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¤ Foto: Jesús Ramírez

Simpatizzanti zapatisti della comunità di Unione Progresso, municipio di El Bosque,
si sono rifugiati nella montagna dopo l'aggressione da parte di agenti della Polizia di Sicurezza Pubblica e di un gruppo di civili armati.

La Jornada 17 dicembre 1998

Gli abitanti fuggono, per i dirupi, nascondendosi in montagna

Hermann Bellinghausen, inviato, San Juan della Libertà, Chis., 16 dicembre ¤

Sotto la minaccia che faranno "come in Acteal", dato che già li stanno "puntando con il fucile", gli abitanti di Unione Progresso stanno nascosti in montagna, con le mani vuote e gli occhi grandi per sorpresa, spavento, rabbia e pianto. In serata sono fuggiti per sei ore nel buio. Pioveva. Alle loro spalle era esplosa una granata lanciata dagli agenti della Polizia di Sicurezza Pubblica dello stato. Il suo frastuono si è udito nei villaggi vicini di Los Plátanos e San Antonio El Brillante.

Bagnati, tremando di freddo, affamati e insonni, infestati dalla testa ai piedi di garrapate che si sono appiccicate nell'angusta salita attraverso pascoli e piantagioni, quasi spalla a spalla, tutte le famiglie (meno una) della comunità perseguitata ricevono i giornalisti e gli osservatori dei Diritti umani in una umida scarpata. Il loro nascondiglio.

Molti sono i feriti, dato che il tragitto che hanno percorso dal loro villaggio è atroce e sono caduti molte volte. Una ragazzina è caduta da un ponte alto due metri.

Sono bastate una frettolosa accusa (per il momento, senza prove) del procuratore chiapaneco Montoya Liévano domenica scorsa ed un'efficace campagna pubblicitaria del governo di Albores, per gettare tutta questa gente nella sofferenza.

Loro insistono a dire che la persecuzione è ingiustificata. Niente hanno a che vedere, affermano, con l'imboscata che sulla strada di Los Plátanos è costata la vita di un minorenne ed ha lasciato un saldo di sette feriti, tra cui un dirigente priista di questa comunità, tre giorni fa.

"Ci perseguitano perché simpatizziamo con l'organizzazione dell'EZLN - dice l'agente municipale del villaggio -. Dato che non ci riescono a convincere, ci vogliono uccidere".

"Fuggiti in montagna"

La comunità di Unione Progresso è deserta. Gli animali domestici sono sciolti, o legati quelli che già lo erano nella serata alle 20:30, quando è cominciato il nuovo attacco della polizia al villaggio. Le luci delle case, accese. Da una casa sale il fumo di un focolare che è rimasto ad ardere in solitudine.

Come si ricorderà, lo scorso 10 giugno, vari uomini di questa comunità sono stati assassinati dalla polizia e dai soldati. In quell'occasione, le forze dell'ordine "smantellarono" il municipio autonomo di San Juan della Libertà (El Bosque). Adesso si pensa che applicassero gli ordini di cattura in relazione all'imboscata di domenica.

Un'unica famiglia priista, che vive alla periferia del villaggio di Unione Progresso, continua a stare tranquilla a casa sua, come se niente fosse. Solo loro negano che la polizia abbia fatto irruzione nel villaggio e sono anche gli unici che non hanno udito nessuna esplosione di granata, che invece c'è stata ed a solo 200 metri da casa loro. La famiglia è composta da un vecchio, la sua donna ed i suoi figli, e sembrano tutti straordinariamente calmi. Addirittura divertiti.

Secondo i rifugiati in montagna, "sono amici dei paramilitari di Los Plátanos" e sono contenti "perché hanno promesso loro le terre e gli animali".

"I priisti, nelle loro riunioni in Los Plátanos, chiedono che l'Esercito Federale ci ammazzi, per rimanere con le nostre case, i nostri animali e le nostre cose", dice uno dei portavoce del villaggio in fuga.

"Queste persone dicono che vogliono fare di nuovo come in Acteal - aggiunge -. Noi non lo crediamo possibile. Non siamo colpevoli di niente. Però da vari giorni dicono che abbiamo le armi puntate contro noi che siamo i rappresentanti, perché abbandoniamo la nostra lotta.

"Però noi cerchiamo l'interesse generale - aggiunge l'uomo, con il volto coperto -. La mia vita personale non mi preoccupa. Io posso restare lì dove mi abbandonino ucciso, però mi fanno pena i bambini, i giovani, le donne".

Un altro uomo dice: "È pura falsità ciò di cui ci accusa il governo, cioè che nascondiamo l'assassino dei priisti. Sono loro stessi che provocano le divisioni e si uccidono. Oppure è stata la polizia quella che li ha ammazzati, per scaricare poi su di noi la colpa".

Secondo diverse testimonianze, la stessa mattina dell'imboscata di domenica, un gruppo di poliziotti è apparso nelle vicinanze di Alvaro Obregón: erano armati e hanno detto di essere "dispersi".

Nonostante ciò, secondo i fuggitivi, "non possiamo sapere chi lo abbia fatto, noi eravamo nella comunità, tranquilli".

"Sì, abbiamo udito gli spari - dice l'agente municipale -, però non abbiamo saputo ciò che era successo fino a dopo, quando abbiamo saputo che in Bochil c'era un carro pieno di sangue. Però non abbiamo pensato che ci venissero a dare la colpa".

Dopo l'attacco della serata, dice, "ci siamo resi conto che le minacce non erano a vuoto. Non vogliamo che succeda lo stesso di Acteal, però il governo crea i paramilitari per farla finita con il popolo".

Un vecchio aggiunge: "Noi abbiamo cercato di capirci con quelli che erano del PRI nella comunità. Però abbiamo visto i loro piani. Si uniscono con il governo e adesso sono stati loro a dire la bugia perché mandasse contro di noi la Polizia di Sicurezza Pubblica".

Voci nella montagna

"Come vedete ragazzi ci vogliono fregare - dice un'altra voce nella scarpata -. Basta con la sofferenza".

Ed un'altra voce: "Ci sono molti voci. La gente non vuole tornare a casa. Non ce la fa più a dormire tranquilla, a lavorare, a mangiare. Per la paura".

Ed un'altra: "Alcuni bambini dormono in piedi".

Ed un'altra: "Ci dicono che se accettiamo l'Esercito Federale la smettono di perseguitarci".

Una bambina intorno ai 10 anni, coperta nel volto e nel corpo da una risipola sanguinante, guarda con tristezza i giornalisti. Al suo fianco, un altro uomo (parlano solo gli uomini) racconta che in questi giorni stavano per concludere i negoziati con la Segreteria di Governo per le indennizzazioni dei morti del 10 giugno. "Proprio oggi saremmo andati a consegnare la documentazione in San Cristóbal. Il segretario di Governo ci ha detto di affrettarci che così forse il denaro dei nostri morti sarebbe arrivato prima delle vacanze".

E con un gesto di inutilità aggiunge: "Però dato che siamo fuggiti, non siamo riusciti a portarci dietro tutti i documenti".

Un'altra voce: "Non crediamo nella sua pace. Ogni volta che ci sono dialoghi con i rappresentanti dell'EZLN, arrivano gli attacchi. Di chi è la colpa? Del governo".

E parla dell'attacco della serata: "Questo è il rispetto che hanno quelli del governo degli accordi di San Andrès".

Un anziano: "Vogliamo uscire dalla crisi, così non possiamo vivere. L'attacco di giugno è avvenuto mentre stavamo per raccogliere il mais. Adesso, mentre stiamo raccogliendo il caffè".

Sta di fatto che una decina di stagionali di un'altra regione, che lavoravano con questi contadini nella raccolta del caffè, li accompagnano adesso nel rifugio.

"Il caffè sta cadendo. Lo possiamo perdere".

Non fanno nessun falò perché li potrebbero vedere i poliziotti.

"Perché non dovremmo avere paura - dice l'agente municipale -. I proiettili fanno male".

Sono fuggiti nella notte senza farsi luce con pile per non essere seguiti dalla Polizia di Sicurezza Pubblica. Oggi non sanno se dormiranno, oppure se dormiranno in piedi, in questo inospitale declivio. "Domani - dice un giovane - non sappiamo se ci uccideranno o se ci metteranno in carcere".

E si interrompe per contenere il pianto. "Io non ho ancora figli, però mi fanno pena questi bambini fuggiti in montagna che stanno soffrendo per il freddo, la fame e la fatica".


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)


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