LETTERA DUE

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Settembre 1999

Vi propongo quindi,

con la gravità delle parole finali della vita,

che ci abbracciamo in un impegno:

usciamo negli spazi aperti,

rischiamo per l'altro,

aspettiamo, con chi estende il proprio abbraccio,

che una nuova onda della storia ci elevi.

Chissà forse lo sta già facendo, in modo silenzioso

e sotterraneo, come i germogli

che giacciono sotto le terre dell'inverno.

Ernesto Sábato

Antes del Fin

A tutte ed a tutti quelli che lavorano a La Jornada

Dal SupMarcos

Dame e cavalieri:

Stavo per scrivere "fratelli e sorelle" ma ai giornalisti non si può dare questo appellativo perché poi Rodriguez Alcaine chiede la stessa cosa e non si tratta nemmeno di imparentarli con criminali, non è vero?

Ma dove ero rimasto? Ah sì! A "Dame e Cavalieri", ora vado avanti:

Scrivo a nome di uomini, donne, bambini ed anziani dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per augurare a tutti voi un felice 15° anniversario e che siate felici per sempre.

Non aggiungerò altro a quanto vi devono aver già detto sull'importanza della professione giornalistica, ma vorrei solo ricordare e rammentare a molti di memoria corta e selettiva (come quelli che saltellano sui tetti delle auto; by the way, a noi non infastidisce l'idea che Monsivais abbia un posto nel prossimo gabinetto, sarebbe la prima volta che qualcuno con senso dello humour occupa una posizione così, anche si potrebbe supporre che lo perderebbe - il senso dello humour o il posto - questo si vedrà), ma sappiamo che La Jornada è stata sempre sensibile ai movimenti sociali e a ciò che dal basso si agita e mormora.

Quando "la notizia" la danno quelli che stanno in basso, non è solo perché il loro movimento scuote il sistema messicano, ma anche perché c'è chi si preoccupa di raccontare il fatto e di contribuire così a questa memoria quotidiana che oggi appare caotica, disordinata ed angustiante, ma che dovrà poi sistemarsi in quello che si chiama storia. Non solo La Jornada, certo, però anche La Jornada è diventata una pagina importante di appunti promemoria per la storia contemporanea del nostro paese.

Immaginiamo che non sia stato facile arrivare a 15 anni essendo quello che siete, avendo tanti contro, in mezzo a tante invidie, tensioni, ambizioni... ed assenze come quella di don Rodolfo F. Peña. Per questo, oltre agli auguri per quelli che fanno oggi La Jornada, vogliamo felicitarci con coloro che la fecero e, da dove ora si trovano, a loro modo accompagnano l'orgoglio dei giornalisti.

Ma non facciamo i drammatici e ricordiamoci che si tratta di una festa. Dunque, per questa unica volta (posto come 15 doppio, come si vedrà più avanti), riveleremo alcuni dei premi speciali che, anno dopo anno, concedono gli "zapatones".

È giusto chiarire che nella decisione di stabilire chi ottiene i premi siamo mooolto scientifici e "postmoderni", e così (indovinate) abbiamo fatto un'inchiesta! Condotta dalla seria agenzia "Marcòs Publishing Very Baratito", sono stati sentiti i 298 zapatisti che rimangono (bene, eravamo 300, ma due stavano dormendo) ed i 4 milioni e 265 mila 312 ex-zapatisti che hanno "disertato" e-che-sono-tornati-alla-legalità-perché-Albores-ha-pantaloni-ben-cuciti-e-non-fa-lo-spaccone-né-abbaia-e-questo-è-una-dimostrazione-in-più-del-fatto-che-lo-stato-di-diritto-è-una-realtà-in-Chiapas-e-che-per-governare-il-Chiapas-è-necessaria-la-mano-dura-e-non-buone-maniere.

Per questo 1999 i premi sono stati così assegnati:

Il miglior articolo di analisi politica del 1999: Trino, per "Policías y Ladrones" e "El Rey Chiquito".

La sezione più letta nel 1999 (e nei 15 anni, è così): Socorro Valadez per "El Correo Ilustrado".

La migliore caricatura del 1999: Héctor Aguilar Camín, per himself (se stesso).

La sezione più odiata del 1999 (e dei 15 anni, sicuro): quella degli annunci e delle lettere.

La maggior ingiustizia del 1999: mandare i supplementi solo agli abbonati.

Il miglior sindacato de La Jornada del 1999: Sitrajor.

Il miglior direttore de La Jornada del 1999: Non è un "lui" ma una "lei", Carmen Lira.

Il lavoro più ingrato del 1999 (e degli ultimi cinque anni): "catturare" i comunicati del Sup alle dodici meno un quarto.

Il miglior omaggio per La Jornada del 1999: il sequestro del giornale in Chiapas che Il Crocchetta Albores ha ordinato varie volte.

La cosa più incresciosa del 1999: non averci invitato alla festa dei 15 anni (lo avevate già un ciambellano del nostro livello?)

Il resto dei premi non può essere rivelato per ovvie ragioni (ovvero, non c'è spazio).

Bene, stimate e stimati giornaliste e giornalisti, auguri e non abbuffatevi di panini e bibite altrimenti ci sarà bisogno di un supplemento di "errata-corrige" pesante come il "dibattito" dei quattro fantocci.

Un abbraccio a chi, come voi, rischia per l'altro.

Bene, saluti e che ai 15 seguano molti calendari sempre migliori.

Dalle montagne del Sud-est Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, settembre 1999


15 ANNI

Per Rodolfo Peña,

Altro abbraccio sbagliato della morte

"Quando ti sto per scrivere

si emoziona l'inchiostro,

l'inchiostro nero e freddo

diventa rosso e fremente

ed un calore umano

sprigiona dal fondo del nero.

Quando ti sto per scrivere,

ti scrivono le mie ossa

ti scrivo con l'indelebile colore

del mio sentimento".

Miguel Hernández

Ora la luna è un'unghia di madreperla ed il suo arpeggiare le corde della notte produce una tormenta. Spaventata la luna si nasconde, bimba bianca, luce bruna che si avvolge di oscuri nuvoloni. Ora è la tempesta la signora della notte ed i lampi disegnano, in un breve e rapido tratto, alberi ed ostinate ombre.

Là sotto piove molte volte, tante come si soffre la guerra. Si soffre e si ricorda, perché è la memoria ciò che rende fertile il dolore. Senza di lei il dolore dolente solo soffrirebbe soffrendo e non ne nascerebbe nulla, crescerebbe accumulando calendari, ognuno dei quali è una vita.

L'ombra scrive o disegna. C'è un 15 doppio, secondo due del sette, che è anniversario e festa e ricordo e dolore e allegria e memoria.

È appena uscita la lettera uno, colomba di morte, quando già l'ombra che ci copre inizia ad affilare la punta della seconda. Se la lettera uno era per chi se ne è andato, la due è per chi sta seguendo il sentiero dell'assente. Il lungo ed umido camminare di agosto, verso settembre arriva fino a giorni di feste e ricordi.

Come memoria insoddisfatta, la pioggia tamburella la sua impazienza sul piccolo tetto e più di una volta, il vento burlone spegne le luci e getta nel fango carta e colori. L'ombra si affanna tra aprire vele e sollevare fogli come se di vento si trattasse per i naviganti.

Un foglio è rimasto in un angolo della stanza e sotto lo scintillio dei raggi, qualcosa si riesce a leggere. Un momento. Cercherò di avvicinarmi. Chiaro, il fango. E questa nebbia che si lascia cadere così. È difficile. Bene, ecco qui. Questo è quello che riesco a vedere...

P.S.: CHE, COME SI VEDRÀ IN SEGUITO, SPIEGA IL PERCHÉ DEL 15 DOPPIO, COME QUESTO SIA IL SECONDO DUE DEL SETTE.

15 ANNI FA...

Ogni agosto, anno dopo anno, le montagne del sudest messicano si preparano per partorire un'alba particolarmente luminosa. Ne ignoro le cause scientifiche, ma in quest'alba, una sola in tutto lo sconcertante agosto, la luna è un'altalena di madreperlaceo dondolio, le stelle si sistemano per fare da contorno e la Via Lattea illumina orgogliosa le sue mille ferite di luce coagulata. Questo agosto di fine millennio, il calendario annunciava il sesto giorno quando è apparsa quest'alba. Così, con il dondolio della luna, è arrivato il ricordo di un altro agosto ed un altro 6, quando 15 anni fa iniziava il mio ingresso in queste montagne che sono state e sono, senza volerlo né propormelo, casa, scuola, strada e porto. Cominciai ad entrare in agosto e non smisi di farlo fino a settembre.

Devo confessare che mentre salivo faticosamente la prima delle ripide alture che abbondano in queste terre, sentivo che sarebbe stata l'ultima. Non pensavo alla rivoluzione, agli alti ideali dell'essere umano o al futuro luminoso per i diseredati e i dimenticati di sempre.

No, pensavo di aver preso la peggior decisione della mia vita, che il dolore che mi opprimeva sempre di più il petto avrebbe finito per ostruire la già rachitica entrata dell'aria, che sarebbe stato meglio tornare indietro e lasciare che la rivoluzione si facesse senza di me ed altri simili ragionamenti. Se allora non tornai indietro fu semplicemente perché non conoscevo la strada del ritorno e sapevo solamente che dovevo seguire il compagno che mi precedeva e che, a giudicare dal sigaro che fumava mentre affrontava il fango senza alcuna difficoltà, sembrava stesse facendo una passeggiata. Non pensavo che un giorno avrei potuto salire una collina fumando senza sentirmi morire ad ogni passo, nemmeno che avrei potuto evitare il fango tanto abbondante qui in basso quanto le stelle lassù in alto. No, io proprio non pensavo, ero concentrato su ogni respiro che tentavo di fare.

Ad un certo momento raggiungemmo la punta più alta della collina e chi era al comando della rachitica colonna (eravamo in 3) disse che avremmo riposato lì. Mi lasciai cadere nel fango e mi dissi che forse non sarebbe stato difficile trovare la strada del ritorno, che bastava camminare verso il basso un'altra eternità e che un giorno sarei arrivato nel punto in cui il camion ci aveva lasciato. Stavo facendo mille calcoli, compresi i pretesti che avrei dato agli altri e a me stesso per aver abbandonato l'inizio della mia carriera di guerrigliero, quando il compagno mi si avvicinò e mi offrì una sigaretta. Rifiutai con la testa, non perché non volevo parlare, ma perché tentati di dire "no grazie" ma mi uscì solo un gemito.

Dopo un momento, approfittando del fatto che la persona che era al comando si era appartata per soddisfare una necessità biologica che dicono primaria, mi appoggiai come potei sul vecchio fucile calibro 20. che portavo più come un bastone che come arma da combattimento. Potei quindi vedere dall'alto di questa montagna qualcosa che mi toccò profondamente.

No, non guardai verso il basso, non verso il percorso contorto del fiume, né verso le deboli luci dei fuochi che mal illuminavano un gruppo di case lontano, nemmeno verso le montagne vicine che disegnavano la valle punteggiata di piccoli villaggi, campi e pascoli.

Guardai verso l'alto. Vidi un cielo che era regalo e sollievo, no, meglio, una promessa. La luna era un'altalena sorridente e notturna, le stelle lanciavano luci azzurre ed il vecchio serpente dalle ferite luminose che voi chiamate "Via Lattea" sembrava riposare la sua testa là, molto lontano.

Rimasi a guardare per un attimo, sapendo che avevo dovuto salire questa collina indemoniata per vedere quest'alba, che erano necessari il fango, gli scivoloni, le pietre che facevano male fuori e dentro la pelle, i polmoni stanchi ed incapaci di inalare l'aria necessaria, le gambe contratte dai crampi, l'angustiato afferrarsi al fucile-bastone per poter così liberare gli stivali dalla prigione del fango, il senso di solitudine e desolazione, il peso sulle spalle (che seppi poi, era solo simbolico, perché in realtà si portava sempre il triplo o anche di più; ma questo "simbolo" a me pesava tonnellate), che tutto questo - e molto altro che sarebbe venuto poi - era ciò che aveva reso possibile che questa luna, queste stelle e questa Via Lattea fossero lì e non in qualche altro posto.

Quando sentii alle mie spalle l'ordine di riprendere la marcia, lassù nel cielo una stella, sicuramente stanca di stare sottomessa al tetto nero, riuscì a liberarsi e cadendo, tracciò sulla lavagna notturna un segno breve e fugace. "Siamo questo - mi dissi - stelle cadenti che graffiano appena con uno scarabocchio il cielo della storia". Mi sembrò di averlo solo pensato, ma sembrò che lo avessi fatto a voce alta perché il compagno domandò: "Che cosa ha detto?". "Non so - rispose chi era al comando - forse ha la febbre. Dobbiamo affrettarci".

Questo accadde 15 anni fa. 30 anni fa alcuni graffiarono la storia e, sapendolo, iniziarono a chiamarne molti altri affinché a forza di graffi, graffietti e strappi si rompesse il velo della storia e si vedesse la luce, che altro non è che la lotta che stiamo facendo. E quando ci domandano che cosa vogliamo, noi rispondiamo: "Aprire una breccia nella storia".

Forse vi domanderete che cosa ne fu delle mie intenzioni di tornare indietro ed di abbandonare la vita del guerrigliero e magari supponete che la vista di quella prima alba sulla montagna mi avesse fatto abbandonare l'idea di fuggire, mi avesse risollevato il morale e avesse rinsaldato la mia coscienza rivoluzionaria. Vi sbagliate. Misi in atto il mio piano e scesi dalla collina. Quello che accadde invece è che sbagliai strada, invece di prendere la discesa che mi avrebbe riportato sulla strada e da lì verso la "civilizzazione", scesi dal lato che si addentrava nella selva e che mi portò ad un'altra collina e poi ad un'altra ed a un'altra ancora.

Questo accadde 15 anni fa, da allora continuo a salire alture e continuo a sbagliare la strada verso il basso, ma agosto ogni 6, continua a partorire un'alba speciale e tutti noi continuiamo ad essere stelle cadenti che graffiano appena la storia.

Saluti di noce, e... un momento! Aspettate! Che cos'è che brilla in lontananza? Sembra una fessura.

Il Sup in cima alla collina che lancia una moneta per vedere verso quale pendio deve scendere.


(tradotto dal Comitato Chiapas "cap. Maribel" - Bergamo)

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