Masiosare, 17 gennaio 1999 - Andrés Aubry e Angélica Inda
GLI ANNI DI SAMUEL E I NOSTRI: Le decadi di Samuel Ruiz
"Già nel XVI secolo, il giudice che vigilava sui destini politici del Chiapas fermò De Las Casas per strada per dirgli "Siete un furfante, un malvagio, un cattivo frate, un cattivo vescovo e meritate di essere punito". Molti, nel 1999 pensano la stessa cosa di don Samuel; ma il peso umano, sociale e morale del vescovo del Chiapas ha oggi, come ieri, più credibilità dei nervi dei suoi detrattori".
I. Quaranta anni del mondo
Il 25 gennaio - nei giorni della visita del Papa - si compirà un altro anniversario per don Samuel. Alla fine del 1999 compirà 75 anni, 40 dei quali come vescovo del Chiapas.
Quando Samuel Ruiz diventò vescovo, nel 1960, il secolo cominciava a riprendersi dal dopoguerra. Tra i principali protagonisti di questa tappa, solo Mao Tse Tung - fautore della rivoluzione culturale alla fine del decennio - in Cina e Charles de Gaulle, in Francia, continuavano ad occupare un qualche ruolo storico. Gli altri grandi si lanciavano verso tempi nuovi. Nikita Sergeievich Kruchev destalinizzava i paesi dell'Est e rivaleggiava in innovazioni con Kennedy ed il suo fallimentare "primo decennio di sviluppo". La nostra grande patria dapprima fu scossa dalla comparsa di Fidel Castro a Cuba, poi addomesticata con i principi della educazione liberatrice di Paulo Freire. La Chiesa si rinnovava nel mondo con Giovanni XXIII, il suo Concilio Vaticano II e la conferenza della Celam a Medellín. Alla fine del decennio, l'universale 1968 cambiava la radice del pensiero culturale, sociale e politico. I morti del decennio - Camilo Torres, poi il Che ed infine Martín Luther King - ora non sembrano le vittime, ma i fondatori o i simboli delle lotte che segneranno il secolo.
In una foto del 1962, don Samuel, sorprendentemente giovane, contrasta con i venerabili volti degli altri 2 mila 500 padri del Concilio Vaticano II. In questo incontro impara, brilla a Medellín, in Messico prende l'iniziativa dei primi strumenti conciliari, importa e forma sociologi in Chiapas, è il favorito del nunzio Raimundi.
Il decennio seguente fu una doccia fredda: la guerra in Vietnam continuava in maniera anacronistica, le dittature militari del continente ed i movimenti di liberazione nazionali - come quello di Lucio Cabaña in Messico - davano inizio ad una nuova guerra che non è ancora finita dopo 30 anni: quella di bassa intensità. In questo contesto, la coscienza di don Samuel, maturata nelle circostanze del decennio precedente, scelse la sua parte. Scrupoloso, nel 1979 fece valere collegialmente i suoi primi 20 nel gruppo episcopale della Celam (catechesi Exodo; incontro di Xicotepec, che diede la parola agli indigeni nella Chiesa; Congresso del 1974). Quando uscì dalla messa di chiusura dell'avvenimento, di fronte a vescovi di mezzo mondo, aveva un'arma puntata. Questi anni avevano seminato speranze pacifiche. I fucili fioriti della "rivoluzione dei garofani" senza spari la fecero finita con la dittatura in Portogallo; furono anche gli anni finali del franchismo.
Il decennio degli anni ottanta - quello perso - iniziò con due anni di ritardo. Fu il decennio del debito estero impagabile e del fallimento del terzo decennio dello sviluppo, ma anche quello della nascita della società civile dopo il terremoto a Città del Messico; quello dei contra in Nicaragua, ma anche di Contadora e di Esquipulas; quello di Reagan, ma anche di Gorbachov con l'aumento improvviso, ancora timido, di anelo democratico (il cui simbolo per Giovanni Paolo II sarà il cambiamento in Polonia) ed un iniziale disarmo.
Per don Samuel questi anni furono quelli dei rifugiati guatemaltechi in Chiapas, quelli dello sviluppo alternativo di gruppi produttivi indipendenti, quelli della società civile e delle organizzazioni non governative (Ong).
L'attuale decennio anticipò di un anno, con la caduta del muro di Berlino nel 1989. Nonostante l'Unione Europea turbi il panorama di routine precedente, è quello delle guerre etniche nel mondo intero. Gli anni del neoliberismo, del TLC, dello squilibrio del sistema finanziario mondiale, della globalizzazione del mercato, dell'insicurezza del mercato, dell'insicurezza pubblica, della militarizzazione e paramilitarizzazione (nel continente ed in Africa) e quello dello Ya basta! del 1994. Don Samuel rispose con i diritti umani, con la sua mediazione nel conflitto, con un lavoro di ricomposizione comunitario e di pace, non solo come fine della guerra, ma come processo: frutto della giustizia per la transizione verso una nuova società.
Le circostanze in cui vive don Samuel sono eccezionali: prima del suo incarico alla diocesi, il pianeta era occupato con la guerra mondiale. Quando assume l'arcivescovado un altro mondo sta forgiando il secolo. Prima che assumesse l'incarico, il Chiapas poteva essere un isola, un satellite ai confini; ma poi diventa la cassa di risonanza dei problemi mondiali, in maniera tale che il vescovo, come il suo predecessore De Las Casas, salta dal suolo della selva ai viaggi intercontinentali, passa dal mulo all'aereo, va dove si generano le questioni mondiali. Nei drastici cambiamenti di questi tempi in mutamento, che ci hanno costruito e desolato, non offre né prende iniziative; risponde - in modo creativo - alle situazioni. Ora non resta che puntare la lente d'ingrandimento sul Chiapas: che cosa ne è stato dello Stato - e del vescovo - in quegli stessi 40 anni?
II. Quaranta anni in Chiapas
Nel 1959 il Chiapas superava appena il milione di abitanti. Non aveva altra fonte idroelettrica che la diga di Bombaná e non c'erano ancora né gas né petrolio. La Selva compariva sulle mappe come "la terra desolata dei lacandoni". Quaranta anni dopo, questo Chiapas non esiste più.
In 40 anni il Chiapas è divenuto irriconoscibile. Ieri era amministrato come riserva indigena di mano d'opera, di cui oggi non si sa più che farne. Ieri la sua unica ricchezza era la campagna, oggi è uno stato che si urbanizza male senza riuscire a svuotare la campagna. Si sono create nuove coltivazioni, ma si espelle o "scaccia" la gente che lavorava la terra. L'unica cosa che non è cambiata è la sua povertà.
Dal punto di vista politico, il vescovo del Chiapas è stato l'unico interlocutore ecclesiastico di 13 governatori in 40 anni. E' stato affiancato, dal 1995 da Raúl Vera, che ha avuto a che fare con tre dei sei governatori susseguitisi negli ultimi cinque anni. La stabilità e la continuità diocesana contrastano con la mobilità e la conseguente improvvisazione statale.
Dal punto di vista demografico, la popolazione del Chiapas si è moltiplicata per quattro; quella di San Cristóbal per cinque e quella di Tuxtla Gutiérrez per dieci. Con lungimiranza, don Samuel nel 1965 si separò dalla diocesi di Tuxtla (la capitale oggi conta 440.000 abitanti) quando ancora non era altro che una modesta città di meno di 45.000 abitanti. La Selva, "desolata" nel '59, è satura dal 1982.
Dal punto di vista economico, il Chiapas è diventano, in 40 anni, un emporio energetico. Ma la sua elettricità (che viene trasmessa a Puebla e in Guatemala, che - secondo stime del 1990 - lascia senza luce un terzo delle case sul suo territorio). Petrolio e gas non hanno creato né briciole di ricchezza né d'industrializzazione. Lo stato continua ad essere potenzialmente un paradiso agricolo, ma anche un paese affamato. Il titolo di un classico dice tutto: Chiapas: paese ricco, gente povera. Come stupirsi della "opzione preferenziale per il povero" di don Samuel?
Dal punto di vista sociale, il vescovo scopre negli anni '60 che la Selva è il nuovo Chiapas e l'alternativa allo scandaloso sistema d'inganni che regola il debito dei lavoratori nelle grandi proprietà terriere. Don Samuel cammina senza tregua per la Selva per accompagnare i nuovi immigranti. Lo stato apriva quest'ultima frontiera agricola ai senza terra, ma - 40 anni dopo - continuano ad esserci gli stessi problemi agrari, ora su nuovi terreni.
Durante 40 anni, il governo improvvisa soluzioni: prima il caffè, ma poi il prezzo crolla; quindi opta per l'allevamento con più mucche che gente, ma il chiapaneco deve sopravvivere senza carne e senza latte. Infine, la militarizzazione (a causa dei rifugiati guatemaltechi negli anni '80 e per la guerra negli anni '90) si presenta come ultima soluzione, senza risolvere né la sicurezza né la fame.
Arrivò il 1992, quello dei 500 anni. Il vescovo consacrò il risveglio indigeno. Ignorato fino al grido sollevatosi nel 1994, don Samuel ora conferma che le risoluzioni e le denuncie del vecchio Congresso Indigeno, realizzato nel 1974, erano giuste.
Il secolo si chiude nel 1998 con la catastrofe nel Soconusco, la regione paragonata al Chiapas per essere la più ricca, ponendo l'ultimo tassello al collasso del modello chiapaneco di sviluppo.
Un predecessore di don Samuel - il vescovo Francisco Polanco - denunciando nel 1777 questi stessi disastri nello stesso luogo, fu censurato dall'alcalde maggiore, che gli diceva che nello stato non si poteva controllare la meteorologia. Il vescovo gli rispose: "E' una causa, ma bisogna ricercare la causa delle cause in un governo che vive del sudore e del sangue degli indios". La risposta ufficiale arrivò negli stessi termini da un altro governatore, Patrocinio González Garrido: il vescovo è un "rivoltoso" ed un "sobillatore di indios".
Già nel XVI secolo, il giudice che vigilava sui destini politici del Chiapas fermò De Las Casas per strada per dirgli "Siete un furfante, un malvagio, un cattivo frate, un cattivo vescovo e meritate di essere punito". Molti, nel 1999 pensano la stessa cosa di don Samuel; ma il peso umano, sociale e morale del vescovo del Chiapas ha oggi, come ieri, più credibilità dei nervi dei suoi detrattori.
Nel 1960, prima del Concilio Vaticano II, nella sua prima lettera pastorale, don Samuel denunciava la perversità intrinseca del comunismo. 40 anni dopo, lo accusano di inculcare anacronisticamente il comunismo con la sua, intrinseca, teologia della liberazione.
Secondo Eduardo Galeano, noi "siamo quello che facciamo e soprattutto quello che facciamo per cambiare quello che siamo". Quello che ha fatto don Samuel in 40 anni lo trasforma in patrimonio conflittivo dei chiapanechi (in un "segno di contraddizione", come recita il Vangelo), perché i conflitti fanno pagare care le scelte sbagliate. Quello che ha osato fare "l'uomo, il vescovo e il punito" (per riprendere le parole del giudice) apre il passo alla storia, quella dei tempi di mutamento del XX secolo: i nostri.
(tradotto dal Comitato Chiapas "capitana Maribel" - Bergamo)
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