La globalizzazione non è la terra promessa

da Excelsior del 2 febbraio 1999, di Susan George

Se si permette il successo della globalizzazione neoliberista, la politica nel XXI secolo non si occuperà mai di chi governerà chi o di chi riceverà quale parte della torta, ma invece di chi avrà il diritto di vivere e chi no, perché, al contrario di come si descrive, la globalizzazione non ha a che vedere con il creare un mondo unico e in certo modo integrato o con un processo grazie al quale ne beneficeranno tutti gli abitanti, ma il modello è caratterizzato dall'aumento delle disuguaglianze all'interno delle nazioni e tra di esse, visto che la ricchezza è trasferita dai poveri ai ricchi e passa di mano dalla sovranità di Stati più o meno democratici verso entità non elette, non trasparenti e non responsabili.

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Ci sono prove di questo: l'indice di Sviluppo Umano, del programma dell'ONU per lo Sviluppo (PNUD) mostra che il 20% dell'umanità può contare con l'86% della ricchezza mondiale (30 anni fa era il 70%) e il 20% più povero solo sull'1,3%; la differenza tra il Nord e il Sud è passata da 2 a 1 nel XVIII secolo, da 30 a 1 nel 1965, fino al 70 a 1 di oggi e continua a crescere e l'attivo messo insieme di 440 multimilionari equivale all'insieme del prodotto interno lordo di più o meno la metà della popolazione del pianeta. Tra le nazioni: 20 anni di politiche neoliberiste - di aggiustamenti strutturali nel Sud o nell'Est e di tipo reaganiano o thatcheriano nel Nord - hanno originato un'enorme trasferimento di ricchezza dai più poveri ai più ricchi e uno svuotamento della classe media. Entrambe le tendenze sono effetti intrinseci della liberalizzazione, della privatizzazione, dell'integrazione forzata in mercati mondiali attraverso aggiustamenti di strutture e della sempre più alta dipendenza dalle forze di mercato che premiano il capitale a scapito del lavoro.

La globalizzazione è accompagnata da un grave, crescente e sempre più noto deficit democratico. Si parla molto di deregulation, ma è solo un'altra parola trappola poiché nessun sistema può funzionare senza regole e la questione principale diventa chi le fa e a beneficio di chi. Oggi, gli Stati sono sottomessi a pressioni per deregolare, liberalizzare e far sì che i mercati del lavoro siano meno "rigidi", in modo che i lavoratori debbano competere tra loro mentre viene tolta loro qualsiasi protezione sociale. In più, mentre si tolgono funzioni agli Stati, nascono nuove regole internazionali, approvate senza il consenso del cittadino e poste in vigore da istituzioni non trasparenti e non frutto di elezioni, come il FMI, l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) ed altri gruppi burocratici internazionali o regionali, come il TLC dell'America del Nord. La globalizzazione è stata diretta da imprese e banche a beneficio, naturalmente, dei loro interessi e per assicurare una sempre maggior libertà alle forze del mercato, senza protezione per la gente comune, per quanto sia lavoratrice, poiché chiunque può essere cacciato in qualunque momento, visto che le 100 maggiori corporazioni multinazionali, con più del 15% del PIL della Terra, hanno licenziato, tra il 1993 e il 1995, il 4% del proprio personale ed impiegano solo 12 milioni di lavoratori. Non esistono nemmeno regole per impedire che gli oligopoli o i monopoli internazionali, per cui, dal 1995 ad oggi, i tre quarti di tutti gli investimenti diretti esterni sono stati dedicati a fusioni e acquisti che hanno causato perdita di posti di lavoro e nessun nuovo investimento volto a crearne.

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GLOBALIZZAZIONE sembrerebbe esprimere che tutta la gente del pianeta sia in qualche modo integrata in un solo movimento, che il fenomeno comprende tutti e che l'umanità marci unita verso una terra promessa, ma in realtà succede il contrario: invece di includere tutti un una marcia collettiva verso una vita migliore, la globalizzazione permette che l'economia mondiale di mercato "si porti via il meglio e lasci solo il resto".


(tradotto dall'Associazione Ya Basta! Per la dignità dei popoli e contro il neoliberismo - Lombardia)



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