L'ora dei piccoli

Seconda Parte:

GLI ALTRI IN BASSO

Per tutti i piccoli e diversi

"presto verranno i pazzi del potere

raffinati / sleali / un pochino cannibali

padroni delle montagne e delle valli

delle inondazioni e dei terremoti

quegli imbandierati senza bandiera

caritativi e rognosi...

portai lettere favori esigenze

da impostare nella cassetta delle lettere del tempo"

Mario Benedetti

Adesso s'affloscia un poco la tormenta. I grilli approfittano della schiarita e tornano a segare l'alba. Un grande cappuccio nero copre il cielo. Altra pioggia si prepara, anche se giù le pozzanghere si annunciano già piene. La notte va adesso con le proprie parole e dal suo fianco estrae storie apparentemente dimenticate. Questa è l'ora della storia di quelli che stanno in basso, l'ora dei piccoli.

Laggiù il lungo richiamo di una chiocciola, ombre le rispondono in silenzio, stretto il ferro e affrettato il nero che copre loro il volto. Le guardie si cambiano di sentinella e si scambiano le parole d'ordine, al "Chi va là?" la speranza invariabilmente risponde "La Patria!". Veglia la notte sul mondo dei dimenticati. Perciò ha reso soldati i suoi ricordi e li ha armati di memoria, perché si attenui il dolore dei più piccoli.

Piova o no, laggiù continua la veglia dell'ombra senza volto. Di sicuro continua a scrivere o a leggere e, quando gli va, a fumare questa pipa di volta in volta più corta. Bene, dato non c'è niente da fare quassù, andiamo a visitare di nuovo la casetta. Così, se piove di nuovo, staremo sotto un tetto. Eccoci arrivati! Adesso il disordine si è dilatato. Fogli, libri, matite, accendini vecchi. Si affanna a scrivere l'ombra. Riempie pagine e pagine. Torna su di loro. Toglie qualcosa, aggiunge qualcosa. Nel piccolo registratore un suono molto strano, come musica di una terra molto lontana, in una lingua ugualmente distante.

"Molto strano", dico. Sì, nell'ora dei piccoli c'è posto anche per l'altro, il diverso. E a questo forse sta pensando la nostra ombra visitata, perché sono riuscito a leggere che "L'Altro" è il titolo in cima ad una pagina.

Però diamole tempo per finire o per definire ancora il ponte tra ciò che pensa e sente e questa civetta impudica che è la parola. Bene, sembra che abbia finito. Lentamente si alza e va all'angolo che le serve da letto. Siamo fortunati, ha lasciato una candela a vegliare. Sì, sopra il tavolo sono rimasti impilati alcuni fogli. È nel primo che si legge...

ALTRA LETTERA

ALTRO SILENZIO ROTTO

Lettera 4b

Per le vittime di terremoti e inondazioni

La lettera che qui segue non l'ho scritta io, l'ho ricevuta. Sballottata in una barchetta di carta, un torrente di acqua piovana ha portato fino alla mia capanna i fogli bagnati e le umide parole.

"8 ottobre 1999, 04.45 a.m.

Sup:

Questo perché sia diffuso dalle sue reti. A parte la tragedia naturale, ciò che più duole è la violenza criminale che, dall'alto del Potere, piove sopra una popolazione disperata, mutilata, ignorante, stanca e piena di dolore. Facciamo qualcosa per i più di 500 mila sinistrati. Queste piogge torrenziali hanno lasciato SENZA NIENTE bambini, anziani, uomini e donne, soprattutto indigeni e contadini, i condannati di questo sistema spietato e genocida, inesorabile e demagogico. Condivido con voi uno scritto che mi ha mandato una giovane con cui chiacchieravo ieri mattina in cui si tocca con mano la cruda realtà che ci colpisce:

O, come è successo nel Villaggio chiamato .............. (metta lei qualsiasi nome di qualsiasi comunità danneggiata, la storia è la stessa), dove è arrivato Zedillo e il Governatore .............. (metta il nome di qualsiasi governatore, tanto sono uguali) e tutto il loro apparato informativo con molti camion di alimenti e aiuti, e appena gli elicotteri che li trasportavano decollarono, se ne sono andati anche i camion portandosi via gli alimenti, lasciando solo poche cose, il che ci ha fatto più che indignare. In ogni Villaggio ci informano che non ci possono aiutare perché stanno aiutando e curando altri che ne hanno più bisogno, senza pensare che esiste comunicazione tra tutti i Villaggi (la comunicazione che funziona efficacemente per lo meno per conoscere la situazione in cui vivono le Comunità è la "Banda Civile"), ed è così che ci siamo resi conto che non ci sono aiuti efficaci per nessun villaggio (soltanto alcuni riferiscono di aiuti minimi e così scarsi che finiscono in un momento). Nel caso particolare di .............. (nome di comunità indigena) (e sembra che accada dappertutto), l'unica cosa che serve è che si ripristini la strada, dopodiché le organizzazioni civili si incaricherebbero di risolvere i problemi dall'alimentazione all'alloggio. Il fatto è che attualmente l'unico e il migliore mezzo di comunicazione sia l'elicottero fa sì che il Governo s'insuperbisca e che pensi che loro sono gli unici che conoscono e possono maneggiare la situazione. Però la macchina governativa è insufficiente per riaprire e riabilitare le strade; d'altra parte, i funzionari incaricati di quest'area non ricorrono neppure ai Paesi ed alle Organizzazioni che avrebbero la capacità e la disponibilità per aiutare.

.............. (nome dello stato) deve smettere di essere l'ultimo stato nell'ingiusta e ineguale distribuzione delle risorse federali.

All'inizio del suo sessennio Zedillo aveva detto che in questa regione si sarebbe messa alla prova la sua politica sociale: ha fallito, perché non soltanto non è mai riuscito a concedere allo stato le risorse necessarie e sufficienti per uscire dall'emarginazione e dal ritardo millenario che ci opprime (non è neanche il caso di ricordare che il problema principale di .............. (nome dello stato) è l'impoverimento e che tutto il resto e solo una conseguenza) ma neanche ha fatto il minimo per vigilare che il poco che arrivava fosse amministrato bene e, per finire, neanche nei casi di disastro c'è stata una risposta soddisfacente (anche se nei Mezzi di Comunicazione si sono fatti belli).

La tragedia continua; al terremoto si sono aggiunte le piogge torrenziali. Ancora ieri notte i nostri promotori informavano attraverso la Radio di "Banca Civile" sulla gravissima situazione di cui le traccio solo alcune pennellate: In .............. (comunità indigena), 100 case distrutte dal TERREMOTO e 80 rase al suolo dal torrente, un elicottero ha portato un minimo di viveri, ci sono circa 250 bambini malati: in .............. (nome di municipio) sono distrutte le Comunità di .............. e di .............. (nomi di comunità indigene) non hanno portato niente, un elicottero è sceso solo a salutarli e se n'è andato; in .............. (comunità indigena) hanno portato soltanto un minimo aiuto alla comunità di .............. (comunità indigena) (di cui è stata sepolta da una frana una terza parte), mentre le altre nove Comunità continuano a non poter comunicare, in .............. (municipio) oltre il 70% delle case sono rimaste distrutte, il torrente ha spianato campi coltivati, coltivazioni di caffè e ha interrotto le strade, sono stati già visitati e sono arrivati dei viveri (25 pacchi di farina di mais, 3 cassette di acqua e 12 cassette di olio). La situazione è drammatica; non soltanto non è stata superata l'emergenza ma è sempre peggio: mancano medicinali, vestiti, coperte, alimenti non deperibili, tettoie... Perciò ci siamo uniti in 4 Organizzazioni per raccogliere risorse e donazioni. Non ci lasciamo andare. Non più".

Qui termina la lettera. Voglio dire, ciò che si può leggere. Il resto è rovinato dall'acqua e dal fango.

Durito, appeso ad una delle mie cartucciere col suo uncino, ha seguito attento la lettura.

- Che ti sembra? - gli chiedo.

- Non è la criminale irresponsabilità del governo quello che sorprende. Non sono certamente colpevoli di terremoti e piogge, però è schifoso il modo con cui hanno affrontato la situazione. La disgrazia di quelli di sotto serve solo loro per apparire sulle prime pagine dei giornali e nei titoli di testa dei notiziari televisivi. Insomma non è questo che richiama l'attenzione, c'era da aspettarselo. Ciò che davvero è forte e grandioso è quel "Non ci lasciamo andare. Non più".

- - gli dico -, come dire che un altro silenzio si è rotto.

- Avverrà altro ancora... - dice Durito calandosi fino al mio stivale.

Bene. Saluti e, d'accordo, "non più"

Il Sup tacendo rispettoso

L'ora dei piccoli /III

Gli altri clandestini

Per le/i mulatte/i negli Stati Uniti

"siamo gli emigranti i pallidi anonimi

con l'empio e carnale secolo sulle spalle

dove ammucchieremo il lascito

delle domande e delle perplessità"

Mario Benedetti

Racconta Durito che, attraversata la linea della frontiera, un'ondata di terrore ti colpisce e ti perseguita. Non è solo la minaccia della migra e dei kukluxklan. È proprio il razzismo che riempie tutti quanti gli angoli della realtà del paese dalle strisce e dalle fosche stelle. Nelle piantagioni, per la strada, nei negozi, nella scuola, nei centri culturali, alla televisione e nelle pubblicazioni, perfino nei bagni, tutto ti perseguita affinché tu rinneghi il tuo colore, il che è il miglior modo per rinnegare la cultura, la terra, la storia, vale a dire, perdere la dignità di essere altri, di portare quel colore caffè dei latini in Nordamerica.

"Quei brownies", dicono coloro che si nascondono dietro la tipificazione degli esseri umani secondo il colore della pelle, dietro la criminalità di un sistema che tipifica secondo la capacità di spesa, sempre direttamente proporzionale al prezzo di vendita (più ti vendi, più potrai acquistare). Se i cafecitos sopravvivono alla campagna di candeggine e detergenti del Potere negli Stati Uniti d'America, è perché la comunità latina "caffè" (non solo messicana, ma anche messicana e portoricana e salvadoregna e honduregna e nicaraguense e guatemalteca e panamegna e cubana e dominicana, per ricordare solo alcune delle tonalità in cui il colore caffè latinoamericano colora il Nordamerica) ha saputo costruire una rete di resistenza senza nome né organizzazione egemonica o neppure degli sponsor. Senza smettere d'essere "gli altri" in una nazione bianca, i latini innalzano una delle storie più eroiche e sconosciute di questo agonizzante secolo XX: quella del loro colore dolente e travagliato fino farlo diventare speranza. Speranza che il "caffè" sia un colore in più nell'arcobaleno delle razze del mondo e non sia più il colore dell'umiliazione, del disprezzo e dell'oblio.

E non solo il "caffè" patisce ed è perseguitato. Racconta Durito che, alla sua condizione di messicano, c'è da aggiungere il colore nero della sua armatura. Era così "caffè e nero" questo valente scarabeo ed è stato perseguitato doppiamente fin dall'inizio. E fin dall'inizio doppiamente aiutato ed appoggiato, dato che il meglio della comunità latina e nera degli Stati Uniti lo ha protetto. Ha potuto così percorrere le principali città nordamericane, dato che così si chiamano quegli incubi urbani. Non ha camminato per le strade del turismo, del glamour e del lusso. E' passato Durito per le strade dei bassifondi, dove neri e latini costruiscono resistenze che permettono loro d'essere senza smettere d'essere altri. Però, Durito dice, questa è storia per altre pagine.

Adesso Durito Black Shield o Durito Scudo Negro (se lei non è globalizzato) ha deciso che è importante che io annunci, con grancassa e piatti, il suo nuovo libro, che ha intitolato Cuentos de Vela en Vela. Proprio ora mi ha consegnato una favola che, dice, ha scritto ricordando quei giorni quando andava wetback o bagnato per gli Stati Uniti.

"il Su e il Giù è relativo...

relativo alla lotta

che si fa per sovvertirlo"

Lettera 4c. (va inclusa una favola)

- È un titolo molto lungo - dico a Durito.

- Non ti lamentare per la favola o niente tesoro - minaccia Durito col suo uncino. E allora...

"C'era una volta un piccolo terreno che era molto triste perché tutti gli passavano sopra e tutto stava su di lui. 'Perché ti lamenti?', gli domandavano gli altri terreni. Che altra cosa potrebbe succedere a un terreno? E il piccolo terreno taceva che il suo sogno era volare leggero e far innamorare quella nuvoletta che, di tanto intanto, si affacciava, e che non gli faceva caso. Sempre più triste diventò il piccolo terreno, e tanto era il suo dolore che iniziò a piangere. E pianse e pianse e pianse e pianse..."

- Quante volte vuoi mettere "e pianse"? Due o tre bastano - interrompo Durito.

- Nessuno può censurare il grande Durito Scudo Negro lo, ancor meno un mozzo nasone e, per di più, raffreddato - mi minaccia Durito e contemporaneamente indica il terribile trampolino lungo cui i disgraziati camminano verso la pancia degli squali. Io cedo in silenzio. Non perché tema gli squali, ma perché un tuffo sarebbe letale per il mio perenne raffreddore.

Così continua la favola...

"E pianse e pianse e pianse. Tanto pianse il piccolo terreno che tutto e tutti scivolavano quando stavano o camminavano sopra di lui. E ormai non aveva più nessuno né niente su di lui. E tanto pianse il piccolo terreno che molto magro e leggero stava diventando. E dato che ormai non aveva più nessuno né niente sopra, iniziò a galleggiare il piccolo terreno e voló alto. E se ne andò del tutto e adesso lo chiamano cielo. E la nuvola in questione divenne pioggia e adesso sta sulla terra e gli scrive inutili lettere chiamandolo 'cielito lindo'. Morale della favola: Non disprezzare quello che hai giù perché il giorno in cui meno te l'aspetti ti può cadere sulla testa. E tan-tan".

- "Tan-tan?" E' terminata la favola? - chiedo inutilmente. Durito non mi ascolta più. Ricordando i suoi vecchi tempi, quando lavorava da mariachi nell'East End di Los Angeles, in California, si è collocato un cappello da charro e intona, stonato, quella canzone che dice "Ay, ay, ay, ay, canta y no llores, porque cantando se alegran, cielito lindo, los corazones". E dopo segue un grido estemporaneo "¡Ay Jalisco, no te rajes!"

Bene. Saluti e credo che tarderemo a salpare: Durito si è deciso a fare delle modifiche alla scatoletta di sardi..., pardon, alla sua fregata, perché sembri un low raider.

El Sup Orale Essse

P.S. di wacha bato: Qualcuno può aiutare? Durito ha deciso che il menù di bordo includa chili, hot dogs e burritos. Ah, che carnal éssse!

L'ora dei piccoli X

X parte: gli altri studenti

Alle giovani universitarie in sciopero

"Il dolore ci afferra, fratelli uomini,

da dietro, di profilo,

e ci colloca nei cinema,

ci inchioda nei grammofoni,

ci schioda nei letti, cade perpendicolarmente

ai nostri biglietti, alle nostre lettere..."

César Vallejo

E' tutta la notte che piove. Arriva l'alba e la pioggia è ancora lì, che sta lavando cammini, monti, campi coltivati, pascoli, capanne. C'è come un palpitare di gocce affrettato e senza alcun ordine, cadendo su tetti, alberi, in pozzanghere già piene e, finalmente, sul terreno. Perché così è l'ora dei piccoli, disordinata, ansiosa, moltiplicata.

Laggiù... Ci sarà da aspettare per sapere che succede laggiù, perché adesso non si può fare un passo senza che il fango ti seduca e finisca baciandoti tutto il corpo. Sì, è un po' tortuoso definire così una caduta, però piove tanto che c'è tempo per questo e altro ancora. Una caduta... Ci sono volte che uno cade e ci sono volte che lo fanno cadere. Voglio dire, ci sono cadute e cadute.

Che? Sì? Sta diminuendo la pioggia? Sì, però il fango no. Bene, andiamo, però piano. E' scuro. Forse non c'è nessuno o forse alla fine s'è addormentata l'ombra che ci interessa. Ci avviciniamo? Lei ha una lampada? Bene. Mmh. No, non c'è nessuno.

Il disordine sopra il tavolo è quello usuale. Però adesso c'è una pagina diversa sopra. Di lato un esemplare del periodico La Jornada, datata 15 ottobre 1999. Le otto colonne dichiarano "Celerini e scioperanti si scontrano nel Periferico". Mezza pagina è occupata da una foto. Cosa? Vuole che gliela descriva? Bene, avvicini di più la luce... Così... Bene. È in bianco e nero. In primo piano c'è una ragazza stesa sulla strada, con la faccia insanguinata. Accanto a lei, qualcuno riceve le pedate di 3 celerini (2 in primo piano e un terzo, seminascosto dallo scudo).

La didascalia apporta altri dati: la foto è di Rosaura Pozos, la ragazza a terra si chiama Alejandra Pineda e chi si trova al suo fianco sotto gli stivali dei celerini è suo fratello, Argel Pineda, uno dei rappresentanti del Consiglio Generale di Sciopero; la scena è al Periferico Sud. Nella foto, il resto dei celerini (almeno altri 6, se si osserva con attenzione il numero dei caschi) guarda verso la destra della fotografia, solo l'ultimo è voltato verso la coppia di studenti, come in dubbio tra proseguire avanti o aggiungersi a quelli che bastonano il giovane a terra.

Altri dettagli ancora? Bene, sullo sfondo dell'azione di pestaggio contro Argel e Alejandra si distinguono perfettamente 5 uomini. Tre di loro puntano i loro obiettivi (due portano macchine fotografiche e uno una camera video) verso la destra della foto. Altri due guardano verso la scena del pestaggio, uno di loro con una camicia a quadri si gratta o si porta qualcosa all'orecchio, l'altro semplicemente guarda. Più indietro, in terzo piano, si distinguono appena due veicoli: un'auto il cui autista è nascosto dalle gambe dell'uomo che solo guarda e la cabina di un altro veicolo (probabilmente una camionetta) il cui autista guarda davanti, cioè, verso la sinistra della foto. In quarto piano, sulla destra, tre cartelloni pubblicitari, i cui testi non si riescono a leggere (quello all'estrema destra sembra annunciare un notiziario). Sullo stesso piano, a sinistra, c'è qualcosa che sembra una torre, di quelle che portano riflettori o pubblicità nella loro parte più alta.

Bene, credo che sia tutto. Dica? Il foglio scritto? Che dice? Sì, va bene, lo leggo...

Lettera a una foto

Lettera 4x

Signora Foto:

Lei mi scuserà, però non l'ho potuta vedere fino all'alba del 17 ottobre. No, non creda che glielo rimproveri. Capisco che, con tanta pioggia, lei abbia ritardato. Inoltre, il peso che lei porta non è per niente leggero. Sa? quando l'ho vista ho sentito un dolore qui. Lo so, io lo sapevo già che ci sono foto che fanno male, volevo solo che sapesse che lei è una di quelle.

Se andiamo alla penna del giornalista (Roberto Garduño), abbiamo più elementi per leggere lei. La ragazza, Alejandra Pineda, è studentessa della Preparatoria 5 e suo fratello, Argel, lo è della Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, entrambi sono dell'UNAM. Dopo la foto (così supponiamo dal racconto), cioè dopo i colpi dei celerini, Argel cerca di aiutare e di calmare Alejandra, "che chiedeva dei compagni: Come stanno? Li hanno picchiati? Mi fa molto male la testa, non vogliamo più repressione, vogliamo educazione gratuita". (La Jornada, 15 ottobre 1999, pag. 66).

Secondo questo giornalista ed alcune testimonianze raccolte dallo stesso periodico, gli studenti si stavano già ritirando verso la Città Universitaria quando sono stati attaccati dai celerini.

Ciò che lei dice con la sua immagine, come quello che descrivono cronache, inchieste e testimonianze, mi suggerisce qualcosa. Però, lei lo sa? Ci sono altre domande a cui non rispondono né la sua immagine, né le pagine del giornale. Allora io vorrei che lei, signora foto, mi permettesse di farle alcune domande. Va bene?

1.- Quanti anni aveva Alejandra prima del pestaggio? 17, 18? E Argel? Quanti anni hanno adesso?

2.- Se non mi inganna la vista, è vero che i celerini stanno picchiando Alejandra e Argel nel controviale del Periferico e non nella carreggiata centrale (che non è quella che dovevano "sgomberare")?

3.- I celerini che guardano verso destra nella foto, stanno guardando di là per non vedere ciò che fanno i loro compagni? O stanno proteggendo i 3 che pestano Alejandra e Argel, per evitare che arrivi qualcuno ad aiutarli? Là avanti (a destra nella foto) c'è un altro pestaggio? Gli studenti si stanno ritirando?

4.- Il governo del DF pesta Alejandra per il reato di essere sorella di Argel? Pesta Argel per il reato di soccorrere Alejandra? Li pesta entrambi per il reato di essere "ultras"? Li pesta perché le auto chiedono di poter passare? Li pesta per il silenzio che è calato da lassù in alto dopo il 4 agosto? Li pesta perché così richiedono i sondaggi? Li pesta per suscitare l'applauso di Televisa e TV Azteca? Li pesta perché sono giovani? Li pesta perché sono studenti? Li pesta perché sono universitari? Li pesta per dimostrare che il governo è deciso? Mi scusi lei, signora foto, però non capisco: perché pestano Alejandra e Argel?

5.- Le donne che si sono congratulate con Rosario Robili per essere diventata capo del Governo del DF, si sono pure congratulate per aver mandato a picchiare Alejandra? Loro, hanno inviato ad Alejandra una parola gentile? Sono state zitte? O hanno detto a se stesse "se lo merita perché è una ribelle"? Che cosa? Ah, pardon, questo lei non può saperlo...

6.- Lei, signora foto, fa vedere almeno 3 celerini che stanno picchiando lo studente. Perché solo due poliziotti sono stati fermati?

7.- Quel manganello che il celerino, all'estrema destra, porta è un'esortazione al dialogo? Una dimostrazione che il governo attuale del DF è "differente" dai precedenti? O è solo la misura della distanza che separa le parole dai fatti?

8.- Con chi parla l'uomo dalla camicia a quadri, se è un telefono cellulare quello che porta all'orecchio sinistro?

9.- L'autista dell'auto un po' indietro, e che non è visibile nella foto, starà applaudendo il pestaggio di Alejandra e Argel?

10.- Che cosa ha Alejandra sotto di lei, voglio dire, oltre al sangue? una coperta? un golfino? un foulard? una giacca?

11.- L'autista al fondo, che guarda dritto davanti a sé, c'invita a fare lo stesso? A passare di fronte alla foto di Alejandra insanguinata e di Argel caduto senza guardarli, senza guardarla?

12.- Alla pagina 69 del giornale di cui lei è in prima pagina, c'è un'altra foto (pure di Rosaura Pozos, con la didascalia: "Scena precedente allo sgombero effettuato dalla polizia nel Periferico Sud"). In questa si vede, in primo piano, un giovane, con la camicia a quadri, in ginocchio di fronte a una fila di celerini. Il giovane ha il suo zaino per terra davanti a lui e mostra ai celerini un libro. Sugli scudi dei poliziotti si può leggere chiaramente: Seguridad Pública, Granaderos. Distrito Federal. In secondo piano, una donna col cappello. Più indietro un cameraman. Al fondo, alberi e edifici. Ci sono altre domande...

12a.- Qual è il titolo del libro che il giovane mostra ai celerini?

12b.- Sta dicendo qualcosa ai celerini il giovane in ginocchio?

12c.- Non c'era scritto nel punto 3 della petizione del Consiglio Nazionale di Sciopero del movimento del 1968 (cito testualmente): "Estinzione del Corpo dei Granaderos, strumento diretto della repressione e divieto di creazione di corpi simili" (Parte de Guerra, Julio Scherer García e Carlos Monsiváis, p. 161)?

12d.- È costituzionale l'esistenza e l'operato del Corpo dei Granaderos?

Che ne dice lei? Che lo chieda all'altra foto? Bene, ha ragione lei. Mi permetta però ancora alcune domande:

Si ricorda lei che il motivo della marcia degli studenti era protestare per l'informazione che TV AZTECA e TELEVISA davano del conflitto universitario?

Se lei, signora foto, non avesse parlato, saremmo rimasti solo con la versione che i mezzi televisivi e il governo del DF avevano dato nella notte del 14 ottobre 1999, cioè che gli studenti erano gli aggressori, che la polizia intervenuta era solo femminile e che solo una studentessa era rimasta ferita ("niente di grave") perché "un veicolo l'aveva investita"?

Avevamo diritto di aspettarci che un governo capeggiato dal PRD si comportasse diversamente?

Dovevamo starcene zitti e non domandare niente?

Sa, signora foto, che lei dà ragione alla "Lettera 3 bis". Però sapesse quanto avrei desiderato che non avesse dato ragione a quella lettera, ma a quelli che, di fronte a uno specchio vacuo, si vantano di essere "orgogliosi funzionari di un governo democratico come quello del DF".

E sa una cosa? Ogni volta che vedo lei, signora foto, non so perché, però mi viene una voglia irresistibile di prendere una pietra e di buttarla lontano e di strappare per sempre quel silenzio che lassù, complice, tace.

Che cosa? Sì, se ne vada pure, signora foto, continui il suo cammino e continui a domandare. Così tanto scomoda lei, signora foto, così tanto petulante.

Bene. Saluti, e credo che Alejandra abbia sotto di lei una bandiera. E inoltre credo che si sia alzata insieme a lei.

Il Sup accumulando domande come se di pioggia si trattasse


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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