LA JORNADA - GIOVEDÌ 7 DICEMBRE 2000

¤ Paramilitari e truppe rimangono nella zona

La speranza è ancora molto lontano, dice il portavoce di Polhó

¤ Ai profughi manca abitazione, educazione e sostegno

¤ Non vediamo nessuna differenza con il nuovo governo

Hermann Bellinghausen, inviato, Polhó, Chis., 6 dicembre ¤ "La speranza è ancora molto lontano. Non si è visto nessun cambiamento nella vita della gente. Non abbiamo abitazione, educazione né niente. Non pensiamo niente di Fox, non abbiamo visto ciò che ha fatto", dice un giovane portavoce del consiglio autonomo, in presenza di Bartolo Gutiérrez, presidente del consiglio, che gli ha dato la parola per parlare con i giornalisti a nome di tutti. "Se il governo agirà, ha nelle sue mani le nostre richieste. Sono nelle sue mani e anche lui l'ha detto. Noi vediamo qui ancora i soldati, si ritirano solo negli accampamenti. A 600 metri di qui, nella zona di Majomut, sono là".

Benché si possa pensare che non ci sono più pattugliamenti, ogni 20 minuti passano grandi camion dell'Esercito o della Sicurezza Pubblica carichi di soldati e poliziotti.

"Soldati armati, giudiziari, polizie. Hanno solo tolto i posti di blocco". Queste affermazioni sono immediatamente dimostrabili. I veicoli della forza pubblica transitano continuamente tra Chenalhó, Majomut e Pantelhó, passano lentamente e inesorabilmente lungo la strada di Acteal e di Polhó a tiro di pietra.

Nella piazza del villaggio si è appena concluso un concerto di Manu Chao e della sua banda di filarmonici transumanti, che ha fatto suonare Clandestino, e la gente, nel suo stentato spagnolo, ha capito che si riferiva a loro. "Me dicen clandestino por no llevar papel. Mi vida va prohibida, dice la autoridad".

Le varie centinaia di indigeni che ascoltavano, impavidi, non avevano la più remota idea di chi era Manu Chao, però un ragazzo che si era posto un paliacate sul volto quando i fotografi hanno tirato fuori le loro macchine, ha commentato senza dubbi: "Così come dice noi siamo". Non sa che Chao è l'artista più di successo dello zapatismo internazionale, che in effetti parla di loro, però gli piace la canzone.

"I profughi non hanno perso solo la casa; non hanno le loro coltivazioni, che sono già state danneggiate, lì proprio dove ci sono i paramilitari. In Tzanembolom, Xcumal e Aurora Chica si sono tenuti il nostro caffè, lo hanno raccolto loro", prosegue il portavoce del consiglio autonomo.

Bartolo Gutiérrez veste un camiciotto e calzoncini bianchi, le gambe nude e i piedi nei sandali, come è costume degli tzotziles della montagna di San Pedro (che è il santo patrono di Polhó e di Chenalhó, così che pedranos sono tutti); non si sente sicuro con lo spagnolo, solo quando parla in tzotzil si vede che è un buon oratore.

Tutto continua allo stesso modo

"Per noi è lo stesso. Non sappiamo che il governo è cambiato. I paramilitari si stanno organizzando a Los Chorros, La Esperanza, Chimix, Canolal e Tzanembolom. Cercano di massacrare nuovamente qualche accampamento di rifugiati. Qualcuno di loro viene ad avvisarci, priisti che non sono d'accordo; i paramilitari sono solo alcuni e sappiamo chi sono, li hanno appoggiati la Polizia di Sicurezza Pubblica e l'Esercito federale. Tre anni e continuiamo ad essere profughi, soffrendo infermità, soffrendo per l'alimentazione e per i loro attacchi", prosegue il portavoce.

"Abbiamo tre compagni, profughi, reclusi a Cerro Hueco. Manuel Gutiérrez Méndez e Antonio Arias Hernández, di Tzanembolom, sono stati arrestati il 5 gennaio di quest'anno, accusati di quanto è successo ad Acteal, ma sappiamo tutti che sono innocenti. E il 12 settembre, la PGR ha arrestato Cristóbal Gutiérrez Gómez, di Chimix, per la stessa accusa".

"Con i paramilitari non c'è libero transito. Quello che richiediamo dal governo di Fox è che faccia giustizia, i paramilitari sono suoi. È il governo che ha dato loro risorse ed armi. Non abbiamo visto nessuna differenza dopo che lui è arrivato. Non ci sarà pace fino a quando non abbiano smantellato i paramilitari".

Secondo quanto affermano le autorità autonome, in Chenalhó esistono 10 mila 430 profughi, provenienti da 14 comunità. Si suddividono in 11 accampamenti; 6 proprio qui, a Polhó, e altri in Acteal, Poconichim e Naranjatic Alto, ai quali si devono aggiungere i due accampamenti di Las Abejas.

Pure la militarizzazione in queste terre è molto densa. Ancora adesso, che c'è una presunta distensione, "ogni 20 minuti passa qualche pattugliamento", dice il portavoce.

"Siamo circondati dall'Esercito. Ci sono caserme e accampamenti in Tzanembolom, Canolal, Chimix, Yabteclum, Puebla, Xo'yep, Los Chorros e più indietro di Acteal. Togliere solamente i posti di blocco di Chenalhó e di Las Limas non fa nessuna differenza" aggiunge il giovane oratore, mentre Bartolo Gutiérrez con serenità annuisce.

Vediti tra clandestini

Senza altri preamboli o presentazioni inizia il suono allegro, bohème, molto folcloristico, di Manu Chao e della sua banda Radio Bemba, e s'impossessa della spianata principale di Polhó.

"Perdido en el corazón de la grande Babylon", canta il popolare cantante di Parigi, che è stato leader di Mano Negra nel decennio passato, di fronte ad un migliaio dei 7 mila profughi che si rifugiano in questa comunità, e benché all'inizio i rockettari siano parsi un po' dei marziani, agli zapatisti strappano il primo sorriso quando cantano "bailemos todos el Vaka Loka, bailemos todos hasta el final", in contrasto con l'impassibilità proverbiale di uomini, donne e bambini di qua.

Intonando la Rumba di Barcelona ("Rambla p'aquí, rambla p'allá"), il cantante riceve sul volto il sole del pomeriggio, accanto al suo eccellente chitarrista francoalgerino. Dietro suona senza stridii il resto della banda, protetta dall'ombra.

Una frondosa fisarmonica di sobborgo, due trombette, un bongo e anche due lattine di coca-cola, una sedia e perfino il pavimento servono da strumenti a questi musici di Francia, Venezuela e Spagna, che fanno cantare le pietre.

Radio Bemba si trova di fronte a un impenetrabile però crescente fervore tzotzil. Sui pendii vicini si raccolgono contadini, distratti dai loro lavori dal concerto, sembra che ascoltino fin lassù.

Quando Lágrimas de oro si trasforma nel El cuarto de Tula ("que cogió candela"), la gente appare già francamente divertita e di volta in volta applaude con più calore.

I bambini si accumulano ai piedi del modesto palcoscenico, prendendo man mano confidenza, e si divertono proprio ad ascoltare quelle canzoni "meticce".

Così come passa leggero da un genere all'altro, per ultimo Manu Chao passa ai saluti: "E' stato un onore suonare qui. Speriamo di tornare un giorno e meglio se presto". I giganti di Radio Bemba fanno una carovana per il villaggio di Polhó e la gente riceve l'omaggio con altro applauso.

Lontano è rimasto il brutto momento che ha fatto passare il personale di Migrazione ai musici, ieri, in Comitán.

Fermato da un agente di dogana, Manu e i suoi compagni sono stati "consegnati" ad alcuni insolenti agenti dell'Istituto Nazionale d'Immigrazione (INM), che dal loro posto di blocco nell'incrocio di Villa de Las Rosas li hanno portati a forza a un cortile della Polizia Federale Preventiva, all'altro estremo di Comitán, e li hanno chiusi con lucchetto per un'ora e mezza per "interrogarli" minacciosamente, e senza cessare di insultarli, nonostante che gli arrestati avessero il loro visto d'ingresso in regola e non avessero commesso nessun reato, salvo transitare per la strada Panamericana in pieno giorno. Che reato!

E più aggressivi ancora sono diventati quelli della migra quando i giornalisti che accompagnavano la banda hanno iniziato a scattare foto del sopruso. Il capo degli agenti, fuori di sé, ha gridato che li avrebbe arrestati "tutti". Finalmente, dato che non poteva fare altro, li ha lasciati andare.

In Chiapas così Migración tratta ancora i visitatori, come a dar ragione agli autonomi di Polhó, che oggi dichiaravano che "non vedono la differenza con il cambiamento di governo".

Nonostante tutto, Manu Chau e la sua banda hanno finito così contenti il loro concerto di oggi che il precedente incidente migratorio è diventato piccolo, nano, indegno di ulteriori commenti.

"Guarda che montagne", ha preferito dire Manu Chao delle cordigliere di Chenalhó. "A momenti, mi ricordano la Galizia", ha commentato sorridendo.

Lasciandosi dietro la globalità, lui porta il "villaggio particolare" da tutte parti.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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