From: mariano@mac.com.mx
Testimonianza del 12/13 giugno 1998

 

TESTIMONIANZA DI UNA COMPAGNA DEL FRONTE ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE, SULLA CONSEGNA DEI CORPI DA PARTE DELLA CNDH ALLA COMUNITÀ INDIGENA DI UNIONE PROGRESSO

 

Non dobbiamo perdere la capacità di indignarci!
Com'è possibile tanta umiliazione?

 

Il giorno 12 giugno ci hanno informato che avrebbero consegnato i corpi dei compagni morti nello scontro del giorno 10 giugno nel municipio di El Bosque. In commissione ci siamo preparati ad andare per informare la gente delle comunità di Unione Progresso e Chavajeval che i corpi sarebbero stati consegnati e si dovevano identificare.

Circa due ore dopo aver ricevuto la informazione, il SEMEFO ha avvisato che i corpi non sarebbero stati consegnati in giornata dato che bisognava eseguire la necroscopia (i cadaveri erano da già più di 72 ore senza nessun trattamento).

Alle sei del pomeriggio dello stesso giorno sono tornati a dirci che sì avrebbero consegnato i corpi però che li avrebbero portato dei camion della Polizia di Sicurezza Pubblica. Allora, Enlace Civil si è messa in comunicazione con la CNDH perché informassero Tuxtla che i compagni non avrebbero permesso l'entrata della Sicurezza Pubblica o dell'Esercito. La risposta da parte del SEMEFO è stata che i cadaveri allora sarebbero stati lasciati in Bochil. Dopo molto si è riusciti ad ottenere dalla CNDH dei camion civili per trasportare i cadaveri.

Sabato 13 giugno, in vari membri di Enlace Civil, dell'FZLN, della società civile, del CNDH, del Fray Bartolomé de Las Casas e della stampa, partiamo in direzione di Unione Progresso per accompagnare i compagni a ricevere la loro gente assassinata. Dopo varie ore (5 più o meno) di attesa che si riunissero le diverse comunità del municipio di El Bosque, siamo entrati nella spianata centrale di Unione Progresso e lì abbiamo trovato circa due mila persone che formavano un cordone intorno alla spianata. Già durante il cammino si stavano riunendo gli uomini, che pareva uscissero dalle pietre e si allineavano man mano dietro al camion che trasportava i corpi.

Quando è iniziata la riunione, si è informata la CNDH che li ricevevano perché volevano che vedessero i frutti del loro lavoro, però quelli che avrebbero dovuto consegnare i corpi sarebbero stati quelli del Fray Ba. La gente della CNDH ha mantenuto un atteggiamento prepotente e si è nascosta in mezzo alla società civile, allora il compagno che dirigeva l'atto ha chiesto loro che sfilassero davanti alle gente della comunità perché tutti li vedessero in faccia; in quei momenti si ascoltavano grida di uomini e donne che li paragonavano al diavolo: Diavolo Nero!, Assassini! Non avete ancora le corna però siete peggiori del diavolo! Figli del governo!

Allora è salito il quarto visitatore della CNDH sulla camionetta, dato che nessuno della CNDH osava farsi vedere in faccia e lì sono iniziate le domande: che ne farete degli assassini? perché li hanno ammazzati se loro non avevano fatto niente? non hanno rubato, non hanno ammazzato, dove sono i loro vestiti, a chi li hanno venduti? perché ci hanno consegnato 8 corpi se qui ce ne mancano 7? quando ci restituiranno i nostri detenuti? se li sono portati via vivi, perché ce li consegnano morti? eccetera.

Il visitatore rispondeva solo che lui non li aveva ammazzati, che il suo cuore era pulito, inoltre chiedeva che gli parlassero in spagnolo dato che non capiva il tzotzil. Il "giudizio di coscienza" è durato quasi tre ore, fino a che è stato dato l'ordine di abbassare le bare. Alle sei del pomeriggio le 8 bare erano al suolo, il visitatore continuava a stare nella camionetta, la peste era già insopportabile, tutti ci siamo messi fazzoletti spruzzati di eucalipto per non vomitare, quando la prima bara è stata aperta. Le grida ed i pianti erano insopportabili e l'immagine che ci è stata consegnata è stata quella di un corpo putrefatto, con gli intestini spappolati e con vermi che uscivano dal ventre, i testicoli erano gonfiati al grado di esplodere, il colore del "corpo" era come quello di un pezzo di alga di un stagno, era verde; è stato allora che si è sentito il nome di quest'uomo. Così hanno aperto bara dopo bara, tra grida, pianti, vomito e disperazione. Il FrayBa domandava: se lo sono portati via vivo o morto? Vivo, era vivo! Rispondevano le madri, le mogli ed i piccoli bambini che guardavano il corpo putrefatto del loro padre, che avevano visto per l'ultima volta nella mattina del 10 giugno mentre si dirigeva al suo campo. Perché a Unione Progresso? Lì non c'erano armati, lì li hanno circondati tutti e li hanno massacrati; tutti pensavano che il convoglio militare andasse in direzione Los Plátanos, qui non è stato come in Chavajeval, qui la gente andava verso il suo campo e lì li hanno assassinati, lì li hanno legati e se li sono portati via trascinandoli.

Quando è stata aperta l'ultima bara, tutti abbiamo visto lo spettacolo più atroce, quell'uomo non si poteva identificare, lì non si vedevano più i tratti, erano solo viscere e vermi in una cassa rivestita di bianco. Che facciamo di lui? ha domandato la gente. Che se lo porti la CNDH a Zedillo perché mangi la carne, il mais della sua raccolta! Gridava il popolo. In quel momento un uomo si è alzato e ha detto: È un compagno nostro, anche lui fertilizza la terra, è zapatista, di tutto il resto non importa! Allora la comunità lo ha ricevuto e lo ha sotterrato nella sua terra.

Il quarto visitatore è stato fatto scendere dalla camionetta ed è stato portato di fronte ai cadaveri, lo hanno tenuto lì, senza niente che gli coprisse la bocca e il naso, per quasi un'ora. E allora è apparso un anziano, si è fermato fronte a lui e con uno sguardo duro gli ha detto: "io sono padre di uno di questi uomini", ha alzato la mano e lo ha schiaffeggiato, dopo si è ritirato.

La sepoltura di 5 corpi si è conclusa alle 3 della mattina in Unione Progresso, gli altri 3 sono stati portati via a Chavajeval, vegliati nella chiesa e sepolti con i loro stivali ed i loro sombreri nel cimitero del villaggio.

 

Non perdiamo la capacità di indignarci!

 
 
 

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
 
 
Ciò che segue sono le immgini di quella drammatica giornata
 
La notte del 12 giugno, ad Oventic, è apparso questo comunicato firmato dai 32 municipi autonomi.
Solo questo: Questo è il silenzio zapatista. Un silenzio che parla, che è dignità di fronte all'eloquente menzogna del potere e ad un governo che uccide.
 

Il 10 giugno 1998, la brutalità e la guerra sono arrivate con 2500 soldati e poliziotti nel municipio autonomo San Juan de la Libertad. Il pretesto: la morte di un priista il giorno precedente nella colonia Los Platanos, unico luogo a presenza priista della zona, visto che le poche famiglie zapatiste, continuamente minacciate dai paramilitari, si sono rifugiate nella montagna dal marzo scorso.

La polizia e l'esercito non si sono limitati a distruggere, saccheggiare, arrestare. Hanno cercato lo scontro per "ristabilire lo stato di diritto" nel sangue. Mortai, lanciagranate, blindati, bazooka, elicotteri, spari e raffiche di mitra contro la popolazione poverissima di Unión Progreso, dove vivono 26 famiglie e contro la comunità di Chavajebal, situata al margine della montagna. Si è trattato di un attacco alla popolazione civile che ha provocato un numero imprecisato di feriti, una cinquantina di arresti e, ufficialmente, nove morti: otto indigeni ed un poliziotto.
Chi può credere che sette zapatisti si siano "scontrati" con migliaia di poliziotti e soldati in un villaggio di 26 famiglie?
 

Unión Progreso, 13 giugno 1998
 
 
 
 

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Una profonda indignazione pervade i 1500 tzotziles protagonisti della terribile cerimonia della vergogna e del dolore, nel ricevere i corpi degli otto compagni uccisi.
 
 

 

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Decine di donne piangono. Un coro collettivo, ululante, continuo, che si attenua la notte, dopo aver visto i corpi dei propri morti.
 
 

 

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I cadaveri decomposti, straziati, irriconoscibili, vengono consegnati, come un affronto, alla comunità ed ai famigliari, con le viscere fuori, le cavità oculari riempite di cotone, le labbra mutilate, la pelle bruciata dagli acidi.
Fotografie testimoniano che sei dei sette morti sono stati portati via dal villaggio vivi. Quattro giorni dopo il governo restituisce 8 resti umani mutilati e torturati.
 
 

 

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La macabra apertura delle bare si svolge un'infinità di volte, perché nessuno può trovare i propri morti, come non mai il dolore è condiviso perché, come ha scritto il cronista Hermann Bellinghausen: "La gente rimane con i propri morti, che sono come uno solo. Siccome sono irriconoscibili, tutti sono di tutti."
 
 

 

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Si teme che la rabbia si riversi sul rappresentante della Commissione Nazionale per i Diritti Umani (CNDH) Adolfo Hernández Figueroa che, come incarnazione del governo, viene giudicato per questi omicidi da un tribunale popolare pesante, interminabile, inclemente. "Non si preoccupi, gli zapatisti non sono assassini, non le succederà nulla." Dice con voce indignata e gli occhi pieni di lacrime un osservatore allo spaventato membro della CNDH. Per l' "accusato" il castigo è la vergogna e l'oblio (che non significa perdono).
 
 

 

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"I signori del potere e del denaro hanno commesso ancora una volta un orrendo crimine, attraverso la guerra sporca e genocida, contro i popoli indigeni del Chiapas e di tutto il Messico".
 

 
 

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"Vogliamo dire ai signori del potere che non ci fermeremo, non staremo a braccia incrociate. La giusta lotta del popolo zapatista non si può fermare con le pallottole, con i carri armati e gli aerei da guerra".
"Viva al EZLN y a los compañeros caídos por la libertad de México y del mundo".
 
 

 

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"Siamo qui ancora una volta per essere testimoni delle azioni criminali e sanguinarie del governo illegittimo di Roberto Albores Guillen e del Presidente Ernesto Zedillo Ponce de León".
 
 

 

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Chavajebal, 12 giugno 1998. La casa ejidal, la tienda, la scuola: tutto distrutto dai soldati.
 
 
 
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Chavajebal, 12 giugno 1998. L'impronta dei soldati: mierda.
 
 
 
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Chavajebal, 12 giugno 1998. La firma dei militari: "Viva la legge di sicurezza pubblica".
 
 

 

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Questa è la pace, questo è il "dialogo senza intermediari" che vuole il governo messicano.
 

Testi ed immagini a cura di Annamaria Pontoglio
 
 
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