La Jornada - Masiosare, domenica 13 dicembre 1998

Ad un anno dal massacro - L'impunità si chiama Acteal

Jesús Ramírez Cuevas

Il massacro fu un crimine di Stato. A Natale dell'anno scorso, un gruppo di paramilitari priisti del municipio di Chenalhó assassinò 45 indigeni tzotziles indifesi. L'attacco fu studiato ed eseguito secondo i manuali militari di controinsurrezione. Obiettivo del genocidio: combattere le comunità ribelli.

Acteal, Chiapas

"Nell'omicidio di 21 donne, 15 bambini e 9 uomini, avvenuto nella zona montuosa di Chenalhó il 22 dicembre dell'anno scorso, ci sono responsabilità del governo statale e federale che non sono state indagate a fondo. La Procura Generale si è limitata ad informare funzionari minori", sostiene José Antonio Montero, avvocato delle vittime e membro del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas. "Non sono stati indagati funzionari del governo statale e federale, elementi delle forze armate e dei servizi che hanno commesso mancanze o per omissione o per commistione, prima, durante e dopo il massacro" aggiunge Montero.

Nelle inchieste giudiziarie ci sono prove e testimonianze che denunciano responsabilità ufficiali. La libertà di cui hanno goduto gli assassini per commettere il crimine fu incredibile. Più di 60 persone - 90 secondo il Centro Fray Bartolomé - armate di fucili AK-47, carabine 22 e mitragliatrici UZI spararono per 7 ore contro 350 indigeni rifugiati ad Acteal, che stavano pregando in una chiesa. Il saldo: 45 cadaveri, 22 feriti... ed un popolo ferito per sempre. Esistono prove che "40 elementi di polizia si trovavano a 200 metri dal luogo del crimine e non fecero nulla mentre gli indigeni venivano massacrati". Il giovane avvocato Montero aggiunge altri dati: "Nel momento in cui si svolgeva il crimine, il generale di brigata Julio César Santiago, coordinatore del Consiglio della Sicurezza Pubblica dello stato, si trovava ad Acteal".

Di fronte al Pubblico Ministero (PM) il generale ammise di essere rimasto lì quattro ore. Con lui si trovavano due comandanti della Polizia di Sicurezza Pubblica (PSP) con i rispettivi contingenti.

Nell'inchiesta ci sono testimonianze di funzionari statali che dimostrano la conoscenza - prima del 22 dicembre - che a Chenalhó operavano gruppi paramilitari. Le responsabilità dei funzionari - almeno per omissione - vanno dal governo statale fino alla Segreteria di Governo (SG). Nella sua testimonianza ministeriale, Homero Tovilla Cristiani, segretario generale del governo dello stato, afferma che un agente del CISEN (Centro di Investigazioni della Sicurezza Nazionale della Segreteria di Governo) informò il Consiglio Statale della Sicurezza Pubblica, alle ore 12.30 del 22 dicembre, due ore dopo l'inizio del massacro, che c'erano disordini a Chenalhó. Ciò nonostante, mai si è accertato chi furono gli agenti del CISEN che fornirono l'informazione al funzionario, di cosa informarono, se Emilio Chuayffet era a conoscenza di quello che stava accadendo, se - a sua volta - la Segreteria di Governo informò il presidente Ernesto Zedillo. Anche questi membri del CISEN, dei quali non ci sono maggiori informazioni nell'inchiesta, dovrebbero essere indagati. Il consiglio, massimo organo decisionale in Chiapas, ha ramificazione su tutto il territorio dello stato. E' formato da rappresentanti del governo statale e dal generale al comando della 7 regione militare. Qualche mese prima del massacro fu costituito il Comitato di Chenalhó, al quale partecipavano le autorità municipali priiste, i comandanti della Sicurezza Pubblica, una rete di servizi militari ed il CISEN. La passività o la complicità con cui agirono diverse autorità nel caso Acteal coinvolge l'allora governatore Julio César Ruiz Ferro e tutto il suo gabinetto, oltre a membri delle Forze Armate e funzionari del governo federale, compreso l'allora Segretario di Governo Emilio Chuayffet. Il processo giudiziario è servito a punire molti degli autori materiali del crimine, ma anche per esimere da qualsiasi responsabilità le autorità statali e federali, così come membri delle Forze Armate, gli stessi che tollerarono o parteciparono alla formazione dei gruppi paramilitari. "Penso che Acteal sia un crimine di Stato", ripete il giovane avvocato, che aggiunge: "Ci sono indizi sufficienti che legano le Forze Armate ai paramilitari.

L'unica cosa che mancherebbe sarebbe la dichiarazione del presidente Zedillo, le confessioni del generale Cervantes, del generale (Mario) Renán Castillo e del governatore Ruiz Ferro. Anche di chi compra le armi, di chi diffonde la politica di controinsurrezione. Quello che mancherebbe nell'inchiesta su Acteal sarebbe questo, indagare il governo".

Il colore dell'impunità

La Procura Generale della Repubblica (PGR) ha ricondotto le indagini del massacro perfino a supposti conflitti interfamiliari ed intercomunitari.

"Consapevolmente o inconsapevolmente, la Procura Generale nega l'esistenza di una violenza incoraggiata precedentemente con una strategia di guerra irregolare, così come la relazione dei "gruppi civili armati" di filiazione priista con le forze armate e funzionari di governo", denuncia José Montero. Il crimine di Acteal non fu un litigio tra comunità, neppure un conflitto tra famiglie rivali che si disputavano il potere politico ed economico del municipio, tanto meno un conflitto religioso. Si trattò di una disputa politica per farla finita con i dissidenti mediante una guerra sporca. Nel processo, il potere giudiziario ha negato i fatti. Secondo il Tribunale Unico del Circuito, "ad Acteal si è commesso un grave omicidio realizzato per una serie di circostanze diverse da quelle che potrebbero essere una strategia di guerra di bassa intensità", informa Montero. Il tribunale respinse anche l'argomento dell'accusa di associazione a delinquere per gli assassini e complici. Neppure la Procura Generale ha considerato nelle sue indagini la responsabilità dei funzionari pubblici in carica quando furono commessi i delitti a loro imputati. La Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) emise una raccomandazione al governo statale ed alla Procura Generale affinché indagasse i funzionari pubblici del gabinetto di Ruiz Ferro per le loro responsabilità nei fatti. La raccomandazione non ha avuto seguito. L'avvocato speciale della Procura Generale ha dichiarato che vuole dare compimento alla raccomandazione della CNDH e questo lo obbliga ad aprire un'inchiesta contro ex-funzionari come Homero Tovilla, l'allora segretario generale di governo; Uriel Jarquín, sottosegretario; Jorge Enrique Hernández Aguilar, coordinatore del Consiglio Statale della Sicurezza Pubblica; Jorge Gamboa Solís, capo della polizia statale, tra gli altri. Ma l'avvocato afferma che non ha elementi contro di loro. "La Procura Generale ha fatto uno sforzo importante, non molto comune in altri casi", dichiara l'avvocato Montero. "In confronto ad altri crimini di cui non si ottengono risultati, qui si è avuto un progresso. La Procura Generale ha dato seguito ai processi, ha portato prove, ha rafforzato alcune parti dei processi che sembravano deboli con dichiarazioni di altri processi a carico della polizia. Ovviamente non c'è niente sulle responsabilità ufficiali né sullo smantellamento dei gruppi paramilitari della zona".

Le indagini del caso sono divise. Da una parte c'è il processo aperto agli autori materiali ed ai loro complici, da un'altra parte c'è il caso dei poliziotti accusati di non aver impedito i fatti e ad altri di non aver arrestato i membri dei gruppi civili armati né di aver sequestrato le armi. Poi si è aperto un altro processo contro i mandanti per la loro partecipazione ai fatti delittuosi. "La Procura Generale ha frammentato l'investigazione. Questa divisione comporta il rischio di non conoscere i fatti integralmente ed analizzare l'esistenza di un contesto criminale che si rivela nel massacro: l'esistenza di gruppi armati che mantengono rapporti con le autorità municipali e statali, e con le Forze Armate e di polizia. I fatti in esame sono in relazione tra loro, quindi devono essere affrontati nel loro insieme: a partire dal comportamento del generale presente fino all'aggressore che partì da Tzajalucum verso Acteal. Questo è stato totalmente trascurato dai tribunali". Nelle conclusioni presentate dalla Procura Generale, non tutti i comportamenti dei processati sono in relazione tra loro. Invece di pensare - dice José Montero - ad atti concreti simultanei, pianificati e concatenati, l'autorità giudiziaria giudica i comportamenti individuali in modo isolato. "Il giudice sicuramente condannerà queste persone per omicidio, per porto illegale di armi; ma lo stato vuole assolvere se stesso da ogni responsabilità. Siamo consapevoli che la giustizia è soggetta ad un gioco politico, e che le linee processuali e giuridiche sono soggette a questa interpretazione. Il caso Acteal è un caso politico".

Il manuale e l'operazione

Nel 1995, quando cominciavano a formarsi i gruppi paramilitari nella zona nord, ed un mese prima dell'offensiva militare contro gli zapatisti, la Segreteria della Difesa Nazionale pubblicò un manuale di guerra irregolare, operazioni di controguerriglia e ristabilimento dell'ordine. Il manuale fu stampato nel laboratorio grafico della Sezione 7 dell'Esercito e vari dei suoi capitoli si adattano ai fatti di Acteal. Nel capitolo "Azioni per controllare la popolazione" si parla della formazione di forze civili armate:

Fase 1. La preparazione si realizzerà con le seguenti attività: organizzazione del comitato di quartiere, organizzazione delle forze di opposizione, installazione di distaccamenti di sicurezza, ricerca di informazioni, sviluppo di operazioni psicologiche e la realizzazione di riunioni segrete, addestramento di forze civili, militari e militarizzate.

Fase 2. Qui si rendono note tutte le limitazioni alle quali sarà sottoposta la popolazione, si indicano i correttivi per chi viola le disposizioni date. Nello stesso tempo, si dichiara che si imporranno con vigore e fermezza.

Nel capitolo "L'organizzazione di unità tattiche di controguerriglia e disponibilità di truppe", il manuale afferma: "Il comandante della controguerriglia può non avere il controllo della totalità delle forze di unità di retroguardia per impiegarle. Queste forze possono comprendere unità di combattimento e di appoggio al combattimento e appoggio al servizio. Oltre a questo, il comandante, in determinate situazioni, può avere sotto il suo controllo forze paramilitari od irregolari".


(traduzione del Comitato Chiapas "capitana Maribel" - Bergamo)



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