La Jornada 14 settembre '99

Nuovo incontro con zapatisti nella selva di cemento

Restituiscono la visita a studenti e maestri della ENAH

Ribadiscono il loro rifiuto dell'Esercito

Hermann Bellinghausen ¤ Provenienti da Amador Hernández e da San José la Nuova Speranza, da ieri si trovano in Città del Messico cinque delegati, basi d'appoggio dell'EZLN. Tzeltales e tojolabales che nelle ultime settimane sono stati aggrediti dall'Esercito nelle loro comunità. A San José, due contadini erano stati feriti da armi da fuoco.

Luisa, eloquente e giovane come il pubblico che la ascoltava ieri nella Scuola Nazionale di Antropología e Storia (ENAH), ha affermato: "Non vogliamo soldati nella comunità. Abbiamo detto pacificamente loro che se ne andassero, che non li vogliamo lì. Vengono a distruggere la vita degli indigeni, non solo in Amador Hernández, ma in tutte le comunità. Abbiamo detto loro che si ritirassero. E continuiamo".

Proseguendo, Veronica ha aggiunto: "Purtroppo non ci ascoltano. Abbiamo detto la nostra parola su ciò che vogliamo molte volte. Il denaro che ricevono è per uccidere, diciamo loro, e non comprendono. I generali che sono lì non si lasciano vedere, non vogliono che diciamo loro la nostra parola".

Loro sono due delle centinaia di donne che in Amador e in San José hanno affrontato faccia a faccia i soldati, hanno chiesto con le parole che si ritirino e hanno resistito alle aggressioni con bastoni, pietre e mani. Letteralmente, alla porta delle loro case.

"Non vogliamo che ci vengono a violentare ­ ha proseguito Veronica ­, meglio morire e lottare che morire violentate. Meglio per il nostro paese, per il diritto". Ed ha accusato: "In questi sei anni che Zedillo è alla presidenza della Repubblica, non ha fatto niente".


Dal fango all'asfalto

La delegazione zapatista è stata ieri nella ENAH, restituendo così la visita che un mese fa hanno fatto studenti e insegnanti a La Realidad ed a Amador Hernández.

Soprattutto l'incontro in Amador Hernández, che è avvenuto in condizioni drammatiche e inaspettate. I giovani sono arrivati in quella comunità nella selva due giorni dopo che l'Esercito aveva invaso le terre ejidali e chiuso il passaggio per la sterrata, che è il principale accesso a questa remota località.

Da quell'incontro nel fango, a questo nell'asfalto, le basi d'appoggio dell'EZLN e la comunità della ENAH hanno tirato fuori insieme alcune conclusioni.

Gabriel (e suo figlio Pedro), Marín, Luisa e Veronica hanno osservato una mostra fotografica sugli avvenimenti in Amador Hernández, montata dagli studenti in un atrio della ENAH.

Hanno visto nelle foto quello che si sono lasciati dietro nel loro paese: il cordone dei poliziotti militari, il muro di filo spinato, gli elicotteri che si abbassano sui campi di mais, le manifestazioni quotidiane sul torrente di fronte al blocco militare.

Decine di giovani riuniti nell'auditorio Román Ananas Chan hanno condiviso con quegli indigeni zapatisti il battesimo dei gas. Adesso suonano, passano diapositive e li ascoltano.

Marín ha parlato, con dura schiettezza, della morte: "Morire, sì, tutti non moriremo. Lo sappiamo. Può essere di diarrea, di fame, per un proiettile dell'Esercito Messicano. Però se viviamo un'ora o un giorno in più, una settimana o un anno, dobbiamo vivere lottando. E così è dal primo giorno in cui abbiamo iniziato la nostra lotta".

Luisa ha concluso decisa: "Il governo vuole solo farla finita con la gente indigena".


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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