MESSICO 2000: FINESTRE APERTE, PORTE DA APRIRE

Alla insurgente Lucha,

che il 9 settembre, morendo,

ci ha lasciato la sola cosa che aveva:

il suo esempio.

Montagne del sudest messicano. Come sempre, la luna si è lasciata cadere sulla collina. Un fragore di vetri rotti è seguito da un mormorio. Sembra un ruscello. Sembra pioggia. Sono passi. Migliaia di passi. Un esercito di ombre si affanna a raccogliere i pezzi dello specchio rotto. Con cura sistemano i pezzi del rompicapo che cercherà di essere il riflesso di questa realtà frammentata che, nessuno ne dubita, non smette di muoversi. Con allegra inquietudine si rendono conto che mancano alcuni pezzi. Sebbene i pezzi raccolti abbiano solo permesso di costruire uno specchio incompleto e mal incollato, vi si riescono a vedere riflesse, anche se non chiare, delle figure che non sono più macchie informi. Lentamente sollevano lo specchio rattoppato e lo puntano verso occidente, proprio nella direzione in cui l'altro specchio che brilla lassù, arriva ogni mattina, seguendo il suo ritmo giorno dopo giorno.

Senza smettere di guardarci, ma vedendo soprattutto l'altro e gli altri, e quello che siamo, guerrieri scribacchini, prendiamo la parola.

Lassù tutti sparano agli orologi

Messico, 2 luglio dell'anno 2000. Ore della notte. I mezzi di comunicazione elettronici, l'IFE, Zedillo, i candidati ed i partiti politici (in quest'ordine) dicono quello che non si era mai sentito negli ultimi 71 anni: il PRI perde la Presidenza della Repubblica.

Restano alle spalle le campagne elettorali dei partiti politici, le più costose e di più basso livello politico della storia. Denominatore comune di queste campagne elettorali è stato un profondo disprezzo per il cittadino.

Più simili alle pubblicità commerciali, le campagne per la Presidenza hanno considerato il cittadino come uno smemorato acquirente che paga in contanti, non pone molte domande e non pretende garanzie. Nella sua ostinata marcia in direzione divergente da quella della cittadinanza, la classe politica messicana ha sofferto del divario esistente tra le sue offerte e le aspettative della gente. Dopo coscienziose analisi (ed uno sperpero milionario per i compensi dei consulenti), i politici hanno scoperto qualcosa di incomprensibile: la gente voleva un cambiamento. Quindi, le offerte si sono concentrate sul "cambiamento". I tre principali candidati alla Presidenza della Repubblica hanno quindi parlato di "cambiamento".

Ma questo è rimasto alle spalle per quel giorno. Il 2 luglio si aspettano le risposte di chi non ha mai avuto diritto di scegliere le domande. Molto si è detto, si dice e si dirà su quello che è successo quel 2 luglio dell'anno 2000, ma per gli scribacchini è chiaro che la risposta è stata, a maggioranza, un "NO!".

Con questo "NO!" diventato arma e bandiera, una moltitudine anonima di messicani e messicane hanno inferto il colpo di grazia ad un sistema politico che, per oltre 7 decenni, ha seminato di catastrofi e di cadaveri la storia nazionale. I morti sul cammino non sono stati pochi: la giustizia, la democrazia, la libertà, la sovranità nazionale, la pace, la vita dignitosa, la verità, la legittimità, la vergogna e, soprattutto, la speranza. Quei morti rivivono di continuo: 1965, 1968, 1985, 1988, 1994, 1997.

Per parlare di morti viventi non ci sono altri come gli scribacchini, anch'essi morti ma tanto vivi. E dicono che quel 2 luglio sono morti alcuni morti (tra questi: il sistema dei partito di Stato) ed altri morti sono rivissuti (tra questi, i cittadini). Il 2 luglio del 2000 non si è fatto altro che confermare un segreto che era sulle bocche di tutti: la crisi del sistema del partito di Stato. Il fatto che, sul numero totale dei votanti, il conteggio a favore del candidato del PRI non sia stato sufficiente per la conquista della Presidenza della Repubblica non è la cosa più clamorosa. Quello che richiama l'attenzione è che tutto l'apparato di Stato non sia riuscito ad arrivare a quello che aveva sempre ottenuto (anche se con crescente difficoltà negli ultimi sessenni) in questi 71 anni: la frode elettorale nelle sue diverse modalità. Nonostante minacce, ricatti, inganni, menzogne e crimini, più di 40 milioni di messicani hanno detto "NO!" al sistema politico che, ingannevole ventriloquo, aveva sostituito la voce dei più con un "SI!" che aveva perso vigore col passare degli anni.

Eppure, per la sua natura, per la diversità di ragioni che lo motivano, questo "NO!" ostacola il suo ascolto e permette che altri rumori lo smorzino.

I morti morti del 2 luglio lasciano molti vuoti e l'anonimato dei morti vivi fa sì che anche lo spazio di protagonismo che spetta loro risulti vuoto. Inizia così la disputa per riempire questo vuoto e per aggiudicarsi il titolo di vincitore. Per questo si scontrano tra loro l'IFE, Zedillo, Fox, i partiti politici ed alcuni intellettuali di parole e di vergogna morte.

Se si fosse compreso il reale significato di quanto è successo il 2 luglio, i mezzi di comunicazione non si sarebbero dati tregua nell'intervistare i protagonisti: milioni di uomini e donne. Nelle campagne e per le strade si aggira una moltitudine di eroi anonimi, che meriterebbero di essere fermati per congratularsi con loro per l'atto di ribellione feconda, per chiedere loro un autografo ed una foto e per dire loro in tono deciso: non arrenderti! Poiché questo non è stato compreso, i mezzi di comunicazione hanno messo in dubbio chi fosse stato il protagonista: l'IFE? Nonostante le pose del suo presidente, è durato solo per qualche ora, nessuno lo ha appoggiato. Zedillo? Grazie ai soldi elargiti a destra e a manca, è durato alcuni giorni, ma il problema è che non poteva fare altro che accettare i risultati, o era un'opzione quella di delinquere per smentire la sconfitta? Non si può mantenere la popolarità di un personaggio sulla base dell'ipotesi che avrebbe potuto essere un delinquente elettorale e non lo è stato. Fox? Nessuno, neppure lui, l'ha creduto. Allora, chi è stato il protagonista di quel 2 luglio? Il paese? La Nazione? E' molto problematico erigere un monumento alla Nazione e sarebbe insolito promuovere di elevare una statua in onore del "cittadino ignoto".

2 luglio. C'è il nome dello sconfitto. Ma il nome del vincitore continua ad essere vacante. Mentre il tempo scorre, lassù gli uni e gli altri sparano agli orologi gridando: "un momento! La storia sono io!". Questo grido occulta la domanda che si fanno dentro: "Che cosa è successo?".

Spara all'orologio il Partito Rivoluzionario Istituzionale quando si scopre privato di un regno nel quale, si suppone, i sudditi avrebbero per sempre ringraziato la benedizione di essere governati dal PRI. Invece di ringraziamenti ed inchini, il 2 luglio ha tracciato una breccia definitiva sotto la linea di fluttuazione. Dato che l'inerzia è anche legge politica, la dirigenza del PRI abbassa testa e spalle per sottomettersi alla decisione di Zedillo di arrendersi di fronte all'evidenza che, per la prima volta arrivava alle otto colonne: la maggioranza dei messicani rifiuta il PRI. La sottomissione è durata minuti, forse ore. Presto si sono levate lamentele, trasformatesi poi in reclami e più tardi in accuse: "il responsabile della sconfitta del PRI è Zedillo". Alla domanda "chi ha sconfitto il PRI?", i priisti rispondono: "Zedillo". Ed il grigio ometto, che a partire da oggi cercherà inutilmente un ombrello che lo protegga dall'inevitabile, non è stato altro che un grigio affossatore. Sparando all'orologio e gridando "E' stato Zedillo!", i priisti dimenticano qualcosa di fondamentale: la loro storia. Perché la sconfitta del PRI è il risultato della sua storia. Quello che i priisti non hanno compreso è che hanno cominciato a perdere la Presidenza della Repubblica nel... 1982!, quando Miguel de la Madrid Hurtado assunse la titolarità del Potere Esecutivo federale.

Con l'arrivo di De la Madrid, una nuova classe politica si aprì la strada nel PRI: quella dei tecnocrati. Oltre ai loro studi superiori all'estero, i tecnocrati avevano in comune la loro mancanza di sensibilità di fronte ai problemi sociali, l'assenza di militanza di partito ed una concezione dello Stato diametralmente opposta a quella dei "vecchi" priisti. I tecnocrati si impossessarono del potere e, pertanto, del PRI. Nei governi precedenti il PRI, questa vergognosa segreteria di Stato, aveva mantenuto un rapporto più o meno stabile con le organizzazioni ed i gruppi del partito grazie ai programmi sociali. Ma l'arrivo dei tecnocrati mise da parte la politica sociale e, con essa, la base della conservazione del PRI. Non solo, "Il PRI, d'altro canto, non era più lo spazio in cui si forgiavano le carriere politiche, e la cosa, resa nota poco dopo l'arrivo della tecnocrazia al potere, ebbe un forte impatto tra i priisti. La maggioranza dei funzionari alti e medi del governo delamadrista, non solo non aveva carriera di partito, ma molti non erano neppure membri del PRI e questo provocò un enorme scandalo". (Luis Javier Garrido, "La ruptura (1982-1988)", in Proceso. Edizione Speciale: "El infierno del PRI". Agosto 2000. p. 48.)

Quindi il PRI si trasformò in un'agenzia di collocamento di tecnici dell'amministrazione pubblica.

Non solo, l'onnipresenza del PRI nel potere, ha fatto sì che l'alternanza (perché questo e solo questo è l'arrivo di Fox) si presentasse come transizione. Colpevoli del fatto che, per la maggioranza dei cittadini, la democratizzazione del paese fosse legata alla sconfitta del PRI, sono gli ultimi titolari del Potere Esecutivo ed i loro rispettivi gabinetti, le loro politiche economiche e sociali, il loro maneggio discrezionale del bilancio ed i loro legami con il narcotraffico. Sono pure colpevoli: i governatori e i presidenti municipali priisti che hanno costruito il loro potere regionale sui cadaveri dei loro oppositori e sulla povertà dei loro governati; i deputati e i senatori che impavidi hanno assistito allo smantellamento dello Stato sociale ed hanno sostenuto le iniziative neoliberiste per un pugno di banconote; gli "alchimisti" elettorali che hanno sempre defraudato milioni di cittadini; i giudici corrotti e venali; i poliziotti ladri; l'esercito criminale, gli scrittori di veline travestiti da giornalisti. Infine, i colpevoli del fatto che milioni di messicani vedessero il PRI come un ostacolo al benessere ed al buon governo sono stati... i priisti (compreso Zedillo).

Hanno sparato all'orologio il PRD ed il neocardenismo quando hanno scoperto che la caduta del PRI non implicava la vittoria del PRD. Abituati a pensarsi con il monopolio dell'opposizione al PRI, i perredisti non concepivano la fine del sistema del partito di Stato senza se stessi alla testa. Il PRI ha perso la presidenza ma il PRD non l'ha conquistata. Ha fermato quindi l'orologio per cercare di comprendere quello che era successo. O meglio, chi è il colpevole del fatto che la storia non si sottometta agli statuti del partito? Nei primi giorni, per alcuni intellettuali neocardenisti, i colpevoli sono stati i votanti che non hanno votato per Cárdenas Solórzano. Sentendosi "traditi" dal popolo, con rancore hanno prospettato al paese ogni tipo di flagello e dolore: "adesso vedrete che cosa è la repressione, vedrete che cosa è il neoliberismo, vedrete che cosa è il fascismo, adesso sì...". Ma qualcuno li ha richiamati al buon senso e, meno male!, sì, si è cominciato a cercare la risposta alla domanda che tutti i perredisti si facevano: "perché abbiamo perso in questo modo?".

Nella campagna elettorale, la sinistra parlamentare ha mostrato che il possesso del potere politico è anche il possesso dei fantasmi che lo popolano. Per il PRD, qualsiasi mobilitazione sociale che non fosse sotto la sua bacchetta, la dissidenza più o meno organizzata al di fuori della sua influenza e qualsiasi critica lanciata con toni che non fossero quelli del silenzio, facevano parte di una cospirazione che voleva rovinare le aspirazioni del suo candidato presidenziale Cuauhtémoc Cárdenas Solórzano. In questo modo ha impostato le questioni dello sciopero studentesco dell'UNAM (1999-2000), delle denunce per frode durante le elezioni interne (1999), delle proteste cittadine per le deficienze nei lavori governativi nel Distretto Federale (1997-2000) e delle critiche che la stampa onesta lanciava per la sua negligenza nel governare (1997-2000) (anche se non bisogna dimenticare che i mezzi di comunicazione che si autoelevano a "santa inquisizione" obbediscono ad interessi illegittimi: la riverenza al principe esiliato o la difesa del presentatore narco).

Preoccupa il fatto che, per la dirigenza del PRD, il cambiamento democratico avverrà solo quando i suoi candidati arriveranno al potere. Preoccupa perché, arrivando al potere, uno dei suoi primi decreti sarà dare per terminata la lotta per la democrazia e tutti quelli che oseranno levare questa bandiera, saranno tacciati (e perseguitati, perché è a questo che serve l'apparato statale) di essere sabotatori, agenti della destra o di qualche altro titolo di moda al momento.

La campagna presidenziale del PRD è cominciata ossessionata dal centro (in politica, il centro non è altro che la destra in attesa di sedersi in poltrona) e poi si è affrettata verso la sinistra. Ma in questo percorso ha lasciato molti feriti: la credibilità, la fiducia, la coerenza e la speranza.

Gli incontri con il PAN per presentare una candidatura comune e la rottura poi, l'affanno di mostrarsi "compatibile" con il potere di Zedillo (quell'incomprensibile saluto di Cárdenas a Zedillo dopo aver lasciato il governo del Distretto Federale); lo sporco (per non dire altro) processo elettorale interno per eleggere il presidente del PRD, per citare alcuni fatti, sono state dimostrazioni della pericolosa vicinanza del PRD alle pratiche politiche contro le quali lotta.

Sulla sua cosiddetta "crisi interna", solo il PRD può parlare. Possiamo solo dire che il fatto che il fatto che Cuauhtémoc Cárdenas abbia mantenuto la sua candidatura senza cedere alla pressione di rinunciarvi a favore di Fox, è quello che ora permette di parlare di una crisi del partito. Se avesse rinunciato, non ci sarebbe neppure più un partito.

Con tutto questo, la sopravvivenza di una corrente di sinistra dentro il PRD alimenta ancora le speranze che l'opzione elettorale di sinistra non naufraghi nella tempesta del mercato politico. Ci sono dirigenti, quadri intermedi e, soprattutto, militanti di base, che sanno che le fortezze si costruiscono solo dal basso e che le aspirazioni che alimentano con le loro battaglie vanno ben oltre i limiti di un partito politico.

Per ora, il PRD può solo prendere tempo per riorganizzarsi o rifondarsi. Non si vede nulla all'orizzonte politico che possa contendergli il suo ruolo di sinistra elettorale. Che questa mancanza di contrappesi alla sinistra elettorale del PRD, non permetta che l'iman della destra lo tolga dal posto che deve occupare!

Spara all'orologio il Partito d'Azione Nazionale quando scopre che alla fine ha sconfitto il PRI alle elezioni presidenziali ma, ciononostante, non ha il potere. Dopo essere stato spogliato per decenni di trionfi legittimi, il PAN subisce di nuovo una spoliazione, ma ora non sono il partito di Stato o il governo che lo privano del trionfo. Dapprima una struttura parallela (gli "Amici di Fox") gli hanno sottratto l'iniziativa di decidere il suo candidato alla Presidenza. Iscritto al PAN da solo 12 anni, Vicente Fox ha armato una squadra fuori dal partito (che non ha tardato a diventare sovra-partito) per promuovere la sua precandidatura e quindi, la sua candidatura alla Presidenza. Intrappolata dal ritmo battuto dagli "Amici di Fox", la dirigenza panista non ha tardato a darsi per vinta e, in un'elezione interna simile a quella dei partiti repubblicano e democratico degli Stati Uniti, si è limitata a ratificare quello che gli "Amici di Fox" avevano già deciso.

Come nel PRI, i politici tradizionali o storici del PAN (i "dottrinari") sono cacciati da una nidiata di neopolitici che non solo si sono trasformati da industriali in politici (i cosiddetti "barbari"), ma hanno pure introdotto i loro metodi imprenditoriali e li applicano alle questioni di partito. Il PAN di oggi ha molto poco a che vedere con quello di González Morfín e di Gómez Morín. La tenace resistenza del panismo di ieri, restio alle imposizioni ed agli accordi di palazzo, è rimpiazzata dal pragmatismo delle concertazioni segrete. La politica come affare (io do a te, tu a me) e non come esercizio civico e collettivo. Con questo PAN, il piatto era servito affinché Fox usasse come trampolino di lancio una storia ed una struttura solide, di prestigio ed efficienti. Poche organizzazioni politiche possono contare sull'omogeneità e sullo spirito di corpo del Partito di Azione Nazionale di ieri, e poche si sono tanto deteriorate sotto questo aspetto e in così poco tempo come il PAN di oggi.

Tempo fa la politica conservatrice di Azione Nazionale era considerata un rifugio della destra moderata. Con l'ascesa di Fox, prima dentro il PAN, poi nella campagna elettorale ed ora con il trionfo, l'estrema destra ha trovato l'ombrello, il riflettore e la tribuna che cercava. Così, intorno ad Azione Nazionale è nata una sorda lotta tra ultras e moderati di destra. Trascurando le divergenze, il partito sta svanendo, sta perdendo il suo profilo e, così sembra, porta ad un Fox trionfante solo due cose: il colore azzurro ed il corpo che dovrà essere responsabile degli errori del nuovo Esecutivo federale. Sebbene ci siano degli ingenui che sostengono che il PAN ha vinto la Presidenza della Repubblica, i militanti di Azione Nazionale sanno che non è così e che, ora più che nei giorni in cui il PRI era onnipotente, sarà più difficile ottenerla.

Sparano all'orologio i partiti politici quando si rendono conto che il 2 luglio ha dimostrato che non differiscono molto da un club sociale. Le trascorse elezioni federali hanno ratificato quello che già insinuavano gli anni precedenti: non sono necessarie né la militanza in un partito né le proposte programmatiche. La memoria di partito è ora sostituita dalle campagne pubblicitarie ed il miglior politico è il miglior trapezista.

I tre partiti politici più grandi del Messico hanno visto come i principi dottrinari sono tanto duraturi quanto i computer: durano solo qualche giorno. I vecchi riferimenti di geometria politica servono a molto poco quando si tratta di spiegare i salti continui dei politici da una all'altra bandiera.

Se ieri i partiti politici erano concepiti per formare militanti attraverso i quali si diffondevano le proposte politiche, si cresceva e si arrivava al Potere, oggi questo è cambiato sostanzialmente. I partiti continuano ad essere gli strumenti per arrivare al Potere, ma ora sono qualche cosa più simile ad un trampolino che ad una scuola. Personaggi di ogni tipo deambulano da uno all'altro partito senza che i cambiamenti li scalfiggano minimamente e non importa che i principi, i programmi e gli statuti delle organizzazioni per le quali transitano non solo siano diversi, ma che si contraddicano puntualmente.

Quanti panisti di carriera ci sono nel gabinetto di Fox? Non è egli stesso un "novizio" con solo 12 anni di militanza di partito? Per quale partito non è passato Porfirio Muñoz Ledo? Escluso López Obrador, quale altro governatore perredista non era priista alla vigilia della scelta dei candidati? In Tabasco, l'attacco più virulento contro il candidato del PRI non è venuto forse da un priista (Arturo Núñez)? I signori Jorge Castañeda e Adolfo Aguilar Zinzer non erano membri di un partito contrario al signor Fox solo 6 anni fa? Della ciurma della nave affondata zedillista, quanti fecero la loro carriera politica nel PRI?

Non a poco a poco, ma velocemente i partiti politici stanno diventando gusci vuoti che servono solo a dare identità comune ad un gruppo di cittadini, allo stesso modo in cui hanno identità comune i fan di una squadra sportiva. I grandi ideologi e gli analisti politici non si formano dentro i partiti politici, ma nelle loro periferie. PRI, PAN e PRD ricorrono invariabilmente a persone che non sono del loro partito per chiedere consiglio, consulenza, orientamenti o, addirittura, quello che devono fare. Sparando all'orologio, i partiti politici dimenticano che colpiscono lo specchio: il presente del PRI indica loro quale sarà il loro futuro.

Spara all'orologio il presidente dell'IFE quando reclama per sé grazie al suo investimento multimilionario la sconfitta del sistema del partito di Stato. Assordato dai suoi spari, l'IFE "dimentica" varie cose; l'enorme squilibrio nell'accesso dei partiti politici ai mezzi di comunicazione; l'utilizzo di risorse pubbliche per indurre il voto a favore del PRI; i reati elettorali che, sebbene senza apprezzabili concorrenti, non sono stati esclusiva del PRI; il ruolo degli osservatori elettorali nazionali ed internazionali; l'argine che alcuni mezzi di comunicazione hanno opposto alla probabile resistenza del PRI e del governo nel riconoscere i risultati (attenzione: "alcuni", altri, come l'Excélsior di Díaz Redondo, erano disposti a tutto per una modica somma); e, soprattutto, dimentica i cittadini.

La vanagloria del presidente dell'IFE pretende di far sparire qualche cosa di sostanziale nel passato processo elettorale federale: milioni di messicani e messicane hanno resistito al meccanismo elettorale dello Stato ed hanno contrassegnato le schede secondo le loro preferenze. Senza disprezzare i progressi in materia elettorale (partecipazione cittadina all'IFE, maggior apertura ai mezzi di comunicazione, osservazione elettorale), la cosa importante del 2 luglio è la ribellione di milioni.

Spara all'orologio la squadra di Fox quando si vede con il Potere e scopre quella legge della dialettica che dice: "una cosa è una cosa ed un'altra cosa è un'altra cosa". Condurre una campagna elettorale e preparare una squadra ed un programma di governo non sono la stessa cosa. E sono arrabbiati nella squadra di Fox. Invece di ringraziamenti e carovane di venerazione, si sono imbattuti in una stampa vigilante e critica, con alcuni cittadini che vogliono continuare ad essere cittadini. Vedono con disappunto e rabbia che i grandi problemi nazionali non si sono risolti solo con la pura notizia del suo arrivo al governo. Scoprono con angoscia che le cose non si possono più affrontare a monosillabi ("Già!, già!, già!", "Ahi!, ahi!, ahi!") e che quello che ha funzionato come slogan in campagna elettorale, non funziona come programma di governo. Vedono con impotenza che la vecchia politica tende ancora reti contro le quali poco niente può la mentalità imprenditoriale. Hanno scoperto che lo scenario sul quale presentano la loro opera "Sono Alternanza, ma chiamami Transizione" è puntato con spilli. Per quanto tempo potrà reggere lo sforzo di presentare un cambiamento di governante come se fosse la transizione democratica?

Sparando all'orologio la squadra di Fox grida: "Un momento! Ora che ho il potere voglio che le cose continuino come sempre, che la gente torni alla passività ed al conformismo, che i mezzi di comunicazione tornino alle loro telenovelas, ai programmi musicali e comici, che i ribelli di sempre tornino ad essere sottomessi ed obbedienti, che La Lupa ritorni pecora e che i paramilitari rinneghino come loro padroni i generali, che gli indigeni rinuncino alle loro richieste e si accontentino di "utilitaria, tele e negozietto", che le donne la smettano di occuparsi di cose malefiche come quella di pretendere di decidere del proprio corpo, che i giovani aspettino con pazienza e rassegnazione il loro posto nell'incubo, che gli omosessuali e le lesbiche si autoesilino in sgabuzzini collettivi (ben nascosti, sì), che i lavoratori scoprano i propri errori e si convertano in capitani d'industria, che i contadini abbandonino quell'assurdo storico che recita: "la terra è di chi la lavora" e considerino il lavoro nel rancho di San Cristóbal (o il suo equivalente) la loro massima aspirazione, che maestri, studenti, cittadini, tassisti, impiegati e gli eccetera che popolano la realtà nazionale, facciano solo manifestazioni se sono per acclamare i nuovi salvatori della Patria e chiedere che, per lo meno, ci durino 71 anni".

Grida e spara la squadra di Fox, ma nessuno l'ascolta. O meglio, tutti sentono molto bene e per questo ripetono quel "No!" che ha generato tutto questo trambusto.

Lassù quasi tutti sparano contro l'orologio per fermare il tempo. Sotto alcuni sorridono e manipolano l'orologio. Non per arretrarlo. Non per fermarlo. Non perché vada più in fretta. Solo per caricarlo affinché l'ora arrivi come deve, cioè con tutti ed in tempo...

Contraddicendo la fisica, il vuoto in politica è pure uno spazio d'azione

Il 2 luglio il PRI non solo ha perso la presidenza della Repubblica, ma ha subito anche una sconfitta storica. Questa sconfitta è il risultato di molte lotte. Non riconoscerlo e non comportarsi di conseguenza è una meschinità.

Il fallimento del partito di Stato ha lasciato un vuoto. E bisogna riempire questo vuoto. Cioè, non si tratta solo di reclamare il titolo di vincitore storico, ma anche (e soprattutto) di occupare lo spazio lasciato vacante dal PRI. Ed anche se questo vuoto significa non governo, sconcerto e disorganizzazione, significa anche che molte forze si sono liberate da legacci e logiche perverse. Cinque mesi dopo il 2 luglio, lo spazio continua ad essere vuoto. Il cambio di una classe politica con un'altra non potrà avvenire secondo le "vecchie regole". In questi mesi sono prevalsi la confusione, il disordine ed il caos. La mal denominata "transizione di velluto" è liscia come carta vetrata.

Non c'è transizione democratica. C'è alternanza. La prova che lo spazio lasciato dal sistema del partito di Stato continua ad essere vacante, è che il programma della nuova classe politica (o imprenditorial-politica) che si esalta con la squadra di Fox non è operare l'alternanza (Zedillo ha imbandito loro la tavola - certamente male, come tutto ciò che ha fatto), ma convincere la gente a tornare alla sua precedente passività e "lasciare che il governo governi".

La difficoltà della squadra di Fox di occupare lo spazio lasciato dal PRI, si spiega in quanto, anche se non si può parlare di "transizione democratica", c'è un cambiamento radicale nella cultura politica dei cittadini. E non solo in loro, ma anche in alcuni mezzi di comunicazione. Quello che sarà il nuovo "sassolino nella scarpa" dell'Esecutivo federale, secondo quanto rivelano i gesti di Martha Sahagún, deve essere affrontato con metodi molto "democratici": una struttura di comunicazione presidenziale che, più che informare, si incarichi di "proteggere" l'informazione; ed una legislazione che "controlli" (cioè, "censuri", ma si evita di usare il termine) la stampa.

L'offensiva della destra (la penalizzazione dell'aborto delle donne violentate in Guanajuato, la belligeranza dell'associazione Pro Vida), la risposta organizzata di gruppi femministi, la resistenza della cittadinanza ad accettare senza proteste i tentativi di applicare l'IVA sui generi alimentari e sui medicinali, lo scandalo del Registro Nazionale Veicoli (Renave), l'offensiva di Salinas e la controffensiva di Zedillo, le mobilitazioni dei lavoratori dello Stato e il ridicolo della PGR nelle sue azioni contro i paramilitari in Chiapas, hanno rivelato alla squadra di Fox che nel panorama nazionale quasi nessuno ha creduto alla storia della transizione democratica.

Per quello che si riesce a vedere nel gabinetto di Fox, i segnali e le tendenze indicano che ci sarà poca politica e molta amministrazione. Di fatto, sono pochi i politici-politici nel gabinetto. Al contrario, abbondano i gerenti. Se il nuovo Esecutivo federale ha rinunciato a fare politica, allora questo compito (indispensabile nell'arte di governare) dovrà essere affrontato da altri poteri dell'Unione, in concreto, dal Parlamento (la Camera dei Deputati e quella dei Senatori).

Per adempiere a questo compito (e che Fox non pensa di fare) che ha lasciato il vuoto generato dalla sconfitta del PRI, il Parlamento affronta una sfida multipla:

Il compito principale è non permettere che si ricomponga il presidenzialismo, anche se con un Esecutivo di diverso segno politico. La vera vita repubblicana ha bisogno, tra le altre cose, di un reale equilibrio tra i poteri. Il posto che nella Repubblica deve occupare il Potere Legislativo, non gli sarà concesso per grazia dell'Esecutivo federale, ma è qualche cosa per il quale devono lottare i deputati e i senatori. Non sono da disprezzare i progressi fatti a questo proposito dalle due passate legislature.

Il Parlamento dovrà invertire l'inerzia di essere cassa di risonanza dell'Esecutivo. L'equilibrio nella composizione delle due Camere, obbligherà i legislatori al dialogo tra loro come rappresentanti popolari e non come rappresentanti di partito. Il Potere Legislativo non deve diventare il ring per un incontro di pugilato politico (a volte non è solo politico) tra i rappresentanti. Non perché ciò significhi rinunciare alle differenze ed all'antagonismo, ma perché lo spazio di confronto tra queste differenze ed antagonismi è sul terreno elettorale, di fronte ai cittadini. Come legislatori, il loro dovere non è stare con il partito che rappresentano, né solo con gli elettori che hanno votato per loro, ma con un paese che si è appena scrollato di dosso un grosso peso e deve tracciarsi un avvenire.

Dovrà superare il controllo-scavalcamento da parte dei dirigenti dei partiti politici. Come parte del sistema politico sconfitto il 2 luglio, non sono poche le volte che le direzioni dei partiti hanno esautorato i parlamentari. Non sono poche le leggi che nel passato recente sono state negoziate tra l'Esecutivo e le direzioni dei partiti politici, lasciando ai legislatori il ruolo di ricevere "la linea" dall'Esecutivo e dai propri partiti. La logica di dirigente di partito non è la stessa di quella del legislatore. Non diciamo che una è "buona" e l'altra è "cattiva", ma solo che sono diverse. Il dirigente di partito fa quello di cui ha bisogno la sua organizzazione, il legislatore deve fare quello di cui ha bisogno il paese. Non è la stessa cosa.

Dovrà avere una visione dello Stato. Non solo perché sarà inutile aspettarsela dall'Esecutivo, ma anche perché l'impatto della questione legislativa va oltre i sei anni. Mentre le azioni dell'Esecutivo difficilmente andranno più in là della durata di governo, quelle dei legislatori (in quanto "artefici di leggi") vanno molto più lontano dei tre o sei anni della durata del loro incarico.

Dovrà essere sensibile ai grandi problemi nazionali. La maggioranza dei legislatori sa che i punti principali dell'agenda nazionale non si possono affrontare con criteri imprenditoriali, che sono necessari il dialogo, la costruzione di ponti e la ricerca di accordi. Il rendimento produttivo, l'abbattimento dei costi e l'apertura dei mercati, sono parametri che difficilmente possono orientare il compito supremo di fare leggi nazionali. Per risolvere i grandi problemi sono necessarie l'intelligenza, la creatività e l'audacia. Altrimenti il lavoro legislativo si trasforma in un'istanza di "rattoppi e rammendi". Per non cadere in questo, dovrà abbandonare la tentazione (tanto cara ai regimi precedenti) di amministrare conflitti e dosare soluzioni.

Dovrà contro-legiferare e legiferare in modo che la sovranità nazionale sia riscattabile e possa affrontare l'emergenza di vecchie-nuove realtà (indigeni, donne, operai, contadini, omosessuali e lesbiche, giovani, bambini, casalinghe, cittadini, piccoli e medi imprenditori e commercianti).

Però se il Parlamento ha un ruolo importante nel conseguimento, ora sì, della transizione democratica, la possibilità della reale transizione sta nella mobilitazione della società, nel suo rifiuto di essere cittadinanza solo nelle scadenze elettorali. Essere cittadino non è solo pagare le tasse e rispettare la legge. E' anche chiedere soddisfazione, pretendere risultati e vigilare sul disimpegno.

Con cittadini a tempo pieno, con una democrazia non solo elettorale, il Messico non sarà il migliore dei Messico possibili, ma potrà decidere collettivamente del proprio destino e questo sarà la transizione democratica.

Se questa transizione sarà pacifica, dipenderà dal fatto che i poteri dell'Unione abbandonino lo specchio, sia per lamentarsi, sia per ammirarsi, e si scontrino con la realtà nell'unico modo in cui ne vale la pena: con l'intenzione di trasformarla.

Il trionfo di Fox apre spazi per l'estrema destra. La belligeranza di questa non deve essere considerata con un placido "ve l'avevo detto", ma deve essere affrontata con la mobilitazione e la ragione argomentata. Fatti apparentemente isolati possono diventare "politica di Stato" (attacco all'arte, penalizzazione dell'aborto delle donne violentate, segregazione degli omosessuali e delle lesbiche, persecuzione del corpo, medicalizzazione della sessualità, belligeranza delle tonache, protagonismo politico della gerarchia ecclesiastica e apogeo dei gruppi patrocinati). La sinistra deve essere attenta a non riprodurre questi metodi (con l'ansia del risultato), come accadde nel Distretto Federale nel caso dei cosiddetti giros negros.

Da tempo la politica ha smesso di essere una questione onorevole, creativa, audace, immaginativa. Ora c'è l'inerzia, l'autocompiacenza e l'autismo. La politica non si detta (né si discute) più nelle Camere o negli edifici di governo, ma nei grandi centri finanziari. Nella distruzione delle vecchie classi politiche, la globalizzazione lascia vuoti momentanei. La sconfitta del PRI apre un grande spazio per l'azione politica dei partiti e dei cittadini. Il fallimento del sistema del partito di Stato libererà molte forze che possono e devono orientarsi alla trasformazione del paese in una Nazione libera e sovrana.

Le organizzazioni politiche e sociali devono comprenderlo. La crisi terminale del partito di Stato (e non il trionfo di Fox) rappresenta un'opportunità che la moneta cada dal lato della trasformazione.

Se, come pare, la spinta che la vita politica nazionale ha ricevuto il 2 luglio continuerà, i protagonisti di questa data (i cittadini) torneranno, sempre, ad occupare il posto che compete loro. In loro risiede la speranza che tutto non finisca in una triste commedia (a tinte fosche) di quelle con cui la storia suole sanzionare le opere incompiute.

"Transizione democratica". Il termine si sente molto lassù, tra la classe politica. Però che diventi realtà dipende dalla mobilitazione della società e non dai decreti emanati dal Potere.

Caricare l'orologio e indicare una finestra (ma pensando ad una porta)

All'orologio della storia messicana, l'ora è ancora in discussione: tra la classe politica e la gente.

Nel calendario la pagina con indicato "2 luglio" sta cadendo.

Una finestra si è aperta, alcuni cercano di chiuderla di nuovo, altri invitano alla contemplazione.

Ma altri ancora, i più, cercano il modo di aprire una porta ed uscire.

Perché una casa senza porte per entrare ed uscire, non è altro che una scatola nera in cui la realtà si riflette sempre invertita e convince, chi la abita, che questo mondo invertito ed assurdo è l'unico mondo possibile.

E no, ma no.

NO!

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, luglio-dicembre 2000


(traduzione del Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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