RUIZ UN VESCOVO NELLA RIVOLUZIONE

di ALFIO NICOTRA da "Liberazione" 3/11/1999

Samuel Ruiz lascia, per raggiunti limiti di età, la diocesi di San Cristobal de Las Casas.

Quando vi arrivò, 40 anni fa, era il più giovane vescovo del Messico.

Fu scelto dalla gerarchia ecclesiastica per il suo orientamento conservatore.

Figlio di una famiglia agiata della borghesia messicana a Samuel Ruiz Garcia era stato affidato un compito semplice: mantenere lo status quo.

Tutto appariva inamovibile in una terra ricca di foreste, pascoli, corsi di acqua e giacimenti di preziosi minerali.

Quelli che stavano di "sopra"- i terratenientes ed i grandi allevatori - avrebbero continuato a starci in eterno con la benedizione divina.

Quelli che stavano di "sotto", la moltitudine degli indios e dei campesinos, avrebbero continuato a lavorare come schiavi, morendo stremati nei campi con la zappa tra le mani ed il santino della Madonna di "Guadalupe" nella tasca sdrucita dei pantaloni.

Il matrimonio perverso tra la spada e la croce qui, come ai tempi della conquista, si rinnovava ogni giorno contro ogni tentativo di emancipazione e di riscatto delle popolazioni indigene.

Samuel Ruiz Garcia passa i primi mesi del suo mandato pastorale da un pranzo all'altro, invitato a rendere gli onori di casa nelle dimore dei potenti, servito a tavola da colorate indigene silenziose, quasi non avessero il dono divino della parola.

Il giovane Samuel aveva però occhi per vedere l'immane miseria dei molti sulla quale si fondava l'invereconda ricchezza dei pochi.

Aveva orecchie per ascoltare quelle donne mute ma che in verità erano in grado di parlare una babele di lingue.

Vedendo ed ascoltando don Samuel venne convertito dai poveri.

Scelse di stare con quelli di "sotto".

All'improvviso.

Con naturalezza ruppe il perverso legame tra la Chiesa e la spada.

Era la Chiesa che doveva genuflettersi ad una miriade di culture sagge ed antiche, rispettose della terra e dell'uomo, che parlavano al cuore indigeno della montagna e che resistevano alla cruda assimilazione al pensiero unico dell'uomo bianco.

Vietò ai suoi catechisti di insegnare lo spagnolo, la lingua degli oppressori, se prima non avessero loro imparato la lingua di quei villaggi.

Recitò messe nei pueblos della selva imparando umilmente idiomi, riti e tradizioni di quei popoli.

Il Concilio Vaticano II lui lo fece così, incarnandolo nella grande dignità di civiltà millenarie, attualizzandolo nel dolore e nella speranza di una moltitudine di senza volto e voce.

Il messaggio evangelico - portato di casa in casa da un esercito di 5mila catechisti - scavava nella coscienza, liberava l'anima dall'idea dell'ineluttabilità dell'essere schiavi.

Si gettava il seme della disubbidienza alle ingiustizie.

Quando il 1 Gennaio 1994 , migliaia di volti coperti da un passamontagna, invasero armati decine di municipi nel sud/est messicano, passata la sorpresa per le "bestie indios" che insorgevano contro una secolare cancellazione, vide gerarchie ed opulente élite levare l'indice contro don Samuel, l'obispo rojo (il vescovo rosso).

Era lui il corruttore delle primitive e "buone" menti degli indigeni, che - sempre secondo costoro - stavano bene nella loro condizione di apartheid che li preservava dal male del mondo.

Ruiz il capo della rivolta.

Questa ossessione dei vari Salinas e Zedillo di turno, dei vertici militari e degli autenticos coletos (i discendenti dei conquistatori) era una accusa che puntava a decapitarne la testa, come quella di Giovanni Batista sul vassoio della figlia di Erode.

Non avevano capito o non volevano capire che gli zapatisti avevano un "capo" collettivo, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno.

Il nucleo di una società liberata, un comitato multietnico che sfidava le divisioni arricchendosi delle differenze.

Il Presidente Zedillo voleva Samuel Ruiz in galera.

Nel febbraio del '95 lo convocò per questo a Los Pinos , la residenza presidenziale.

Gli sventolò sotto gli occhi il mandato di cattura, mentre i suoi uomini armati di tutto punto invadevano la Selva nel tentativo di uccidere Marcos e gli altri comandanti dell'Ezln.

Ma l'esercito federale ed i consiglieri del Pentagono non potevano conoscere il grande orecchio della foresta Lacandona, il tam tam millenario che avvisò gli zapatisti di non presentarsi all'incontro con il mediatore governativo.

Zeddillo ripose furioso il telefono che gli comunicava del fallimento dell'imboscata e lasciò andare via Ruiz.

Ad aspettarlo trovò la furia dei paramilitari che tentarono l'assalto alla cattedrale.

Un muro umano, uomini, donne, bambini indios, impedì che i priististi ubriachi di sangue compiessero il loro delitto.

Per giorni e notti stettero a centinaia lì davanti alla Chiesa, a vigilare sul loro "Tatic" (Padre).

La forza della moltitudine contro l'arroganza dei più sofisticati sistemi d'arma.

Una guerra impari.

Ma di fronte a tanto eroismo anche "L'Osservatore romano" fu costretto a scendere in campo a sostegno di don Samuel rompendo l'omertoso silenzio che aveva contraddistinto il Vaticano fino ad allora.

Ostinato uomo di pace don Samuel guidò con generoso impeto la Conai, la Commissione di intermediazione tra l'Ezln ed il Governo.

Fu la sua firma e quella del presidente della commissione parlamentare di concordia e pacificazione (Cocopa) ad aggiungersi come garanzia a quella del comandante David e del rappresentante del governo federale sugli accordi di pace di San Andres.

Ma gli accordi rimasero sulla carta.

Mai tradotti in legge di riforma costituzionale.

Mille volte traditi nelle imboscate e nei massacri (quello di Acteal fu un delitto preordinato dal Pri, il partito di Stato).

La guerra a bassa intensità significa asfissia per la povera economia indigena.

Eppure quei popoli indigeni continuano a non piegarsi.

Il Vaticano - nella sua posizione altalenante nei confronti della diocesi "ribelle"- tentò di commissariarla affiancando a Samuel Ruiz un grigio prelato dell'apparato ecclesiastico, Raul Vera Lopez.

Ma, come era successo con il giovane Samuel, non aveva fatto i conti con la capacità dei poveri di convertire.

Ed il "commissario" si trasformò così in un energico compagno di lotta di Samuel Ruiz.

Se sarà lui a succedergli alla guida della diocesi fondata da Fra Bartolomeo de Las Casas, la teologia india e l'impegno per la pace sarà salvo.

Certo la voce profetica di Samuel Ruiz Garcia mancherà a tanti, specialmente agli indios.

Alla sua gente di cui - anche nei momenti più drammatici - ha sempre cercato di dare una parola di speranza.

Come durante l'omelia dei funerali delle 45 vittime di Acteal.

"Quando la notte si fa' più buia- affermò - è il nuovo giorno che si avvicina".


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