ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
6 febbraio 1994

Tua madre mi ha consegnato la tua lettera insieme alla foto dove ci sei tu con il tuo cane. Approfitto del fatto che la tua mamma torna a casa per scriverti in fretta queste righe anche se, può darsi, che tu non riesca ancora a comprenderle. Senza dubbio, sono sicuro che un giorno tu capirai che è possibile che esistano uomini e donne come noi, senza faccia e senza nome, che mollano tutto, persino la stessa vita, perché altri (bambini come te e altri che non sono come te) possano alzarsi ogni mattina senza parole da tacere e senza maschere per affrontare il mondo. Quando questo giorno arriverà noi, quelli senza faccia e senza nome, potremo riposare, alla fine, sotto terra ... ben morti, questo sì, però contenti.

La nostra professione: la speranza

Sta quasi morendo il giorno, oscuro quando si veste da notte e deve nascere l'altro giorno, prima con un velo nero e poi con il grigio o l'azzurro secondo se salta il ticchio al sole di illuminare o no la polvere e il fango del nostro cammino. Già quasi muore il giorno fra le braccia notturne dei grilli ed allora mi viene questa idea di scriverti per dirti qualcosa che salta fuori da questo "professionisti della violenza" che ci hanno appiccicato addosso.

E mi risulta che sì, che siamo professionisti. Però la nostra professione è la speranza. Noi abbiamo deciso un bel giorno di diventare soldati perché un giorno non siano più necessari i soldati. Vale a dire, abbiamo scelto una professione suicida perché è una professione il cui obiettivo è sparire: soldati che sono soldati perché un giorno più nessuno debba essere soldato. Chiaro, no?

E allora risulta che questi soldati che vogliono smettere di esserlo, noi, abbiamo qualcosa che i libri e i discorsi chiamano "patriottismo". Perché quello che chiamiamo patria non è un'idea che vaga fra versi e libri, ma è invece il grande corpo di carne e ossa, di dolore e sofferenza, di pena, di speranza che tutto cambierà un giorno finalmente e la patria che vogliamo dovrà nascere anche dai nostri errori e difetti. Dalle nostre spoglie mortali dovrà innalzarsi un nuovo mondo. Lo vedremo? Importa se lo vedremo?

Io credo che non importa tanto, come il sapere di sicuro che nascerà e che in questo lungo e doloroso parto della storia qualcosa e tutto abbiamo messo: vita, corpo e anima. Amore e dolore, che non solo fanno rima ma che si affratellano insieme.

Per questo noi siamo soldati che vogliono smettere di essere soldati, però salta fuori che, perché non siano necessari i soldati, bisogna diventare soldati e ricevere una discreta quantità di piombo, piombo bollente, scrivendo libertà e giustizia per tutti, non per uno o per qualcuno, ma per tutti, tutti, i morti di ieri e di domani, i vivi di oggi e di sempre, quelli che tutti chiamano popolo e patria, quelli senza niente, i perdenti di sempre, fino a ieri, quelli senza nome, quelli senza faccia...

Ed essere un soldato, che vuole che non siano più necessari i soldati, è molto semplice, basta rispondere con fermezza al pezzettino di speranza che i più depositano in ognuno di noi, quelli che non hanno niente, quelli che avranno tutto. Per loro e per quelli che si sono fermati lungo il cammino, per una o per un'altra ragione, ingiuste tutte. Per loro bisognerà davvero cercare di cambiare ed essere migliori ogni giorno, ogni pomeriggio, ogni notte di pioggia e di grilli.

Accumulare odio e amore con pazienza. Coltivare il fiero albero dell'odio all'oppressore insieme all'amore che combatte e libera. Coltivare il forte albero dell'amore che è vento, che purifica e guarisce, non l'amore piccolo ed egoista, il grande sì, quello che migliora ed ingrandisce. Coltivare dentro di noi l'albero dell'odio e dell'amore, l'albero del dovere. E in questa coltura metterci la vita tutta, corpo ed anima, alito e speranza. Crescere dunque, crescere e aumentare d'autorità, passo dopo passo, gradino dopo gradino. E in questo sali e scendi di stelle rosse, non temere, non aver paura fino ad arrender ti, a sederti su una sedia a riposare mentre altri proseguono, a riprender fiato mentre altri lottano, a dormire mentre altri vegliano.

Abbandona, se ce l'hai, l'amore per la morte o il fascino per il martirio. Il rivoluzionario ama la vita senza temere la morte e fa in modo che la vita sia degna per tutti e se per questo deve pagare con la sua morte, lo farà senza drammi né esitazioni.

Ricevi il mio miglior abbraccio e questo tenero dolore che sarà sempre speranza.

Saluti Miguel.

Dalle montagne del sud-est del Messico
Subcomandante ribelle Marcos

P.S.: Qui noi viviamo peggio dei cani. Abbiamo dovuto scegliere: vivere come animali o morire come uomini degni. La dignità, Miguel, è l'unica cosa che non si deve perdere mai ... mai


(traduzione del Comitato Chiapas di Torino)

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Indice EZLN1994


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