LA JORNADA - MASIOSARIE - DOMENICA 3 DICEMBRE 2000

Il Chiapas dei paramilitari

Testimonianze di antiguerriglia

La realtà dei villaggi parla più di tutte le dichiarazioni di funzionari e politici.

Nelle ultime settimane le denunce sulla riattivazione dei gruppi paramilitari sono state accompagnate dalla loro "scoperta" ufficiale.

Jesús RAMIREZ CUEVAS

"Il mio fucile me l'ha dato il presidente municipale di Tila, Carlos Torres López. Dato che non aveva della terra, quelli di Paz y Justicia mi avevano promesso che se li aiutavo mi avrebbero dato un piccolo terreno e un credito", racconta Jorge, di 22 anni, chol della comunità di San Nicolás, che è stato paramilitare per tre anni nel municipio di Tila.

Jorge dice a Masiosare che si sta pentendo per "tanta violenza" nella regione e perché "non mi hanno dato niente, tutto se lo son preso i dirigenti". Questo giovane indigeno ha votato per Fox nelle passate elezioni presidenziali e si è iscritto al PAN: "non credo più nel governo che ha aiutato quelli di Paz y Justicia a uccidere gente".

Jorge spiega che adesso sta vendendo la sua arma: "non desidero che me la tolgano, perciò la voglio vedere in fretta". Ha fretta di disfarsi della carabina è perché "alcuni giorni fa' è passato dal mio paese Abel Díaz Arcos (uno dei dirigenti di quel gruppo paramilitare) e dato che non si fidano più di me mi ha chiesto indietro le due radio portatili che avevo".

"Abel mi ha detto che potrà esserci violenza. Però io non desidero farlo. Mi ha detto che dovevano cambiare le bande delle radio perché hanno fermato gente di Samuel (Sánchez). In dicembre cambieranno le bande perché non li ascoltino. Mi ha detto che faranno delle azioni per esigere che liberino quelli di Paz y Justicia".

Jorge ha imparato a usare le armi, è stato addestrato in Crociera, dove i paramilitari hanno un campo di addestramento. E sa che i suoi compagni sono stati al Limar ad addestrarsi con altri giovani dai 16 ai 30 anni. Dice che Marcos Albino (Torres, oggi detenuto) li ha addestrati dato che era capo dell'Esercito. "Lì ci proteggevano quelli della Sicurezza Pubblica, che pattugliavano a volte lungo la strada, però non ci dicevano nulla".

Pedro è un altro giovane chol, che disertó da Paz y Justicia un anno fa. Ci dice che nella sua comunità, Jolnixtié Libertad, e in altre della regione bassa di Tila, "quelli di Paz y Justicia sono molto arrabbiati". Spiega che "adesso ci sono molti pattugliamenti dell'Esercito. Però stanno dicendo che attaccheranno le comunità perché vogliono arrestare quelli che denunciano. Racconta che alcuni giorni fa il presidente municipale di Tila si è incontrato con il deputato Raymundo (Trujillo) per "organizzare" la liberazione dei paramilitari arrestati.

"Le armi le compravamo a Limar - dice Pedro, che è stato radio-operatore di Paz y Justicia nel suo villagggio -. Ho la mia arma, un mitragliatore da 50 tiri; l'ho pagata con un credito che ci hanno dato per i polli". Secondo lui, il precedente presidente municipale Carlos Martínez López "ha dato delle armi" invece ad altri contadini, "erano due fucili da 16 millimetri. Loro hanno fiducia che il governo li appoggi. Pedro Gómez Esteban, il dirigente di Emiliano Zapata, ci dice che il governo li appoggia. Però dopo l'arresto di Samuel Sánchez e degli altri vogliono fare qualcosa per farli uscire da Cerro Hueco".

*Dietro i paramilitari c'è una rete ufficiale

I gruppi paramilitari della zona nord, particolarmente Paz y Justicia e Los Chinchulines, si sono attivati negli ultimi giorni.

Contadini della Rete dei Difensori Comunitari per i Diritti Umani affermano che l'operatore politico del governo, Néstor Aguirre, è uno dei funzionari che appoggiano i paramilitari. Segnalano pure il presidente municipale di Tila e i dirigenti del PRI della regione come dirigenti di Paz y Justicia. Dicono che i capi di polizia e militari, distaccati nella zona, li proteggono.

I militari e i poliziotti hanno posti di blocco per controllare tutti gli accessi alla regione. "Senza dubbio, i paramilitari si muovono senza problemi", denuncia Marcos Pérez López, della Rete dei Difensori Comunitari.

Fa l'esempio dello sgombero realizzato dai paramilitari di Paz y Justicia nel terreno di Tierra y Libertad, dove nel mese di agosto sono stati fotografati dei paramilitari con le loro armi. "Il 6 agosto la PGR ha effettuato un'ispezione e poi il 9 ha fatto l'operativo. È ovvio che Esercito e polizia si sono resi conto di tutto ed hanno aiutato a nascondere le armi", dice.

Il governo dello stato ha installato un tavolo di negoziati per trattare la situazione dell'invasione. Le autorità statali e municipali hanno sempre appoggiato le proposte di Paz y Justicia, dice Marcos Pérez.

"Il sottosegretario di Governo, Néstor Aguirre, e il deputato del PRI, Raymundo Trujillo, tentavano di convincerci ad accettare le proposte di Paz y Justicia. Loro provocano lo scontro".

Il presidente municipale di Yajalón, Gerardo Miguel Maldonado, e il suo segretario per le opere pubbliche, Mario Moscoso, sono arrivati il 5 settembre con del denaro della presidenza e hanno donato un toro ai paramilitari perché lo mangiassero. I paramilitari che stanno sul terreno invaso pattugliano su di una camionetta della presidenza municipale. Quelli stessi che stava ricercando la PGR vivono nel rancho di Mario Moscoso, funzionario del municipio".

* Paz y Justicia non è disarticolata

I componenti della Rete dei Difensori Comunitari per i Diritti Umani della zona nord smentiscono il viceprocuratore Ismael Eslava Pérez, che ha assicurato che questo gruppo ormai non esisteva più.

"Gli 11 arrestati di Paz y Justicia sono quelli della parte alta della regione nord. Però quelli della zona bassa, soprattutto di Tila, non sono stati arrestati. Continuano ad essere liberi dirigenti paramilitari: Sabelino Torres López (attuale reggente di Tila), Diego Vázquez, Abel Díaz Arcos (con ordine di cattura), Pedro Gómez Esteban e Carlos Torres López (attuale presidente municipale di Tila). Tutti dicono di godere dell'appoggio dell'Esercito e del governo dello stato", afferma Marcos Pérez, della rete.

Sabelino Torres, reggente di Tila, è segnalato come assassino di Eulalio Bernal. "Lui è protetto dalla Sicurezza Pubblica. Stanno arrestando gente innocente per intimidirla, perché non denuncino i paramilitari".

Marcos fa altri esempi che evidenziano la collaborazione di poliziotti e militari con componenti di Paz y Justicia. Ricorda che il 17 giugno 1996, nella zona bassa di Tila, i militari iniziarono un'offensiva contro vari villaggi zapatisti e accompagnati da paramilitari vestiti da poliziotti statali sgomberarono gli abitanti, con tutti i loro averi.

Il giorno seguente, il commissario Miguel Díaz Guzmán ha chiesto rinforzi al colonnello José Luis Rubalcava. Questo autorizzò un gruppo di paramilitari armati di Paz y Justicia, con alla testa Pedro Gómez Esteban, a viaggiare in elicottero dalla comunità Emiliano Zapata fino a Nuevo Corosil, per partecipare all'operativo.

*Continuano in Los Chorros

Nel nuovo accampamento di rifugiati di Yibeljoj la paura dei paramilitari è pane di tutti i giorni.

Ernesto, un altro giovane indigeno, riceve i giornalisti nel nuovo accampamento costruito nell'ultimo mese per accogliere 468 indigeni che prima erano rifugiati a Xoyeb.

Così come altri 10 mila tzotziles di Chenalhó, da tre anni non possono ritornare alle loro case perché i paramilitari li minacciano ancora di morte.

"Ci sono ancora paramilitari che hanno partecipato ad Acteal e che non sono stato arrestati, come Vittorio Ruiz, che è stato alla testa della protesta contro la PGR il 12 novembre in Los Chorros. Non possiamo ritornare al nostro villaggio perché lui continua a vivere lì. Un giorno la PGR lo ha arrestato, però lui ha cambiato il suo nome e lo hanno liberato. Anche il 1° di novembre, mentre celebravamo i nostri morti, Vittorio è arrivato nel cimitero e a voce alta ha detto che continueranno a proseguire il loro lavoro perché non è terminato, quello di farci fuori tutti. Ogni giorno viene e ci vigila. Cammina sul sentiero ad un lato dell'accampamento e passa accanto ai poliziotti della Sicurezza Pubblica che non gli dicono niente".

José Santiz, un vecchio tzotzil, spiega: "Noi abbiamo paura perché vediamo che l'Esercito distribuisce tutti i giorni cibo e dispense ai paramilitari. In Los Chorros c'è un accampamento della Sicurezza Pubblica e un altro accampamento militare. E i paramilitari ci hanno minacciati di fare un altro massacro come quello di Acteal. In questi mesi hanno fatto riunioni per chiedere cooperazione per acquistare armi".

L'unica protezione che avrebbero è un accampamento di poliziotti ad un lato della strada. Ci sono 190 poliziotti statali che sono accampati accanto al cimitero.

"Quando è entrato l'operativo della PGR - dice José Santiz - noi avevamo paura. Abbiamo visto che i paramilitari hanno tirato fuori le armi. Un'altra volta ci hanno minacciato perché dicono che noi abbiamo fatto venire la polizia giudiziaria per arrestarli. Il presidente municipale dice che non ci sono più paramilitari, però il giorno dell'operativo ha prestato i camion del municipio per bloccare il passaggio della PGR. I paramilitari ci obbligano a cooperare per acquistare armi e cartucce. Abbiamo visto i loro fucili.

Quando abbiamo udito gli spari, le donne si sono messe a correre e i bambini a piangere. Ci siamo ricordati di Acteal - dice il vecchio José -. E' già tempo per il raccolto del caffè e ci minacciano affinché non andiamo nei nostri campi. Loro vogliono vendere il nostro caffè per acquistare armi".

Ernesto segnala: "Sappiamo che hanno le loro armi nascoste in una grotta. Perciò sappiamo che le possono usare. Quando sono arrivati gli operativi, si sono uniti perché non togliessero loro le armi. Loro vogliono che passiamo al PRI, loro, gli stessi che hanno organizzato il massacro di Acteal".

José Santiz guarda l'accampamento coperto di fango e dice con tristezza: "Vediamo che la Sicurezza Pubblica ha sempre appoggiato i paramilitari e abbiamo pensato che l'Esercito pure li appoggiava perché sono del partito ufficiale e l'Esercito e la polizia sono del partito ufficiale. Non li crediamo perché non ci proteggono, invece aiutano i paramilitari".

Il viceprocuratore di Giustizia Indigena, Mariano López, ha visitato l'accampamento. Ha detto ai profughi: "Meglio che restiate vicino ai poliziotti, perché potete gridare - ricorda don José -. Noi non siamo d'accordo perché non abbiamo fiducia nella polizia, perché sappiamo che quando succedono le cose non fanno niente".

"Non ritorneremo nei nostri villaggi finché non arresteranno i paramilitari e il governo non applichi gli accordi di San Andrés", dice Ernesto, che si protegge dalla copiosa pioggia sotto un telo di plastica.

La vita negli accampamenti è molto difficile. Hanno dovuto andarsene da Xoyeb perché non c'era più nulla. "Eravamo circa mille persone e il bosco è finito, non c'era più né legna e né acqua. Le infermità contagiavano molti, perché eravamo tutti ammucchiati. Perciò siamo venuti qui a fare un altro accampamento".

Ancora una volta la storia si ripete. Gli indigeni hanno levato capanne con tetti e pareti di plastica sul pendio di una collina di fango. Sopravvivono stremati dalle infermità curabili che il governo di Zedillo ha dichiarato ormai "sradicate dalla zona".

CHIAPAS, PIÙ CHE UN SASSOLINO NELLA SCARPA

Ottenere la pace in Chiapas è una delle sfide più difficili del presidente Vicente Fox. La riapparizione pubblica del subcomandante Marcos nei giorni passati e le vivide tensioni nello stato nelle ultime settimane, ricordano che il Chiapas è uno dei temi pendenti più urgenti lasciatogli dal governo di Ernesto Zedillo.

Il giorno dopo essere entrato in carica come presidente della Repubblica, Vicente Fox dovrà affrontare faccia a faccia la posizione adottata dalla guerriglia indigena chiapaneca, che ha rotto il silenzio dopo vari mesi.

Come ha segnalato Luis H. Alvarez, nuovo commissario per la pace, "prima di un dialogo con i ribelli il nuovo governo deve agire in modo da convincere gli indigeni che stiamo parlando di un nuovo modo di governare".

Il subcomandante Marcos, leader dell'EZLN, ha diffuso un comunicato il 29 novembre, a mo' di saluto, dedicato a Ernesto Zedillo, il cui governo, ha detto, "è stato un incubo" per milioni di messicani.

Il portavoce zapatista ha ricordato all'ultimo presidente del PRI che aveva avuto l'opportunità di scegliere tra la guerra e la pace, "però dato che Zedillo optò per la guerra e noi zapatisti abbiamo resistito, il presidente è perso la guerra. Ha fatto tutto quello che ha potuto per distruggerci, però noi abbiamo resistito. Lei se ne va in esilio. Noi qui continuiamo".

Marcos ha detto che Ernesto Zedillo è responsabile del massacro di Acteal e ha fatto un resoconto della sua gestione: "Omicidi eccellenti, crisi economica, impoverimento di massa, arricchimenti illeciti e brutali di pochi, vendita della sovranità nazionale, insicurezza pubblica, legami tra il governo e il crimine organizzato, corruzione, irresponsabilità, guerra...". Convocando ad una conferenza di stampa, Marcos ha fatto un'apparizione insperata.

* * *

Giorni prima, il 24 novembre, era stato nominato Luis H. Alvarez come commissario per la pace in Chiapas. Cinque giorni dopo è stata ricomposta la Commissione di Concordia e Pacificazione del Parlamento messicano. I suoi componenti si sono riuniti con Alvarez e hanno analizzato la maniera per creare un clima favorevole perché venga discussa l'iniziativa di legge indigena. "La discussione a freddo nel Parlamento può far fallire la sua approvazione", ha avvisato Jaime Martínez Veloz.

Il primo scoglio di Fox per rispettare la sua promessa sarà superare l'intenzione del PAN di modificare la proposta originale della Cocopa. Perciò, questo partito ha nominato Fernando Pérez Noriega. Questo deputato si è guadagnato la fama di duro e si è mostrato intenzionato a fare osservazioni sull'iniziativa della Cocopa. Vedendo l'ansia del suo correligionario, Luis H. Alvarez gli ha detto "calmati, durito".

Senza dubbio, Fox ha ereditato: un'occupazione militare massiccia, la minaccia reale dei gruppi paramilitari, la parola disattesa del governo e, in più, una politica di antiguerriglia montata in questi anni che ha lasciato radici nella regione. Questo macchinario di guerra include tutta una struttura di spionaggio e di controllo politico nelle comunità indigene.

Per promuovere la pace, Fox dovrà rispettare le promesse e le condizioni minime di distensione che hanno richiesto gli zapatisti in questi anni: smilitarizzare i villaggi, disarmare i paramilitari, onorare gli accordi di San Andrés approvando la legge sui Diritti e sulla Cultura Indigeni elaborata dalla Cocopa e la liberazione dei zapatisti detenuti.

Un'altra delle sfide del nuovo governo sarà fare un bilancio della politica seguita dal governo di Ernesto Zedillo. È obbligatoria una istruttoria per determinare quale è stata la fine dei 100 mila milioni di pesos investiti dai governi federale e statale negli ultimi due anni (che secondo Albores sono stati destinati agli investimenti sociali nelle regioni indigene). È imprescindibile inoltre un'inchiesta per capire le responsabilità ufficiali: dalle violazioni ai diritti umani per finire con l'impunità e la protezione dei paramilitari.

Fino all'ultimo momento, il governo di Zedillo ha insistito sulla sua visione del conflitto chiapaneco. Anche la PGR insiste con la sua versione contraddittoria. Pubblicamente ha accettato che esistono gruppi paramilitari per giustificare il suo fallito operativo in Los Chorros, però poi dice che non esistono.

Nella nuova Cocopa l'inesperienza è il marco distintivo. La maggioranza dei parlamentari non conosce le chiavi per intendere il conflitto. Il 28 novembre si sono riuniti con Jorge Madrazo, ancora procuratore generale della Repubblica. Questi ha detto loro che aveva informazioni che si era riattivato il gruppo paramilitare Los Chinchulines, però al stesso tempo ha detto che si era disattivato Paz y Justicia. Quindi ha consegnato loro il Libro bianco di Acteal, dove riafferma la sua tesi che la violenza paramilitare non esiste, ma che si tratta di conflitti intercomunitari e interfamiliari.

Vari componenti della nuova Cocopa hanno fatto eco a questa versione della PGR per spiegare la paramilitarizzazione.

Mentre il viceprocuratore Ismael Eslava ha segnalato nei giorni scorsi che né l'Esercito né Albores hanno protetto i paramilitari, Madrazo ha fatto filtrare ai parlamentari della Cocopa la versione che l'operativo di Los Chorros è fallito per la rete di collusioni del governo di Albores, e la prova starebbe nel fatto che quando sono arrivati in questo villaggio c'erano già lì due camionette della polizia di Sicurezza Pubblica dello stato. Le contraddizioni non si fermano lì, dato che è noto che in questo luogo ci sono due accampamenti: uno della polizia statale e un altro militare.

Un'altra delle spiegazioni che Madrazo ha dato ai parlamentari è che i paramilitari sono sostenuti dai caciques locali, che disputano il potere politico e economico agli zapatisti. Poi ha aggiunto che non sono del PRI ma cardenisti gli armati di Chenalhó. I deputati dovranno selezionare molto sulle informazioni che ricevono se non vogliono convertirsi in portavoce di un governo che è finito.

Diritti umani, peggio che sette anni fa

Nei giorni scorsi, perfino Fox ha parlato di una possibile amnistia ai paramilitari. Marina Patricia Jiménez, direttrice del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, dichiara la sua preoccupazione per questa proposta: "Siamo in una situazione di conflitto armato dove non si è ancora arrivati ad una soluzione. Nel caso dei gruppi paramilitari, non si è attuato contro gli alti funzionari federali e statali che li hanno protetti. Si devono approfondire le investigazioni e castigare i funzionari e gli elementi di polizia e militari coinvolti. La legge di amnistia riuscirebbe solo a coprire i funzionari coinvolti".

"Io credo che se Fox vuole generare un clima di distensione ha la responsabilità come presidente di condurre fino alle ultime conseguenze le azioni che portino al disarmo, a disarticolare tutta la infrastruttura, generata attraverso le presidenze municipali, della gestione dell'Esercito nelle azioni di questi gruppi. Se invece mantiene questa situazione, al posto di essere lui l'autorità garante dei diritti costituzionali e dei diritti collettivi, esiste il rischio che si converta nel principale occultatore di questi gruppi".


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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