LA JORNADA 6 FEBBRAIO 2000

Circa 200 tzeltales arringano la truppa, i militari li vedono ma non li sentono

SLOGAN INDIGENI CON SOTTOFONDO OPERISTICO

AD AMADOR HERNANDEZ

Voi siete i prigionieri, unitevi a noi, che siamo liberi, dice un osservatore statunitense ai soldati

Hermann Bellinghausen, Amador Hernández, 5 febbraio

"Qui nessuno è padrone del mondo" afferma con veemenza José, di fronte ai sette ufficiali dell'Esercito Federale che lo osservano - forse non lo sentono - dall'altro lato della recinzione di filo spinato che li separa solo per cinque metri scarsi.

Coperto da un passamontagna blu che lascia intravedere appena i suoi occhi, José è circondato da circa 200 tzeltal, anch'essi col volto coperto, donne e uomini. Parla a voce alta, approfittando del fatto che oggi hanno abbassato un poco il volume degli altoparlanti che vomitano opere liriche dall'accampamento militare, forse per riguardo verso gli osservatori statunitensi che stanno visitando questo ejido, guidati dal senatore della California, Tom Hayden.

"Ehi, soldato - rimprovera José - quale patria stai proteggendo qui, contro di noi? Quella che stanno vendendo. Quelli che tu difendi sono i ricchi, che si stanno mangiando la patria a pezzettini".

Senza ricevere risposta, ma filmato continuamente da uno degli agenti del Ministero Pubblico che accompagnano gli ufficiali, José agita le mani, segnala con l'indice, apre i palmi con veemenza: "Tu dovresti stare alla frontiera, per fermare i neoliberisti che si vogliono impossessare di ciò che è nostro ed anche tuo".

Aggiunge: "Dicono che il tuo lavoro è esemplare. Sono esemplari i tuoi bordelli? Vi mandano ad arrestare persone, inventare delitti, incarcerare. Voi pensate ad uccidere. Scattate foto non per pubblicarle, ma per usarle contro di noi".

L'elicottero che rombava nell'altro eliporto, finalmente si è zittito, dopo aver sorvolato gli osservatori statunitensi che visitano questa comunità.

José ne approfitta per concludere: "Noi, EZLN siamo nazionali ed anche internazionalisti. Per questo la gente di tutto il mondo ci rispetta".

DI CHE RIDETE?

Presto saranno sei mesi dall'occupazione militare dei territori della comunità. Almeno mezzo migliaio di soldati hanno distrutto quattro ettari di bosco per ricavarne legna e materiale da costruzione. Ogni giorno sembrano sempre più stabilmente installati, nel punto in cui dovrebbe arrivare una strada che i campesinos rifiutano e che il governo federale "aveva sospeso" a tempo indefinito. In questi mesi si è levata persistente la protesta. "Abbattono grandi alberi per le loro trincee e casematte", dice uno degli indigeni che fanno marce e riunioni, tutti i giorni, intorno alle installazioni militari.

"Zedillo, hai firmato e poi hai mentito", dicono ed aggiungono: "Se è assassinio, non vogliamo questa strada". "Soldato, i tuoi superiori sono i tuoi sfruttatori", e così, uno dopo l'altro, gli slogan si contrappongono ai fragori dell'opera lirica. Circondano l'installazione militare, i soldati spostano gli altoparlanti e gli indigeni ripetono il loro rifiuto alla presenza militare che considerano ingiustificabile. Intanto, la cancrena del disboscamento e dei rifiuti di plastica in grande quantità, si estende su queste terre ejidali, ai margini della riserva della biosfera dei Montes Azules.

Terra ricca, bella, minacciata, depredata. "Albores, assassino, non vogliamo la tua strada", dicono.

"Ehi, soldato, mi fai pena; impugnando le armi, ti lasci sfruttare".

Un uomo, membro della comitiva civile statunitense, commenta che, vedendo i militari dietro la recinzione, vorrebbe dire loro: "Voi siete quelli che stanno in prigione. Unitevi a noi che siamo liberi".

Prende la parola Elena, vestita con colori e nastri, come tutte le donne - giovani e vecchie - che la circondano: "Zedillo impone la divisione per distruggere la gente".

Uno dei funzionari pubblici ride della situazione, scatta foto con i soldati e gli zapatisti sullo sfondo e sembra molto divertito fino a che Elena non si rivolge a lui: "Un giorno dovrà rendere conto delle sue risate, mentre la gente resiste e lavora. Lei si burla di noi, ma fa una vita da cani. Quando morirà, morirà e tutto sarà finito, senza aver fatto neanche una cosa buona, perché non le importa della vita". Non potendo evitarlo, il suddetto arrossisce, si sente a disagio e dopo pochi minuti sparisce dietro la mimetizzazione che, come una tenda, copre e nasconde l'accampamento militare.


(tradotto dal Comitato Chiapas "cap. Maribel" - Bergamo)



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