Hermann Bellinghausen, inviato, La Garrucha, Chis., 14 gennaio ¤
Circa settecento basi di appoggio dell'EZLN hanno occupato oggi per alcuni minuti l'accampamento dell'Esercito Messicano ubicato a lato di questa comunità, su terreni che erano coltivati quando li hanno occupati i federali per trincerarsi.
"Fuori, fuori, fuori!", gridano le voci gravi di centinaia di uomini con il volto coperto con un paliacate, alzando il pugno contro la sorpresa guarnigione militare che reagisce ponendosi in attesa, con nervosismo, con appostamento di uomini armati e riprese filmate frenetiche.
L'accampamento è sul percorso che va al cimitero della comunità, dove questo pomeriggio hanno portato il corpo di Guadalupe Méndez per darle sepoltura.
L'atto si trasforma in una protesta delle basi d'appoggio zapatiste
contro la militarizzazione che le soffoca, fino addirittura interporsi
tra loro e i loro morti.
La voce del subcomandante Marcos arriva attraverso l'emittente dell'EZLN, sulla banda 107.1 megahertz di frequenza modulata, che può prendere qualsiasi radio, dopo la sepoltura e l'occupazione pacifica dell'accampamento militare della Garrucha.
Superando le scariche statiche, il messaggio è stato ascoltato dalle centinaia di tzeltales della vallata i quali si sono riuniti nell'Aguascalientes per ascoltare il "messaggio del Comando Generale", in data 13 gennaio.
Debutto in FM dell'EZLN.
Comunicato interno.
A tutti i compagni e compagne basi d'appoggio dell'Esercito Zapatista
di Liberazione Nazionale.
Fratelli e sorelle:
Il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell'EZLN, comunica a tutti i compagni e le compagne, che la compagna Guadalupe Méndez López ha cominciato a vivere il giorno 12 gennaio del 1998, quando è stata assassinata dai poliziotti del governo in una manifestazione pacifica a Ocosingo, Chiapas.
La compagna Guadalupe Méndez López è stata
base d'appoggio dell'EZLN ed è originaria della Garrucha,
municipio ribelle Francisco Gómez, Chiapas, Messico, e
aggiunge il suo nome a quello dei caduti nella lotta per la democrazia,
la libertà e la giustizia.
Dalle montagne del sudest messicano,
il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Subcomandante insurgente Marcos.
Messico, gennaio 1998.
In seguito, la radio ribelle ed estemporanea dell'EZLN trasmette il "messaggio interno" in lingua tzeltal.
Così termina, alle 4 del pomeriggio, quello che era iniziato due ore prima.
Con rami di fiori bianchi e preghiere nella loro lingua.
Si erano riuniti molto presto. Quasi tutti sono zapatisti. Oltre
a loro è presente una commissione del consiglio municipale
di Ocosingo diretta dal consigliere comunale Mario Hernández
Pérez.
Sono giunti rappresentanti di COAO, ARIC-Indipendente e ORCAO,
e portano un messaggio degli occupanti di quella città.
Informano che loro stanno sollecitando, in modo "immediato",
la presenza del segretario di Governo nel capoluogo municipale.
È il loro stile.
Però qui gli zapatisti stanno seppellendo Guadalupe. Le danno un addio religioso con il Vangelo, ed un addio civile con brevi discorsi. Gli incappucciati tzeltales caricano la bara della compagna caduta. Vanno dietro genitori e fratelli, suo marito Gilberto che non è di qui, vanno nonni e parenti.
Una processione si allunga lungo la strada che va a Ocosingo, fino al punto dove tutti devono oltrepassare una barriera di filo spinato. La cassa passa sopra al filo spinato. E sventolando il peso di Guadalupe come una difesa, sfidano i soldati che iniziano a correre per i pendii. Saltano dalle loro barricate, si affacciano in attesa e vedono passare il corteo funebre tra le mense, le barricate e le latrine dell'accampamento dell'Esercito Messicano.
Ascoltano il coro lungo, interminabile, del ripudio.
-Fuera Ejército de Chiapas! (Fuori l'Esercito dal Chiapas!)
-Chiapas no es cuartel, fuera Ejército de él! (Chiapas non è caserma, fuori Esercito da lui!)
-No queremos retén, no somos rateros! (Non vogliamo posto di blocco, non siamo ladri!)
Dopo, la processione infila la salita verso il rovereto del cimitero comunitario. Il lungo serpente di centinaia di metri di contadini in fila india sale e sale e lascia indietro i soldati.
La sepoltura è una sepoltura: fossa scavata, tavole, abbassamento
della bara, terra sopra fino a coprirla. Una donna, una sola,
piange a voce alta per tutti, in un dolore che recupera una cadenza
melodica. Senza cessare, acuto, lacerante, accompagna le vanghe,
il rumore asciutto della terra, i mormorii degli uomini.
Jorge, della Garrucha, nel cammino di andata stava ricordando
la "compagna", che ha lasciato il villaggio nove anni
fa per sposarsi con Gilberto, che l'ha portata al suo villaggio.
Così sono le vite delle donne sposate qui. Si trapiantano,
a volte per sempre.
Però quei nove anni, per loro e per lei sono stati zapatisti,
e lo sono ancora. Per lei, da un'altra parte. I familiari sono
attorno ai giovani che si danno i turni con una pietra piatta,
per spianare la terra.
Al ritorno, il corteo si trasforma in una manifestazione che entra,
audacemente, come non hanno mai fatto in tutto questo tempo i
civili zapatisti della Garrucha.
Una protesta per la ignobile presenza dell'accampamento. Una rivendicazione
simbolica delle terre che appartengono loro.
Attraversano al centro la guarnigione militare, centinaia di incappucciati,
con "fuori", e con voce ancora più tonante:
-Ni con tanques/ ni metralla:/ el pueblo no se calla!
(Né con carri armati/ né con mitragliatrici:/ il
popolo non tace!)
I soldati sono appostati, seri.
Sono le 16 e 20. Viva a Zapata, all'EZLN, al subcomandante Marcos,
di fronte agli ufficiali in trincea, però già più
tranquilli. Evidentemente, gli indios non faranno altro che passare.
Sparano loro solo foto.
La folla esce dal cancello centrale dell'accampamento, costruito
con diligenza dai soldati, e simbolo di dove è entrata,
e da dove potrebbe uscire l'occupazione.
Per la strada, nella curva dove sono soliti mettere il loro posto
di blocco i soldati, gli incappucciati di vari villaggi del municipio
ribelle sostano ancora un po' a gridare slogan nei quali predomina,
sempre, la parola "fuori".
Alla fine, il corteo si dirige verso l'Aguascalientes ad ascoltare
il messaggio via radio del suo comando. Gilberto, alla coda del
corteo, dice con serenità: "Anche se mi hanno ammazzato la mia sposa, voglio continuare
a lottare. Non cambia niente".
Domani uscirà dall'ospedale di Altamirano sua figlia Isabel.
E andrà a resistere nel suo villaggio, in un'altra vallata,
dove c'è anche sua figlia Candelaria.
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
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