Il dialogo, un'altra volta

di Carlos Montemayor

Sembra che molti siano rimasti sorpresi dalla disponibilità dell'EZLN a negoziare con il governo di Vicente Fox. In realtà, hanno dimenticato che l'EZLN è sempre stato disposto al dialogo e che l'unico ad aver opposto resistenza al negoziato politico durante gli ultimi sei anni è stato il governo messicano. L'amministrazione di Ernesto Zedillo utilizzò il dialogo come una misura dilatoria, perché applicò a partire dal marzo 1995, senza che in quel momento fosse visibile per noi, una strategia di guerra che aggravò il conflitto in Chiapas. Molti pensarono che il governo negoziasse la pace e non che amministrasse la guerra. Dal marzo del 1995, il governo di Ernesto Zedillo incoraggiò la formazione di gruppi paramilitari.

L'EZLN si ritirò dai negoziati il 2 settembre 1996, dopo che l'esposizione del programma presidenziale minimizzò e voltò le spalle al negoziato stesso. Così lo spiegò l'EZLN:

"Dopo i primi accordi di San Andrés, sul tema dei Diritti e della Cultura Indigeni, il governo dispiegò la sua strategia di procrastinare l'attuazione di questi accordi e rendere difficoltosa fino all'assurdo qualsiasi misura che puntasse alla loro piena attuazione... Il governo dà ad intendere di avere la propensione di farlo, ma in nessun modo è disposto a modificare radicalmente la relazione tra la nazione e gli indigeni messicani. Sette mesi dopo, il denominato tema 1 di San Andrés è a zero, come se non ci fosse stato dialogo, come se non si fosse negoziato niente, come se non ci fosse stato nessun accordo. Gli accordi sui Diritti e la Cultura Indigeni non sono stati attuati. Sono solo lettera morta".

L'EZLN continua ad essere disposto a riprendere il dialogo. Non ha modificato la sua decisione negli ultimi sei anni. Perché l'EZLN è nato, in primo luogo, per dialogare. Ora il nuovo governo della Repubblica può intraprendere il cammino del negoziato oppure continuare con l'aggravamento della guerra. Le condizioni segnalate dal subcomandante Marcos per riprendere il dialogo sono precise. A tale precisione si deve rispondere con fatti, non con discorsi dove la parola "fatti" si ripeta all'infinito.

La scomparsa dei posti di blocco e la concentrazione di pattuglie militari in caserme è un cambiamento di routine nell'Esercito stanziato in Chiapas, non un ritiro di truppe, come i mezzi d'informazione e i comunicati ufficiali vogliono far credere.

D'altro canto, la smilitarizzazione non può essere scollegata dall'altro processo indispensabile, quello della deparamilitarizzazione. L'Esercito deve assicurarsi dello smantellamento dei gruppi paramilitari prima di ritirarsi dal Chiapas. Quando gli agenti della Procura Generale della Repubblica (PGR) caddero in un'imboscata dei paramilitari di Miguel Utrilla, i soldati accampati a 200 metri di distanza non fecero il minimo tentativo d'impedire l'attacco né di appoggiare le forze federali. Ora, con un militare alla testa della PGR, difficilmente proseguiranno le azioni penali iniziate contro i paramilitari.

Le dichiarazioni del subcomandante Marcos non sono ancora il segnale per suonare le campane a tutto spiano. È necessario aspettare la decisione del governo della Repubblica. Nelle mani del governo del Messico torna ad esserci la decisione della pace o della guerra. Ernesto Zedillo ha preferito la guerra e non l'ha vinta, bensì l'ha aggravata.

Vicente Fox ha ora la possibilità di optare per la pace e il dialogo. La decisione deve prenderla ora il nuovo governo messicano. L'orologio sta correndo oggi sulla scrivania di Vicente Fox.

[fonte: La Jornada 6.12.2000]


(tradotto dal Consolato Ribelle del Messico - Brescia)



logo

Indice delle Notizie dal Messico


home