto legittimo alla terra. Ma nel 1996, un altro gruppo di Amantenango, appartenente al PRI, chiede ed ottiene che lo stesso terreno venga loro comprato dal governo. Così, essi si sono accaparrati 111 ettari ed il giorno 7 maggio del 1997 sono venuti dove noi già stavamo vivendo e lavorando dicendoci che erano i legittimi proprietari. Ci rubarono alcune galline, sacchi di fagioli e di mais. Alle due del pomeriggio se ne andarono. Ma il giorno 23 giugno ritornarono accompagnati da 180 poliziotti della Pubblica Sicurezza. Con loro c'erano anche i paramilitari. Circondarono l'abitato. Mentre gli uomini si allontanarono per evitare uno scontro diretto, le donne rimasero nel villaggio per parlare con quella gente. Venne detto loro di ritirarsi poiché la terra era legalmente dei priisti. Allora, per evitare maggiori problemi dovemmo scappare e ci andammo a rifugiare a San José, a circa un chilometro dal villaggio, mentre i paramilitari e i poliziotti bruciavano le nostre case. Le bruciarono tutte. Hanno ucciso gli animali e si sono fermati anche a mangiare lì. Tutte le nostre poche cose sono andate distrutte. Gli animali che sono rimasti vivi se li sono portati via. Noi siamo rimasti in montagna, in questa terra prestataci, per 7 mesi, per tutto il tempo delle piogge, vivendo sotto teli di plastica retti da piccoli pali di legno, senza niente da mangiare, con i bambini che si ammalavano, che avevano lunghe febbri e malattie ai polmoni".

Mi accorgo solo adesso che stiamo parlando sotto la pioggia. La differenza però è che io tra un giorno me ne andrò, mentre loro qui rimarranno, se non li scacceranno nuovamente. Cerco di immaginare cosa significhi stare tre mesi sotto la pioggia, senza protezione, su di un pendio di montagna. E non ci riesco.

Abili come nessun altro ad inventarsi soluzioni, questi indigeni tzotziles, fanno comparire due teloni enormi in plastica che, nel giro di dieci minuti già stanno ben tirati sulle nostre teste, improvvisando un insperato tetto.

E il mio interlocutore continua il racconto: "Nonostante il terreno ci fosse stato prestato da legittimi proprietari, ritornarono le guardie della Pubblica Sicurezza dicendo che ce ne dovevamo andare anche da lì. Allora ci riunimmo nella Casa del Pueblo ed assieme ai nostri altri compagni decidemmo, per non attizzare maggiori frizioni, di spostarci di altri cinque chilometri più lontano, in un altro luogo sempre prestatoci.

Rimanemmo lì altri tre mesi, circa fino ad aprile del 1998, poi, nuovamente, non contenti, la Sicurezza Pubblica ed i priisti ci scacciarono nuovamente. Ed allora finimmo per arrivare a Venustiano Carranza, dove per 10 mesi vivemmo su terre a prestito".

Durante tutti questi pellegrinaggi, la comunità ha percorso tutte le strade ufficiali possibili al fine di legalizzare la sua presenza sulla terra che aveva occupato. Propose al governo di spartirla con i priisti, in due parti uguali. Ci furono delle resistenze ed alla fine a luglio del 1999 si firmò l'accordo, ma il governo ha pagato, fino al momento, solo la metà del dovuto al proprietario, così che, ancora oggi sono perseguibili legalmente. Continua l'indigeno "Chiediamo a Pablo Salazar che paghi il restante. Che impedisca alla Pubblica Sicurezza di venire qui, come ancora sta facendo, circondandoci e minacciandoci in diverse maniere. Vediamo il rischio probabile di un altra espulsione, visto che ancora non siamo completamente regolarizzati. Chiediamo anche la luce elettrica, l'acqua potabile, le strade, una scuola decente, materiali sufficienti per costruire case dignitose. Chiediamo un posto più vicino di Carranza, dove portare i nostri bambini quando si ammalano. Noi diamo fiducia al PRD, ma non sappiamo se davvero lavorerà nel rispetto delle nostre esigenze." Già, la democrazia politica, spesso non si associa alla democrazia economica. Tutto questo trionfalismo sul cambiamento, attribuito al cambio di partito al governo, ottenuto senza frodi, ha l'odore di un sondaggio di opinione effettuato, esclusivamente, per manipolare le idee delle persone.

Con la solita grazia, dopo che gli uomini ci hanno aiutato a sistemare le amache sotto questa tettoia di fortuna - nella loro allegria, diventerà la futura scuola - sono arrivate alcune donne con un brodo di pollo e quattro specie di bevande simil coca-cola (Cola) che solo dio sa da dove le hanno tirate fuori. Nonostante la pioggia, la povertà, il vento e la paura di essere nuovamente scacciate, le persone di El Paraiso sorridono quando rispondo alle loro curiose domande sulla ubicazione di questo strano luogo da cui provengo. Ridono quando i miei accompagnatori di Carranza raccontano loro barzellette. Sono messicani pure loro e tutto fa brodo quando si devono continuamente trovare ragioni per continuare a sopravvivere e a combattere.

L'abbandono che vivono - del Governo federale, statale, della solidarietà nazionale e internazionale, troppo spesso catapultate, queste ultime, nel vortice utilitaristico di un passamontagna altrui - non impedisce alla loro dignità di trasformarsi in resistenza attiva, dove i loro corpi, prima che la loro intelligenza, costituiscono la barriera tra un'idea di mondo giusto e una pratica di annichilimento, sottomissione e distruzione di tutto ciò che respira.

Al mattino saluto le persone che ci hanno ospitato. Passo a vedere la bimba di 6 anni che, febbricitante e percorsa da brividi, sta tremando sul letto improvvisato sotto la capanna in cui vive. È da giorni che ha la febbre alta, che non smette neppure con la compressa che qualcuno le ha dato. Non possono accompagnarla in nessun posto. I genitori sperano che passi.

Nuevo El Paraiso non è lunica comunità fantasma in resistenza. Ad un'altra ora di cavallo, verso Chapa de Corzo, attraverso immense vallate coltivate a canne da zucchero, proprietà di latifondisti, si arriva a San Caralampio Chavin, costituito da un agglomerato di persone, anch'esse originarie di Amantenango del Valle. Trentotto famiglie per un totale di 240 abitanti, popolano un pendio, sul quale svetta una piccola cima di monte, su cui stanno i resti in cemento della vecchia proprietà latifondista. È qui che incontro i responsabili della comunità espulsa.

Il loro racconto ha del paradossale: "Nel 1997 inizia la nostra storia come braccianti dei grandi latifondisti di questa zona. Questa è una proprietà dei 9 fratelli Diaz che se la spartiscono. La moglie di Javier, la signora Carmela Diaz Suñiga, per timore che la sua terra venisse abusivamente occupata ha chiesto alle nostre famiglie che ci installassimo qui per lavorare la terra e vigilare che nessuno venisse a creare problemi. In cambio ci promise che ce l'avrebbe venduta. Noi siamo dovuti andare via dalla nostra terra di origine perché non ci davano terra sulla quale vivere e lavorare. Accettammo la proposta della signora. Solo che dopo tre anni, visto che nessuno veniva a porre problemi, la signora ha cambiato idea e non ce la voleva vendere più. Noi nel frattempo ci siamo interessati per regolarizzare la nostra posizione su queste terre. Andammo a Tuxtla a parlare con una banca la quale ci propose di incontrarci con la signora per stabilire il prezzo e le modalità di vendita. La signora venne a Tuxtla, ma quando il banchiere le propose un pagamento in due frazioni, metà subito e metà dopo un anno, la Signora decise di non vendere. Anzi, per creare ulteriori problemi, propose di vendere ad altri contadini del PRI della zona, che sapeva avevano tutti i soldi per pagare subito, ma, fortunatamente questi non accettarono per non cadere nella trappola di dividerci tra di noi. Allora, il 20 luglio del 2000 decidemmo di occupare queste terre, e le dichiarammo nostre. La signora Carmela Diaz Suñiga inviò la Pubblica Sicurezza che emise ordini di cattura per tre di noi. Nuovamente cercammo di accordarci. Proponemmo di dare alla signora il bestiame e la terra, ma lei avrebbe dovuto ritirare l'ordine di cattura e venderci il terreno. Rifiutò.

E fece venire nuovamente la polizia, accompagnata da Jesus Orantes Ruiz in persona, con le sue guardias blancas il quale, come provocazione, si offrì di comperare il terreno ad un prezzo molto più alto. Oggi, quindi, rimaniamo qui in maniera non legalizzata".

Ripercorrendo il tragitto all'inverso, dopo tre ore di cavallo, ritorniamo a San José, un villaggio che negli anni si è talmente espanso da constare di una prima, una seconda e perfino una terza Ampliazione. Si chiamano proprio così, Ampliazioni, ciascuna delle tre dotate di amministrazione territoriale. Tutti originariamente profughi da altre zone. Solamente quelli della Prima Ampliazione sono attualmente regolarizzati su questo terreno.

Tutti appartengono da tempo all'OCEZ.

Mentre aspettiamo che si organizzino nel salone comunale, mi indicano una capanna semidistrutta, senza finestre, fatta di terra e foglie secche, sulla cui porta disarticolata di legno, con un gessetto bianco sta scritto 'scuola'. Sul momento non capisco. Mi avvicino allo squarcio nella parete di fango (la finestra) e guardo dentro. È vero, è una scuola. Un signore sta raccontando delle cose ad un gruppo di ragazzini.

Dentro il salone delle riunioni apprendo che la Terza Ampliazione, costituita da 43 famiglie per un totale di 250 persone sono senza un pezzo di terra su cui procurarsi da vivere e stanno cercando un accordo con un proprietario della zona per un terreno di circa 260 ettari. Questo, come altri terreni, da 40 anni sono stati espropriati ai contadini, legittimi proprietari, dai grandi latifondisti, che oggi non glieli vogliono restituire. La gente della terza Ampliazione sta aspettando la fine dell'anno per vedere se potranno acquistare la terra. Altrimenti la soluzione sarà occuparla.

La Seconda Ampliazione di San José ha già un po' più di storia, visto che le 70 famiglie - 350 persone - che la compongono sono molto interessate a raccontarmela.

"L'11 febbraio 1994 abbiamo occupato una parte di terra, 439 ettari, che da quaranta anni era diventata di proprietà illegittima di grandi latifondisti i quali ce la affittavano e ci utilizzavano come peones.

Inizialmente, nel 1995 ci accordammo con il proprietario, ma l'anno successivo, a seguito di una revisione dell'accordo il proprietario si accordò con altri per farci mandare la Sicurezza Pubblica per espellerci.

Spiccarono 12 ordini di cattura e incarcerarono più di 20 nostri compagni con l'accusa di essere dell'EPR e armati. Ci scacciarono dal terreno.

Quando la Sicurezza Pubblica se ne andò, recuperammo il terreno. Ma nel giugno del 1997 ritornarono assieme ai paramilitari dell'Alianza San Bartolomè de Los Llanos di Carranza, entrarono nelle case e sequestrarono due persone. I paramilitari rimasero 5 o 6 mesi sul territorio e continuarono a cercare altri nostri compagni da colpire. Per tutto questo tempo non siamo potuti andare a lavorare. Il primo dicembre del 1997 ci siamo ripresi la terra con la forza, visto che il governatore Albores Guillen non voleva negoziare il pagamento della stessa. Da allora stiamo lavorando la terra per poter magiare e abbiamo continuato a cercare tutte le forme per raggiungere un accordo, ma il governo dice che non ci sono i soldi per pagare la terra.

Così noi continuiamo a stare qui in forma illegale, nel rischio di un'altra espulsione."

Prima di rientrare a Venustiano Carranza, ci fermiamo a raccogliere la testimonianza degli ultimi espulsi della Casa del Popolo, che a poco a poco sta trasformando la sua antica propensione comunitaria, in cui le terre erano indivisibili e di proprietà della comunità, in attitudine 'paralatifondiaria' in cui alla gente viene dato un piccolo terreno che diventa di sua proprietà.

Il responsabile delle attuali 78 famiglie di espulsi legge la denuncia: "...nel 1999 abbiamo recuperato nuovamente le terre nonostante i pattugliamenti della polizia e la persecuzione dei paramilitari. Il 21 settembre, all'interno della solita strategia del Governo e dei cacicchi, essi comprarono un numeroso gruppo di comuneros e presero d'assalto il potere politico legale della Comunità la Casa del Pueblo, sottomettendo la maggioranza con il terrore e la minaccia di espropriare delle loro parcelas (pezzetto di terreno) e delle loro case tutti coloro i quali non si allineavano a questa politica del governo e della Alianza San Bartolomè de los Llanos e dei ricchi proprietari. Così 75 famiglie sono state espulse dalla comunità, spogliati dei nostri oggetti di lavoro e delle nostre case, perdendo più di 4 milioni di pesos. Ora siamo rifugiati in un abitato che si chiama La Gloria. Oggi non abbiamo un territorio nostro, siamo esposti alle intemperie, installati in un accampamento con tetti di plastica. I bambini si stanno ammalando per le piogge e per le insalubri condizioni di vita nell'accampamento. Gli alimenti scarseggiano, mentre non possiamo andare a lavorare perché non sappiamo dove. Stiamo soffrendo le provocazioni continue della polizia della Sicurezza Pubblica, Giudiziaria, dei pistoleros comandati da Jesus Orantes Ruiz. Di fronte alle necessità delle nostre famiglie abbiamo deciso di recuperare la terra denominata El Relleno e le sue frazioni, però siamo stati accolti a colpi di fucile dalla polizia di Sicurezza Pubblica e dalle guardias blancas, cosicché siamo tornati nell'accampamento. Nonostante tutta questa persecuzione militare coordinata con i gruppi paramilitari e con i pistoleros come mezzo di controinsurrezione, il governo non ha potuto disattivare la Comunità e dividere i terreni comunali. Però, con questa espulsione, iniziano a creare divisioni nella Comunità. Di tutto questo e di ciò che potrà succedere ancora, responsabilizziamo il governatore Roberto Albores Guillen, il settore agrario nelle persone di Nestor Aguirre René Cartajena e Louis Enrique Mota, il gruppo paramilitare Alianza San Bartolomè Los Llanos, i cacicchi della regione comandati da Jesus Orantes Ruiz e il gruppo priista diretto nella comunità da Angel e Manuel Hidalgo Espinosa, Alfredo Lopez Nuñez, Antonio Martinez (Oshla), Bartolo Perez Martinez, Mariano Perez Hernandez, Bartolo Perez e il presidente municipale Isaias Cerro de Pato Rodriguez.

Il governo non ha voluto risolvere i nostri problemi e quindi chiediamo di essere collocati regolarmente fuori dai terreni comunali per evitare ulteriori aggressioni".

Corrono voci che, per continuare questo processo di disgregazione della comunità la Casa del Pueblo di Venustiano Carranza, altre 60 famiglie potrebbero essere espulse. Inoltre, cosa assolutamente impensabile solo fino a pochi anni fa, alcuni eminenti esponenti dell'Alianza San Bartlomè de los Llanos, sono entrati nella Casa del Pueblo dove, consegnando aiuti di provenienza governativa, consolidano le divisioni e partecipano nelle pubbliche assemblee tra i campesinos.

Sull'autobus scassato che mi riporta a Teopisca, un distinto ranchero indigeno, scalzo e con la camicia bianca stracciata su di un fianco, racconta con orgoglio ad un vicino di posto come gli sono andati bene gli ultimi affari alla fiera appena conclusa.

L'emulazione dei poderosi latifondisti da parte degli ultimi della terra non paga. In tutti i sensi. Non parteciperanno mai al gran banchetto. Anche per sconfiggere questa falsa coscienza sarebbe meglio ed opportuno lasciar meno soli coloro i quali, con estrema lucidità, fratelli degli illusi, consumano ogni minuto della loro esistenza nella lotta per il bene di tutti.


(e-mail: edmea29@hotmail.com)



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