2 febbraio 1994

Al sig. Gaspar Morquecho Escamilla
Periodico "Tiempo"
San Cristóbal de Las Casas

Da parte del subcomandante ribelle Marcos
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Montagne del Sudest messicano, Chiapas, Messico

Signore:

Ho ricevuto la sua lettera, senza data naturalmente, solo ora. Allo stesso tempo leggo sul periodico che accusano Lei ed altre nobili persone di essere "portavoce dell'EZLN" o "zapatisti".

Problemi. Se Lei vuole sapere da dove arrivano queste denunce e minacce, cerchi negli elenchi delle associazioni di allevatori e incontrerà molta tela da dove tagliare.

Bene, passando ad altro e già che si tratta di ricordi, spero che alla fine Le sia passata l'esaltazione con cui pretese di intervistarci in quel bel primo di gennaio. Può darsi che Lei non si ricordi bene, però quella volta l'intervistato era Lei stesso, perché mi faceva una domanda e poi rispondeva. Ignoro se ha potuto tirare fuori qualcosa di coerente per il suo giornale dopo questo monologo di domande e risposte con cui affrontò coraggiosamente la sorpresa ed il timore che aleggiava nell'antica capitale dello stato del Chiapas, quel primo giorno dell'anno.

Fummo in molti che, in quella mattina del primo gennaio, ci tagliammo i ponti alle spalle e incominciammo questo pensante andare con un passamontagna che imbavaglia il nostro viso. Fummo molti che ci decidemmo a questo passo senza ritorno, sapendo che nel finale ci attende una morte probabile oppure l'improbabile visione del trionfo. La presa del potere? No, qualcosa appena un po' più difficile: un mondo nuovo. Niente abbiamo ora, l'abbiamo lasciato tutto dietro, alle nostre spalle. Però non ci pentiamo. Il nostro passo continua fermo anche se lo cercano, per distruggerlo, decine di migliaia di grottesche maschere color verde olivo.

Però. signor Morquecho, risulta che lo sapevamo da tempo e, non senza dolore, abbiamo dovuto farci forza alla morte di quelli che caddero al nostro fianco, morendo in guerra e con onore sì, però sempre morendo. E dovemmo blindare il cuore, signor Morquecho, per riuscire a guardare compagni di molti anni nella montagna con il corpo macerato da pallottole e schegge di granata, di mortaio, di missile, per guardare il loro corpo con le mani legate e il colpo di grazia alla nuca, per poter vedere e toccare il loro sangue, il nostro, signor Morquecho, mentre diventa color marrone per le strade di Ocosingo, di Las Margheritas, nelle terre di Rancho Nuevo, nelle montagne di San Cristóbal, sulle alture di Altamirano. E, capiamoci, signor Morquecho, in mezzo a questo sangue, a questi tiri, a queste granate, a questi blindati, a questi elicotteri che mitragliavano e a questi aeroplani che scendevano in picchiata per lanciare i loro missili esplosivi, una semplice verità usciva: siamo invincibili, non possiamo perdere... non meritiamo di perdere.

Però come già abbiamo detto, il nostro lavoro è questo: combattere e morire perché altri vivano una vita migliore, molto meglio di quella in cui ci toccò morire. È il nostro lavoro sì, però non il Vostro. Così per favore abbiate cura di Voi stessi, la bestia fascista è in agguato e dirige i suoi attacchi verso i più indifesi.

Sulle accuse, che fanno a Lei e a tutto il gruppo di persone nobili e oneste che danno alla luce, perché in queste condizioni tecniche fare un periodico deve essere un autentico parto, questo stampato di imparzialità e di verità che porta il nome di "Tiempo", voglio dirle alcune cose:

L'autentico altruismo del "Tiempo", non sta tanto nel tirar fuori un periodico da questa macchina che sembra di Piero Spaccapietre. Sta invece nel riuscire a dare voce, in quell'ambiente così chiuso e assurdo, a quelli che non avevano niente (adesso abbiamo le armi). Sta invece nello sfidare, con quattro pagine, i potenti signori del commercio e della terra, che puntano i loro soldi nella medesima città. Sta nel non cedere ai ricatti ed alle intimidazioni per obbligare a pubblicare menzogne o per s mettere di pubblicare la verità. Sta nel cercare, nel mezzo di questa atmosfera culturale asfissiante che tesse al suo intorno la mediocrità collettiva, aria nuova, vivificante, democratica, per ripulire le strade e le menti di Jovel.

Sta nel fatto che, quando scendevano gli indios dalla montagna alla città (attenzione: prima del 1° di gennaio), non per vendere, non per comprare, ma a chiedere che qualcuno li ascoltasse trovavano sempre orecchi e porte serrate, ma una porta è sempre stata aperta, quella che aprirono un gruppo di non indios da molto tempo mettendo un'insegna che diceva lo stesso: Tiempo. E nel fatto che, al passare questa porta, questi indigeni che oggi fanno arrabbiare il mondo per la loro audacia di negar si a morire indegnamente, questi indigeni trovavano qualcuno che li ascoltava, e questo era già abbastanza, e trovavano chi metteva queste voci indie su carta con inchiostro e la testata era Tiempo, e ciò era, già prima, e adesso ancor di più, eroico. Poiché risulta, signor Morquecho, che l'eroismo e il valore non si trovano solo dietro un fucile ed un passamontagna, ma pure di fronte ad una macchina da scrivere quando l'ansia di verità è ciò che anima le mani che battono i tasti.

Mi rendo conto che accusano tutti Voi di essere "zapatisti".

Se dire la verità e cercare la giustizia è essere "zapatista", allora siamo milioni. Mandino più soldati. Però, quando arrivino poliziotti e inquisitori a intimorirLa, Lei dica loro la verità, signor Morquecho. Dica loro che Voi alzaste sempre la vostra voce per avvertire tutti che, se non mutavano queste ingiuste relazioni di oppressione quotidiana, gli indigeni sarebbero esplosi. Dica loro che Voi avete sempre raccomandato di cercare altre strade, legali e pacifiche, per le quali fare ca mminare quella disperazione che ricorre per le città di tutto il Chiapas (e del Messico, non creda a Salinas che dice che il problema è solo locale). Dica loro che, insieme ad altri professionisti onesti (vera rarità), dottori, giornalisti e avvocati, Voi cercaste appoggi da qualsiasi parte per sviluppare progetti economici, educativi, culturali che alleviassero la morte che si stava intessendo nelle comunità indigene. Dica la verità, signor Morquecho, Dica che Voi avete sempre cercato la strada pacifica e giusta, degna e vera. Dica la verità, signor Morquecho.

Però, per favore signor Morquecho, non dica loro quello che Lei ed io sappiamo, ciò che Le capita, non dica loro quello che il suo cuore le sussurra all'udito nelle inquietudini e negli andirivieni di giorno e di notte, non dica loro quello che preme per uscire dalle sue labbra quando parla e dalle sue mani mentre scrive, non dica loro questo pensiero che già sta crescendo prima nel petto e poi sta salendo sempre più chiaro alla testa così come avanza l'anno e va per montagne e colli, non dica loro quello che adesso vuole gridare: "Io non sono zapatista! Però da questo primo di gennaio... vorrei esserlo!"

Mi saluti, se le è possibile, il signor Amado Avendaño. Gli dica che non dimentico il suo sangue freddo quando, in quella allegra mattina (almeno per noi) del primo giorno della nostra entrata trionfale "nel primo mondo", lo avvertii che non gli conveniva avvicinarsi per parlarmi e mi rispose: "Sto facendo il mio lavoro." Approfittando ancora, mi saluti Concepción Villafuerte, la cui integrità e valore nello scrivere salutiamo con gioia quando un improbabile messaggero arriva e porta il giornale.

Saluti tutti i lavoratori di questo periodico che meritano non solo una macchina migliore, ma pure il saluto e il riconoscimento di tutti i giornalisti onesti del mondo. Mi saluti pure quei professionisti di "Chiltak" che sacrificano la necessità di denaro e comodità per lavorare con e per quelli che non hanno nulla.

Dica a tutti (quelli di Tiempo e quelli di Chiltak) che se coloro che oggi governano avessero la metà della statura morale che Voi avete, non sarebbero stati necessari né fucili né passamontagna né sangue nelle montagne a sud di San Cristóbal, né a Rancho Nuevo nè a Ocosingo o a Las Margaritas o ad Altamirano. E allora, invece di stare scrivendo qui sotto l'incalzare di aerei e elicotteri, con il freddo che m'intorpidisce le mani, ma non il cuore, potremmo stare parlando Lei ed io senza alcuna barriera, se non due birre, fra di noi. Il mondo non sarebbe lo stesso, ma qualcosa di meglio e di migliore per tutti. Naturalmente, se succederà (Dio non lo vuole, però chissà), dato che io non bevo bevande alcoliche, sarebbe meglio dire così: "senza altra barriera che una birra (la sua, senza offesa) e una bibita (la mia) in mezzo".

Saluti e un grande tenero abbraccio. E, per favore, impari a mettere la data sulle sue lettere, anche se la storia scorre così rapida che, credo, sarebbe meglio aggiungere anche l'ora.

Dalle montagne del Sudest messicano
Subcomandante insurgente Marcos
Messico, 2 febbraio 1994
Sono le ore 22, fa freddo e il rumore dell'aereo che sorvola minaccioso, pare quasi cullarci


(traduzione del Comitato Chiapas di Torino)

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