il manifesto 20 Agosto 1999 [da "La Jornada" del 17 agosto]

CHIAPAS

Militarizzazione e petrolio

ANDRES BARREDA *

Negli ultimi cinque anni e mezzo, a partire dall'insurrezione zapatista in Chiapas, diversi reportage sulla stampa nazionale hanno parlato di importanti riserve petrolifere dentro la Selva Lacandona. Questo, in contrasto con gli scarsi rapporti di Pemex (la compagnia petrolifera di stato, ndr.) e anche di certe istituzioni nordamericane di esplorazione geologica, che riconoscono sì la presenza di petrolio nella Selva Maya (in Chiapas, Guatemala e Belize), ma in quantità assai modesta. Ciononostante, numerose fonti e dati parlano della presenza nella regione di giacimenti petroliferi giganti, in qualche caso super-giganti.

Chiarire questo punto è essenziale, per il fatto che la desiderata privatizzazione dei giacimenti messicani implica l'espulsione violenta di decine di migliaia di campesinos indigeni dalle loro terre. La privatizzazione di Pemex, parzialmente realizzata, ma segretamente e sistematicamente promossa dal governo federale, apertamente offerta al capitale mondiale dagli aspiranti candidati presidenziali Vicente Fox e Roberto Madrazo (Financial Times, 9 agosto 1999), non solo comporta consegnare in mano straniera la principale fonte di ricchezza e la sovranità nazionale, ma anche l'espulsione violenta dei messicani che abitano sopra i giacimenti petroliferi.

Pemex riconosce in alcuni documenti due vaste e importanti regioni petrolifere, benché risulti anche una persistente ricerca nel Prospecto San Fernando. Ammissioni alle quali vanno aggiunte le azzeccate previsioni fatte, tra il 1953 e il 1986, dalle brigate di prospezione di Pemex nella Selva Lacandona. In corrispondenza con questi dati, o aggiungendo nuove informazioni, vi sono i rapporti di Oil and Gas Journal, del Us Geological Survey, del General Accounting Service, così come di George Baker. Vi è poi un documento di lavoro di Ecosur, destinato a promuovere la gestione privata e trinazionale della conca del fiume Usumacinta, operazione intitolata Progetto Salinas, nel quale si descrivono con precisione sette enormi giacimenti di petrolio, che non sempre coincidono con i rapporti precedenti. E a tutto questo vanno aggiunte le numerose testimonianze di contadini che hanno lavorato direttamente per le compagnie straniere che si sono dedicate all'esplorazione, così come l'intensa attività di esplorazione e sfruttamento effettuate da imprese transnazionali durante gli ultimi venti anni alla frontiera del Guatemala con il Messico.

Una mappa di tutte queste aree petrolifere potrebbe mostrare come centinaia di comunità indigene della selva e numerosi municipi autonomi (zapatisti, ndr.) siano ubicati sopra o molto vicini ai giacimenti o nuovi pozzi petroliferi. Ma il Valle Amador, che si trova a nord del lago Miramar, risulta esemplare non solo per il suo petrolio. Per la Cfe (sindacato degli elettricisti, ndr.) è anche uno dei 74 punti dello stato del Chiapas nei quali si possono costruire nuovi impianti idroelettrici privatizzabili, mentre secondo Semarnap (ministero federale dell'ambiente e delle risorse naturali, ndr.) è una delle porte d'ingresso alla strategica Reserva de la Biosfera de Montes Azules, curiosamente amministrata da Conservation International, che è oggi entusiasta promotrice della privatizzazione delle aree naturali protette.

Mentre i precandidati del partito ufficiale (il Pri, ndr.) si divorano reciprocamente con accanimento e Vicente Fox (candidato del Pan, destra, alle presidenziali del 2000, ndr.) si dedica a camuffare le sue scomode proposte di vendita dei giacimenti e/o di Pemex, si sviluppa l'attuale operazione militare nella selva. Oltre a proteggere la futura privatizzazione dei giacimenti e a punire l'Ezln per la solidarietà che offre a diverse lotte sociali, l'offensiva militare ha lo scopo di aprire una nuova crisi politica che sposti momentaneamente l'attenzione dalla grave rottura che oggi minaccia il Pri, sebbene possa servire anche ad aprire un nuovo negoziato tra ministeri (e gruppi di interesse nazionali e transnazionali) attorno agli spazi di sfruttamento petrolifero e di conservazione della biodiversità della selva.

L'ingiustificata nuova occupazione militare del nord e nord-est della selva, così come dei Montes Azules, destinata ad aprire molte strade che attraversino l'ultimo settore intatto della nostra biodiversità, ben potrebbe servire a Pemex (e a tutte le imprese petrolifere che potrebbero venire al suo seguito) per rinegoziare con Semarnap lo sfruttamento dei giacimenti sconosciuti negli anni ottanta, quando si stabilirono gli attuali confini delle aree protette e i termini dell'attività petrolifera.

Il problema nasce dal fatto che lo sfruttamento antiecologico del petrolio - in modo analogo a quel che cinque anni fa rappresentarono gli allevatori di bestiame del Chiapas - corrisponde a un aggressivo settore del capitale mondiale oggi in visibile decadenza, mentre la biodiversità (imparentata con l'ingegneria genetica) rappresenta l'avanguardia e il futuro del capitale mondiale.

Complesso mosaico di interessi geoeconomici e politici strategici che, per quanto contraddittori tra di loro, sembrano darsi la mano al momento di esigere l'espulsione della popolazione indigena.

* docente alla Unam


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