il manifesto, 3 Dicembre 2000

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

Chiapas, la coda del dinosauro

Mentre il 1 dicembre, con uno storico passaggio di staffetta, Vicente Fox è succeduto a Ernesto Zedillo come presidente del Messico, fra 3 giorni entrerà in carica il nuovo governatore del Chiapas, Pablo Salazar Mendiguchía, che ha vinto le elezioni dello scorso agosto alla testa di un vasto fronte di opposizione.

Serbatoio di voti e roccaforte tradizionale del Pri, il Partido Revolucionario Institucional, per 71 anni, il Chiapas resta - anche mentre si annunciano le aperture di Fox - una ferita aperta nella coscienza del Messico e un punto di riferimento mondiale per la resistenza alla dittatura neoliberale. Ma è anche uno stato pieno di risorse e di indios poveri, stremato da sette anni di occupazione militare eppure abbastanza forte da scrollarsi di dosso un giogo che sembrava eterno.

Il governo del Pri, alle sue ultime ore sia a livello statale che nazionale, lascia in Chiapas un'eredità particolarmente pesante: decine di migliaia di desplazados in fuga dalle bande paramilitari, un'economia smantellata, la conflittualità e l'ingovernabilità alle stelle. Da qualche mese, poi, le provocazioni governative sono diventate sempre più frequenti, come se ci fosse un piano deliberato per complicare il passaggio di poteri.

Il presidente Zedillo aveva scelto proprio il 12 ottobre - che in Messico è stato dichiarato día de la raza in onore alle popolazioni indigene - per decretare l'espropriazione di tre ettari della comunità di Amador Hernandez in beneficio dell'esercito messicano. Un decreto che ricorda incredibilmente quelli della Corona spagnola all'epoca della Conquista. E chiude un sessennio di politica genocida, culminata tre anni fa nella strage di Acteal.

L'11 agosto 1999, 500 soldati occuparono quelle terre perché gli abitanti di Amador Hernandez, una comunità all'entrata dei Montes Azules, si opponevano alla costruzione di una strada di uso militare. Ne avevano tutto il diritto e, pur riuscendo a bloccare l'opera, non si sono più tolti di dosso i soldati e hanno cominciato un surreale fronteggiamento nella selva che dura da 14 mesi. Poi, il 12 ottobre scorso, il "regalino" di Zedillo. Ma lo stesso giorno, in curiosa simmetria, una delegazione di parenti delle vittime di Acteal, ancora in attesa di giustizia a tre anni dalla strage, è partita a piedi per Città del Messico, denunciando il vero volto del governo uscente.

Paramilitari o civili armati?

Malgrado le abbia formate, finanziate e protette in tutti questi anni, il governo Zedillo ha sempre negato l'esistenza di bande paramilitari. Anche quando le denunce delle Ong avevano già censito una quindicina di queste formazioni armate, indicandone i legami con il Pri e l'esercito, il governo si girava sempre dall'altra parte e continuava a parlare ipocritamente di "gruppi di civili armati".

Poi, il 3 agosto scorso, i miliziani di Paz y Justicia, una delle bande più aggressive della regione, hanno occupato le terre della comunità El Paraíso, nel municipio di Yajalón, scacciandone con una sparatoria gli abitanti e distruggendo alcune case. E sono rimasti a guardia delle terre, con le uniformi blu dei poliziotti e le armi da guerra. Le spavalde interviste - e soprattutto i servizi fotografici - concessi dai paramilitari alla stampa in quell'occasione hanno finalmente messo con le spalle al muro il governo, che il 31 ottobre scorso, dopo l'arresto di 11 responsabili dell'occupazione armata, ha dovuto ammettere l'esistenza di una dozzina di gruppi paramilitari, riconoscendo che alcuni dei loro membri sono militanti del Pri.

Ma Emilio Rabasa Gamboa, delegato governativo per il dialogo di pace, si è affrettato a circoscrivere l'ammissione, sottolineando che questi gruppi armati operano in forma clandestina e "in nessun modo sono fomentati o protetti dal governo federale". Il funzionario, che non ha mai dialogato con gli zapatisti negli ultimi tre anni, ha negato qualunque rapporto istituzionale fra i paramilitari e il Pri, sostenendo che "questi non sono vincolati in forma diretta con il partito. Il fatto che alcuni di loro possano essere iscritti al partito non significa che ci sia un rapporto con il Pri".

La verità è che fra i fondatori di Paz y Justicia ci sono addirittura deputati priisti e il generale Mario Renán Castillo, fino a ieri candidato al ministero della difesa, firmò come testimone un finanziamento all'organizzazione.

Le recenti operazioni poliziesche per "disarmare e arrestare integranti di bande armate" sono tardive, mal organizzate e, in fin dei conti, controproducenti. Una recente incursione nella comunità di Los Chorros, nota per ospitare paramilitari, non ha prodotto alcun arresto significativo né sequestri di armi. Al contrario, ha provocato una reazione feroce degli abitanti, la minaccia di nuove azioni armate da parte dei paramilitari e un clima di timore e instabilità proprio alla vigilia dell'insediamento del nuovo governatore. Ma il Pri doveva proprio aspettare l'ultimo mese di governo per accorgersi che i paramilitari esistono? E il neo-presidente Vicente Fox, che pure manda un segnale inequivocabile ritirando 1.500 soldati, ha ora qualcosa da "dire" sulla realtà dei paramilitari?


Fox apre agli zapatisti

Ritiro di 1.500 soldati dal Chiapas e diritti per gli indios

Marcos: "Forse l'incubo è finito"

Forse, finalmente, accade qualcosa di nuovo. A poche ore dal suo insediamento, il nuovo presidente messicano Vicente Fox ha dato ordine di ritirare 1.500 soldati dal Chiapas e nel pomeriggio di ieri - troppo tardi per noi, corrispondevano alle 23,00 in Italia - era attesa una "storica" conferenza stampa del sub-comandante Marcos, leader del movimento zapatista (Ezln). Il comandante della VII regione militare del Chiapas ha confermato che l'ordine è di rimuovere i posti di blocco intorno alla zona di La Realidad, roccaforte degli zapatisti nel folto della selva Lacandona. Anche il ministero dell'interno conferma che Fox ha dato istruzione all'esercito perché si proceda a "realizzare azioni distensive nelle zone di conflitto nel Chiapas". Obiettivo dell'iniziativa del nuovo esecutivo è "ribadire la piena disponibilità del governo a riunirsi al più presto possibile con i rappresentanti della guerriglia e promuovere un clima propizio alla ripresa dei negoziati per una pace solida e duratura in Chiapas".

Marcos parla (troppo tardi per noi)

Negli ultimi anni, dopo la rivolta zapatista del gennaio 1994, il governo messicano aveva inviato circa 20.000 soldati in Chiapas, la regione meridionale dove gli scontri tra guerriglia e gruppi paramilitari, e l'iniziativa della bande paramilitari formate e finanziate dal Pri, il partito eternamente al potere prima della presidenza Fox, hanno provocato centinaia di morti e decine di migliaia di profughi. Mercoledì scorso, dopo sei mesi di silenzio, il Subcomandante ha emesso un comunicato per convocare la conferenza stampa per ieri pomeriggio a La Realidad. Mentre scriviamo siamo in cammino per raggiungere la conferenza stampa nella Selva. Marcos intende spiegare le posizioni dell'Ezln nella nuova fase aperta in Messico dall'insediamento di Fox. Il nuovo ministro dell'interno, Santiago Creel, ha confermato che il governo seguirà con estrema attenzione le dichiarazioni di Marcos.

Il leader zapatista sembra disponibile ad un'apertura di credito nei confronti del nuovo presidente: "E' stato un lungo incubo per milioni di messicani - ha scritto nel comunicato -, per noi, è un incubo che finisce oggi. Ne potrebbe seguire un altro oppure potremmo trovarci davanti ad una nuova alba. Noi faremo il possibile perché fiorisca una nuova alba".

E Fox, nel suo discorso di insediamento, ha addirittura parafrasato uno slogan del movimento, affermando - mentre cercava di rivolgersi direttamente alle popolazioni indie che si riconoscono nell'Ezln - "Mai più un Messico senza di voi. Oggi comincia una nuova era per il Chiapas".

E la delegazione italiana?

Il presidente ha già annunciato che il primo provvedimento di legge che presenterà martedì al Parlamento è la proposta sui diritti degli indios elaborata dalla Commissione per la Pacificazione e bloccata dal suo predecessore Ernesto Zedillo. La mano tesa della presidenza messicana, stavolta c'è, anche se appare chiaro un tentativo di delegittimare il ruolo dell'Ezln. Ma, per ora e stando alle parole e alle intenzioni, sembra scegliere la strada meno ipocrita: quella di scegliere quella realtà come interlocutrice di una possibile svolta.

Una prima cartina di tornasole della presidenza Fox è stata proprio il caso degli italiani della delegazione che in Chiapas ha portato una turbina per la comunità della Realidad.

Fermati alla comunità di Amparo Aguatinta, sono stati trattenuti Tiziana Valpiana, deputata di Rifondazione comunista, Alfio Nicotra e Luca Casarini tra gli altri, e obbligati da una citazione di di polizia a presentarsi di ritorno dalla zona per essere interrogati a San Cristobal. Un atto poliziesco compiuto nelle ultime ore della vecchia presidenza Zedillo, alla quale ha risposto la fresca presidenza Fox: il nuovo segretario degli Interni Santiago Creel Miranda ieri ha ordinato, come suo primo gesto, il ritiro degli atti di citazione.

A colloquio con Castro

Da segnalare alla fine che appena insediato, Vicente Fox ha avuto un faccia a faccia "privato" di 45 minuti con Fidel Castro, giunto venerdì mattina a Città del Messico proprio per assistere alla cerimonia di insediamento. I due statisti hanno discusso di un'ampia gamma di questioni, da progetti congiunti per l'istruzione, la cultura e lo sport agli scambi commerciali e agli investimenti. Fox ha definito l'incontro "molto positivo" e ha riferito di aver accettato di recarsi a Cuba l'anno prossimo. Il Messico è stato per decenni un "paese amico" per Cuba, l'unica nazione latino-americana a rifiutarsi di rompere le relazioni con l'Avana dopo la rivoluzione del 1959. Fox ha detto di augurarsi una transizione di Cuba alla democrazia e un maggior rispetto per i diritti umani, ma ha confermato il rifiuto di aderire all'embargo Usa sull'isola.


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