La Jornada 17 giugno 1999
PARAMILITARISMO E CONTROINSURREZIONE IN MESSICO
Gilberto López y Rivas
In una delle fasi della guerra di controinsurrezione, quando si cerca di evitare il discredito dei militari o quando questi sono incapaci di annientare i movimenti armati, i governi destinano le proprie risorse alla formazione di una quarta forza armata irregolare, diversa dall'Esercito, dall'Armata o dalla Forza Aerea, che possa esercitare la violenza statale senza le limitazioni imposte dalla legge. Questo è stato il caso del Battaglione Olimpia, degli Halcones e della Brigata Bianca negli anni ‘70 e questo sembra essere il caso dei gruppi paramilitari presenti nella zona di conflitto del Chiapas.
Il paramilitarismo è riconosciuto nel lessico di tutti gli eserciti, anche in quello messicano. Secondo il generale di brigata in pensione Leopoldo Martines Caraza, nel suo libro "Lessico storico militare" pubblicato dalla Segreteria della Difesa Nazionale, il paramilitare "ha organizzazione o metodologie simili ai militari, senza esserlo".
John Quik, nel suo Dizionario delle armi e termini militari, è più preciso: considera i paramilitari come "quei gruppi che sono diversi dalle forze armate regolari di qualsiasi paese o Stato ma che hanno la stessa organizzazione, equipaggiamento, addestramento o le stesse missioni delle forze armate".
In ogni caso, i gruppi paramilitari collaborano ai fini dello Stato, ma senza far parte dell'amministrazione pubblica. Non si definiscono quindi solo per la similitudine delle missioni o dell'organizzazione, bensì perché danno origine ad una delegazione del potere punitivo dello Stato.
Il vincolo statale è forse l'aspetto più rilevante dell'esperienza messicana: i gruppi paramilitari ai quali lo Stato delega il compimento di missioni delle Forze Armate Regolari, senza che ciò implichi che riconosca la loro esistenza come parte del monopolio della violenza statale.
A partire da questa approssimazione, i gruppi paramilitari agiscono nell'impunità perché così conviene agli interessi dello Stato. Il paramilitare consiste quindi nell'esercizio illegale ed impune della violenza dello Stato e nell'occultamento delle origini di questa violenza.
Esistono vittime, fatti di sangue, guerre, omicidi, ma nessun governo messicano non ha mai riconosciuto l'esistenza di gruppi paramilitari.
Così come nelle guerre interne del Centroamerica, i paramilitari in Chiapas hanno seminato il terrore nelle comunità indigene che simpatizzano con l'EZLN, con omicidi, imboscate, incendi di villaggi, minacce di morte, espulsioni, furto di bestiame, sequestro e tortura di miliziani zapatisti o delle cosiddette basi di appoggio.
Le denunce presentate da indigeni dal 1995 ai gruppi per i Diritti Umani che operano in Chiapas insistono nel denunciare che i paramilitari agiscono in coordinamento con i corpi di seguridad publica, ricevono appoggio ed addestramento dall'Esercito Messicano e che, all'occasione, si uniscono ai contingenti di soldati e polizia che controllano i villaggi del nord, Las Cañadas e Los Altos del Chiapas.
È evidente che i governi federali e statali confidavano che Paz y Justicia e Los Chinchulines potessero ottenere il controllo territoriale della regione a nord e rendessero non necessario l'intervento dell'Esercito per sostenere il combattimento diretto con le basi di appoggio zapatiste.
Attualmente ci sono segnali di attrito tra i paramilitari. Le recenti mobilitazioni dell'Esercito Messicano indicano che il governo federale considera necessario aumentare l'intensità della mobilitazione militare nelle zone ad elevata presenza politica zapatista. I paramilitari non gli bastano e, apparentemente, hanno fallito la loro missione.
Le organizzazioni non governative (ONG) chiapaneche riportano che le basi paramilitari vivono la stessa "fame" degli zapatisti e che sono scontenti perché i loro leaders, come Samuel Sanchez, dirigente di Paz y Justicia, sta sviluppando la sua catena alberghiera e turistica nel municipio di Tila, mentre gli indigeni choles continuano nella stessa povertà.
A Tila è nata un'associazione di ex militanti di Paz y Justicia. Inoltre, i paramilitari senza terra hanno realizzato delle occupazioni di poderi nel nord dello stato.
Certamente questa debolezza dei gruppi paramilitari non significa che abbiano abbassato il livello di violenza. I gruppi armati priisti sono entrati in una maggiore clandestinità e mantengono costante il potenziale di violenza, per lo meno in Chenalho.
Sono proliferate sigle o nomi di altri gruppi disponibili alla guerra contro l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e le loro comunità di appoggio: Los Tomates a Bochil, Los Chentes a Tuxtla Gutiérrez, Los Quintos, nel municipio di Venustiano Carranza, Los Aguilares in Bachajón, Los Puñales a Atenango del Valle, Teopisca e Comitán.
La situazione dei 21 mila 159 indigeni sfollati per la violenza paramilitare peggiora e persistono i segnali di violenza. Comunità, villaggi indigeni, reti sociali della regione continuano ad essere sottoposte ad una intensa pressione. Le comunità denunciano minacce di nuovi massacri.
Sarebbe pericoloso ed irresponsabile pensare che, essendo questo un momento elettorale, il Chiapas possa aspettare fino a dopo i comizi presidenziali. Al contrario, l'approssimarsi delle elezioni rarefà tutti gli ambiti che possono dar luogo a catastrofi umanitarie come quella di Acteal.
Nonostante gli sforzi per sminuire l'importanza del conflitto armato e nasconderlo dietro le quinte delle campagne politiche per le elezioni presidenziali, le crisi nello stato del Chiapas tendono ad emergere un'altra volta, ma è importante che ciò avvenga in una logica di pace con dignità e non nel terrore e nella guerra.
(tradotto dal Comitato Chiapas "capitana Maribel" - Bergamo e-mail: maribel@uninetcom.it )
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