IL MANIFESTO 15 Agosto 1997

Le tesi del subcomandante

Rossana Rossanda

L E MONDE Diplomatique ha pubblicato nell'edizione francese di agosto un saggio del subcomandante Marcos, titolandolo "La quarta guerra mondiale è cominciata". E' probabile che sia stato steso prima delle elezioni nel distretto federale di Messico City, che hanno visto la sconfitta del Pri e sulle quali l'Eznl non aveva dato consegna di voto. Marcos non ne fa cenno, e d'altra parte in queste pagine analizza soprattutto la mondializzazione, e i limitati riferimenti al Chiapas fungono da esempio della deprivazione che essa comporta e della rivolta che in essa si può creare.

Per Marcos è in atto la quarta guerra mondiale nella forma dell'aggressione liberista su scala planetaria. Quarta perché le prime due sono quelle note in tutti i testi di storia e la terza quella che è stata chiamata guerra fredda, "impropriamente" egli dice, perché essa ha conosciuto "alte temperature, dalle catacombe dello spionaggio internazionale agli spazi siderali delle guerre stellari di Reagan, dalla Baia dei Porci al Vietnam, dalla corsa alle armi nucleari ai colpi di stato in America latina, dalle colpevoli manovre della Nato agli intrighi della Cia in Bolivia dove è stato assassinato Che Guevara". In questa terza guerra si sono scontrati "capitalismo e socialismo, su diversi terreni e a diversi gradi di intensità", e l'esito ne è stato la "liquefazione del campo socialista come sistema mondiale e la sua dissoluzione come alternativa sociale".La quarta guerra sta mandando in pezzi il "nuovo ordine mondiale" che gli Stati uniti avevano creduto di imporre con la fine della terza; lo scontro ora è per l'egemonia nel capitalismo, il protagonista ne è il capitale finanziario. Esso si è svincolato da stati e mercati nazionali, incluso quello degli Stati uniti che lo hanno generato, e gioca contro tutti, per cui non c'è più o non c'è ancora una sola superpotenza. Al posto degli stati-nazioni governano le regioni economico-finanziarie, le "megapoli" che degli stati hanno assunto i poteri, scomponendoli e ristrutturandoli e lasciando loro soltanto compiti a se stesse funzionali.

Le atomiche della terza guerra mondiale, esclama Marcos, sono state armi dissuasive, le bombe finanziarie fanno esplodere davvero le nazioni, annullando le basi della loro sovranità, spopolandole qualitativamente ed escludendo chiunque non si adatti alla loro legge, come i popoli indigeni che ancora detengono nei loro territori grandissima parte delle risorse naturali e nei quali il sistema induce guerre per impadronirsene. Ma anche l'Europa "vive nella sua carne" una devastazione indotta dall'unione economica che contrasta con la sua tradizione di forti individualità statali, e che comporterà fra le rovine "la fine della civiltà europea".

E' un sistema che non ha più bisogno di politica, il potere è tutto nell'economia e in una tecnologia che consente il dominio, e spinge verso un unico modello culturale - quello dell'american way of Life - distruggendo le culture che gli si oppongono. Di tutte le guerre mondiali, conclude Marcos, è la più crudele. Ha fatto del pianeta un immenso puzzle, del quale finora appaiono leggibili soltanto sette grandi segmenti.

Marcos li indica in sette tesi e ne suggerisce il simbolo grafico. Il primo segmento, la prima grande tendenza, indica il concentrarsi della ricchezza in una parte sempre minore e il dilagare della povertà in una parte sempre maggiore della popolazione mondiale; il simbolo ne è la moneta. Il secondo segmento - segno un triangolo - la piramide del lavoro, ai vertici lo sfruttamento di una base sempre più vasta, resa sempre più precaria, devalorizzata, includente a basso costo perfino milioni di bambini, mercificati anche come oggetto sessuale. Il terzo segmento - la figura è un circolo - è la enorme deterritorializzazione delle genti, decuplicata negli ultimi venti anni, che vede milioni di uomini e donne senza terra e senza mezzi vagare dalle periferie verso il centro, dove le leggi anti-immigratorie fungono, più che da deterrente perché tornino nei loro paesi, da ricatto sul mercato del lavoro. La quarta figura è il rettangolo di un grande specchio dove si riflettono legalità e illegalità, due facce dello stesso soggetto, perché le economie criminali hanno cessato di essere marginali, sono diventate portanti del sistema, facilitate quando non suggerite dalle grandi forme di accesso ai crediti come il Fondo monetario internazionale; esse, ed è questa la quinta tesi il cui disegno è un pentagono come la celebre costruzione militare americana, si uniscono soltanto contro chi vi si ribella, per cui oggi l'esercizio della cosiddetta violenza legale è in mano a forze illegali. Il sesto segmento è uno scarabocchio: alla crescita del potere economico che smantella la coesione degli stati nazionali si accompagna un esplodere di staterelli, di etnie che pretendono i propri confini e si dilaniano come nell'ex Unione sovietica, in Cecoslovacchia e Jugoslavia; al massimo della concentrazione economica corrisponde paradossalmente il massimo della frammentazione politica. La lotta è permanente fra i giganti economici che decidono la mega politica, le guerre, i riconoscimenti o i blocchi diplomatici, le alleanze o le rotture, i crediti e gli investimenti e una moltitudine di nani, fra i quali i governi, ciascuno tollerato a prescindere dal colore politico finché non disturba i mercati. E così sarà conclude Marcos nella penultima tesi, finché i nani si rivolteranno.

Così egli introduce nell'ultima tesi la "disobbedienza della realtà" di fronte alla prepotenza dall'astrazione capitalistica: la sua figura è una sacca di resistenza, una di quelle pieghe dove le ribellioni si formano in modi e colori diversi, che hanno in comune soltanto la volontà di resistere al "crimine contro l'umanità" costituito da questa quarta guerra mondiale. Stavolta i protagonisti della resistenza sono gli esclusi, i lasciati perdere, gli usa e getta. In essi, e per questo il Chiapas ne è un simbolo, sta la speranza di salvezza dell'umanità. E dalla ragione, perché i sei segmenti prima delineati sono distruttivi. La forza della resistenza sta nell'avere la ragione dalla sua parte. Un post-scritto fra memorie e poesie - è notte e dopo una lunga giornata Marcos riposa sentendo il riflusso del mare accanto alla foresta Lacandona, e un vecchio contadino, Antonio, gli scrive nel diario prima di andarsene che l'ideale sarebbe avere la ragione e la forza, ma se non si può, meglio fra le due scegliere la ragione. Essa potrà generare forza, mentre la forza non genererà mai la ragione.

E' un testo scritto con passione ed efficacia, un ragionare veemente appoggiato punto per punto sui documenti delle Nazioni unite o del Bit o simili. Marcos legge il mondo, non se lo inventa. Non conosce soltanto l'arte del comunicare, ma quella meno consueta dell'argomentare.

Suo è l'ordine di priorità sul quale incastella i documenti, rivelando la propria griglia culturale. E' quella di un castrista più che di un guevarista. Di Castro mantiene quel che Guevara aveva perduto, la fiducia che fino al 1989 c'è stato un vero "campo socialista", e che esso non ha fallito ma perduto nello scontro con forze superiori, quelle del capitalismo e la sua terza guerra mondiale. Dal discorso di Algeri in poi Guevara non nutriva più illusione né sull'uso né sulla effettiva intenzione o possibilità di Cuba di porsi come un terzo polo, quale parve disegnarsi ancora nel 1967 con la Conferenza dell'Olas (Organizzazione latinoamericana di solidarietà). E poi il tentativo nell'Angola e nel Congo lo aveva messo di fronte non solo alla crudeltà dell'imperialismo ma alla immaturità dei soggetti - non c'era un Vietnam in ogni parte offesa del mondo. La Bolivia ne sarebbe stata la riprova.

Marcos non apre questi due capitoli, e questo è un limite non tanto culturale - essendo tutto fuorché una mente magari generosa ma primaria - ma politico. E' davvero un intellettuale tipico dell'antimperialismo latinoamericano, aggiornato sulle ultime analisi economiche mondiali. Le sue figure agenti appaiono ancora più esili che nel primo foquismo, dove si pensava ai popoli e alla loro possibilità di far vacillare i governi nel corso e per effetto della guerriglia. Per Marcos sono le sacche degli esclusi di vena marcusiana, indicate nel curioso elenco finale con l'ordine seguente: le donne, i bambini, i vecchi, i giovani, gli indigeni, gli ecologisti, gli omosessuali, le lesbiche, i sieropositivi, i lavoratori. I lavoratori per ultimi, anche se diversamente da Marcuse, inclusi. Ma non particolarmente significanti.C'è qui una vaghezza politico-teorica, che riecheggia nella battuta all'inizio sulla scomparsa del socialismo come alternativa sociale. La forza del movimento rivoluzionario del secolo è stata l'esistenza e la condizione esemplare, per sfruttamento e inaccettabile negazione, del proletariato, forza attiva, produttiva, organizzata, in grado di tener testa anzi di soffocare chi lo formava e lo opprimeva. In Marcos c'è una immensa sconcertante distanza fra la magnitudine del capitale finanziario e dei suoi mezzi e la debolezza, la "nanità" delle sacche di rivolta. Altre volte ha scritto che l'odierna tecnologia della comunicazione offre anche agli esclusi mezzi prima impensabili, e ne usa, perché conosce l'impatto dello scontro simbolico; non a caso la selva Lacandona è diventata una immagine cara a chi non si rassegna.

Ma lo scontro non è soltanto simbolico, così quella della settima tesi, corollario di un processo del quale egli non vede che devastazione, non coglie né ambivalenza né i soggetti che va formando, men che meno un nuovo proletariato mondiale immenso e acculturato - e più che una prospettiva politica, uno scatto generoso ed emotivo, che tutto riconsegna ai dannati della terra, e non senza curiosi accenti di nostalgia. Come sempre nella vicenda rivoluzionaria latinoamericana anche in Marcos c'è cittadinanza persino per Lenin, non per Marx.

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