La Jornada, martedì 8 febbraio 2000

Luis Hernandez Navarro

Il giorno dopo

LA POLIZIA FEDERALE PREVENTIVA è entrata all'UNAM, non per risolvere il conflitto, ma per ristabilire il principio di autorità. Non ha arrestato 737 studenti e accademici con l'obiettivo di ristabilire lo stato di diritto, ma per abrogare la gratuità dell'istruzione. Ha violato la legge e l'autonomia universitaria, non per ristabilire la libertà di cattedra, ma per soddisfare la sete di vendetta degli squali della finanza, dei mezzi di comunicazione e dell'alto clero.

Militari travestiti da poliziotti hanno preso possesso delle strutture universitarie e hanno preso come ostaggi centinaia di giovani, ma non hanno risolto il problema. Al contrario, adesso è maggiore. In fin dei conti, lo sciopero continua e non sembra si intravedano condizioni affinché finisca in tempi brevi. Le rivendicazioni che lo hanno originato continuano a non ricevere una soluzione di fondo. Molti universitari che si erano allontanati dal CGH, oggi si sono riavvicinati per solidarietà, rabbia o convinzione. Lo stesso è successo con ampi settori sociali distanziati dal movimento studentesco per il settarismo della sua dirigenza, ma che oggi lo appoggiano, indignati per la brutalità governativa. I famigliari dei ragazzi incarcerati hanno occupato le piazze e minacciano di diventare un vero mal di testa per le autorità. In diversi centri educativi del paese si discutono le azioni solidali per esigere la liberazione dei giovani incarcerati.

Appellandosi alla violenza e all'inganno, Juan Ramon de la Fuente ha dilapidato a tutta velocità il capitale politico che aveva accumulato dal momento del suo arrivo, fino al punto di esaurirlo. Se gli incontri con la comunità e la realizzazione del plebiscito gli avevano portato il consenso che Francisco Barnés (il precedente rettore) non aveva mai avuto, l'occupazione poliziesca della Città Universitaria gli ha fatto perdere la legittimità. Certamente, il colpo di mano gli ha valso l'applauso dei "pentolai" (cacerolistas) mascherati da "democratici" che da sempre hanno chiesto di restaurare lo "stato di diritto" nell'istituzione e il beneplacito della nomenclatura universitaria che vedeva lo sciopero come una sfida ai loro privilegi, ma che lo squalificano moralmente e politicamente. Come il suo antico padrone, il presidente Zedillo, il rettore ha mostrato di fare un doppio discorso: gli appelli al dialogo sono solo una "cortina di fumo" che occulta una politica del pugno di ferro.

Nello stesso modo in cui l'ha fatto il 9 febbraio 1995, quando dopo aver offerto una soluzione pacifica al conflitto del Chiapas ha optato per la repressione, e in modo molto simile a quello utilizzato da Gustavo Díaz Ordaz per giustificare il massacro del 2 ottobre del 1968, il capo dell'Esecutivo si è responsabilizzato dell'ingresso della polizia nell'UNAM. Stimolato dalla popolarità istantanea che l'uso della forza pubblica può portare e per l'ovazione tributata dai padroni del denaro verso qualsiasi azione che ricordi l'esercizio di un regime d'ordine, il presidente Zedillo ha dimenticato che i giudizi della storia sfuggono spesso alla notorietà immediata. Questo 6 febbraio, il Presidente della Repubblica ha sommato altri punti per entrare nella galleria dei villani padri. Dopo il dicembre del 1994, la militarizzazione in Chiapas, la strage di Acteal e il massacro di Aguas Blancas si è aggiunto al suo curriculum d'insignificanze storiche il sopruso verso la dignità di tutta una generazione di giovani.

Indipendentemente dal risvolto immediato del conflitto, l'intervento della forza pubblica apre una profonda ferita sociale. Di fatto, era già aperta prima, da quando la classe politica nel suo insieme e un settore dell'intellettualità erano stati incapaci di intendere la natura del conflitto ed avevano optato per squalificarlo invece che comprenderlo. Solo che ora il danno è superiore ed avrà costi altissimi per la vita politica e sociale del paese. Se la generazione che ha dato vita al Consejo Estudiantil Universitario (CEU) nel 1986, si è "versata" nella formazione del PRD, come eredità dell'attuale movimento resta una lesione non guarita: migliaia di attivisti colpiti, radicalizzati e incompresi dai partiti politici tradizionali che non trovano vie d'inserimento né d'accomodamento nei circuiti della politica istituzionale.

Dopo questo 6 febbraio né l'UNAM né il paese sono più gli stessi. Che nazione è quella che permette che il suo governo imprigioni quasi un migliaio dei suoi studenti universitari? L'unica cosa che hanno recuperato coloro che hanno esercitato la misura della forza e coloro che l'hanno giustificata è una doppia illusione: quella del principio dell'autorità e quella di contare con le scritture della Casa Magna. Dimenticano, indubbiamente, ciò che è centrale: il conflitto studentesco non è risolto, è solo stato aggravato.

P.S.: Per certo, dove è andato a finire il pericoloso arsenale che, secondo alcuni mezzi d'informazione, avevano i membri del CGH nella Città Universitaria? Qualcuno ha fatto risaltare che gli studenti non hanno opposto resistenza al loro arresto? Che non erano dei violenti?


(tradotto dal Consolato Ribelle del Messico - Brescia)



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