La Jornada 17 febbraio 1999

GLI ACCORDI DI SAN ANDRES: TRE ANNI DI INADEMPIMENTI

José Gil Olmos

Sono trascorsi tre anni dalla firma degli accordi di San Andrés su diritti e cultura indigeni, che non sono stati rispettati. Le conseguenze sono varie e vanno dalla rottura del dialogo (30 mesi fa) alla scomparsa della Commissione Nazionale di Intermediazione, fino alla morte di almeno 136 persone per mano dei gruppi paramilitari, lo sfollamento di 15 mila indigeni che sono fuggiti in montagna per salvarsi da un altro massacro come quello di Acteal, o all'uscita obbligata dal paese di 300 stranieri che si trovavano nella zona del conflitto.

Gli accordi su diritti e cultura indigeni firmati il 16 febbraio del 1996 nella casa municipale di San Andrés Sacamch'en furono considerati in quel momento, un passo decisivo per la firma della pace in Chiapas; invece sono poi diventati un conto in sospeso ed il loro adempimento è ora la principale condizione per riprendere il processo di pace.

Per arrivare alla firma di questi primi accordi, l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale ed il governo federale negoziarono per 25 mesi a partire dall'apparizione pubblica del gruppo ribelle. Al raggiungimento del primo degli accordi, il governo federale pensò che il cammino per firmare la pace era spianato e per questo quel venerdì in cui si firmarono i documenti, la lotta con gli zapatisti fu quella per lasciarsi fotografare per confermare che la pace era in gestazione.

In quattro documenti, i nomi dei comandanti David, Tacho e Zebedeo apparivano accanto a quelli di Marco Antonio Bernal e Jorge del Valle, inviati governativi. La "foto storica" con la quale si pretendeva di vendere la concretizzazione del processo di pace non si riuscì a scattare quel mezzogiorno.

L'atto fu privato, per quanto si spingessero i 17 comandanti dell'EZLN a renderlo pubblico. All'uscita dalla sede del dialogo per salutare i centinaia di indigeni che aspettavano nella piazza del villaggio tzotzil, il comandante David spiegò perché non aveva accettato di farsi fotografare insieme ai rappresentati governativi: "Siamo arrivati ad un piccolo accordo; non lasciamoci ingannare che si sia firmata la pace. Se non accettiamo di firmare apertamente e pubblicamente è perché abbiamo le nostre ragioni. (...) Hanno sempre pagato con il tradimento la nostra lotta. Non possiamo parlare di pace se nei nostri villaggi ci sono centinaia di militari con i loro carri, blindati, aerei. Questa non è la pace, è segno di guerra", sentenziò prima di esigere dal governo una dimostrazione chiara di distensione.

La situazione non cambiò. Gli accordi di San Andrés durarono solo sette mesi ed il loro inadempimento diede luogo a nuove tappe nel conflitto. La prima il 2 settembre dello stesso anno, quando l'EZLN dichiarò sospeso il dialogo in risposta alla decisione del presidente Ernesto Zedillo di non accettare l'iniziativa della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) elaborata sulla base degli accordi di San Andrés. L'Esecutivo federale modificò questa iniziativa nel gennaio del 1997 ed il 14 marzo del 1998 inviò una sua iniziativa al Senato della Repubblica. Il segretario di Governo, Francisco Labastida, dichiarò quindi che con questo fatto si risolveva una delle cause del conflitto.

A partire dalla sospensione del dialogo di pace, il tavolo dei negoziati si ruppe ed il panorama del conflitto armato in Chiapas si inasprì: prese il nome di "guerra di bassa intensità" e diede avvio ad una spirale di violenza che ha provocato la morte di almeno 136 persone per mano di dieci gruppi paramilitari identificati nel documento "Chiapas, la guerra in corso" elaborato dal Centro dei Diritti Umani Miguel Agustin Pro Juarez, pubblicato il febbraio scorso, ed anche nella ricerca realizzata dal Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, dal titolo "La legalità dell'ingiustizia".

LA NUOVA FACCIA DEL CONFLITTO

La sospensione del dialogo tra l'EZLN ed il governo federale, il 2 settembre 1996, a causa dell'inadempimento degli accordi di San Andrés, ha spalancato le porte alla violenza su metà del territorio chiapaneco ed ha portato il governo ad inasprire la sua politica.

La Conai, capeggiata dal vescovo Samuel Ruiz García, si è dissolta dopo una campagna denigratoria contro la diocesi di San Cristóbal, con la partecipazione dell'Esecutivo federale. In quel periodo sono stati espulsi dal paese 300 stranieri che si trovavano nella zona del conflitto (87 per essere intervenuti nella politica nazionale) ed il governo ha presentato la sua nuova strategia per il Chiapas, in cui riduce il conflitto a soli quattro municipi.

Alla rinuncia alla Conai, Samuel Ruiz sintetizzò le aggressioni contro la diocesi di San Cristóbal: "Espulsione di sette sacerdoti con false accuse, praticamente il rifiuto di residenza agli agenti pastorali stranieri, arresto di quattro sacerdoti falsamente accusati ed in aperta violazione dei loro diritti umani, chiusura di circa 40 chiese (alcune occupate dall'Esercito), ordini di cattura per numerosi sacerdoti, religiose e missionari, pressioni esercitate su vari campesinos per far dire loro che la diocesi consegna armi alle comunità, veline a vari mezzi di comunicazione perché travisino le notizie, generazione di un clima di linciaggio, profanazione del santissimo sacramento in varie chiese da parte della polizia di Sicurezza Pubblica".

Il massacro di 45 indigeni ad Acteal per mano dei gruppi paramilitari di Chenalhó, il 22 dicembre 1997, è stato il riflesso fedele di questa situazione di violenza, come lo spostamento forzato di 15 mila indigeni in Los Altos e nel Nord del Chiapas, secondo dati di organizzazioni non governative, o di 7 mila secondo cifre ufficiali.

La mancanza di una mediazione ha avuto effetti immediati in 25 municipi dove ci sono comunità indigene simpatizzanti dell'EZLN: i gruppi paramilitari hanno commesso omicidi, sequestri e detenzioni illegali, hanno ferito e minacciato tutti quelli che rifiutavano gli aiuti ufficiali o esprimevano simpatia per il gruppo ribelle.

Così, parallelamente agli sforzi che la Conai e la Cocopa realizzavano per riprendere il dialogo, in metà del territorio del Chiapas i gruppi paramilitari hanno cominciato a realizzare azioni di intimidazione che gli organismi dei diritti umani hanno chiamato "guerra di bassa intensità".

Secondo il documento del Centro per i Diritti Umani Miguel Agustín Pro, questi gruppi hanno cominciato ad operare dal 1993, ma hanno intensificato le loro attività a partire dal 1996 nei municipi di Chenalhó, Larráinzar, Chamula, Pantelhó, Yajalón, Ocosingo, Venustiano Carranza, Tila, Sabanilla, Tumbalá, Salto de Agua, Palenque, Las Margaritas, Oxchuc, Huixtán, Altamirano, Sitalá, San Juan Cancuc, Simojovel, Huitiupan, El Bosque, Frontera Comalapa e Pueblo Nuevo Solistahuacán.

I principali gruppi armati hanno dato al Chiapas una nuova geografia poliziesca-militare, perché si sono integrati vicino alle posizioni militari occupate dal febbraio del 1995, quando le truppe entrarono nella Selva Lacandona, in Los Altos e nella zona Nord, alla ricerca dei capi dell'EZLN.

Diversi documenti concordano che i principali gruppi paramilitari in azione sono Los Chinchulines, Máscara Roja, Primera Fuerza, Alianza San Bartolomé, Fuerzas Armadas del Pueblo, Paz y Justicia, Movimiento Indígena Revolucionario Antizapatista, Degolladores e Thomas Munzer.

Ne sono stati rilevati altri quattro che non hanno nome.

Il massacro del 22 dicembre 1997 ad Acteal non solo ha scoperto la nuova faccia del conflitto chiapaneco, ma ha anche permesso all'Esercito Messicano di occupare nuove posizioni e di estendersi ulteriormente rispetto al dicembre del 1994, in risposta all'ampliamento della zona di influenza zapatista a 38 "municipi ribelli" e al febbraio del 1995 quando con l'operazione Fuerza de Tarea Arco Iris si era tentato di accerchiare e catturare la dirigenza ribelle nelle valli della Selva Lacandona.

Con la scusa di applicare la Legge Federale su Armi da Fuoco ed Esplosivi, a partire dalla fine del 1997 i militari hanno installato ancora altri posti di blocco, hanno ripreso le incursioni nelle comunità zapatiste ed hanno proseguito le ronde di vigilanza aerea e terrestre che erano state sospese.

In via ufficiosa si è riportata la presenza di 40 mila soldati nella zona del conflitto in Chiapas. Prima del massacro di 45 indigeni ad Acteal, le truppe erano concentrate a San Cristóbal de las Casas, Comitán, Altamirano, Ocosingo, Las Margaritas, Larráinzar, Palenque e Sabanilla. Poi si sono estese a El Bosque, Chenalhó, Pantelhó, Simojovel, Huitiupan, Bachajón, Mitontic, Sitalá, Nuevo Solistahuacán, Socoltenango, Tecpatán, Jitotol, Tecpatán y Ostuacan. Cioè, coprono quasi la metà del Chiapas.


(tradotto dal Comitato Chiapas "capitana Maribel" - Bergamo)



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