12-Ottobre-1996

La dolente forza di Ramona


L'india che Marcos ha mandato a rappresentare gli zapatisti a Città del Messico: malata di cancro ma una grande "presenza" politica

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTO'BAL DE LAS CASAS

SFOGLIANDO LA MARGHERITA. Il dibattito ha dominato per due settimane la vita del Messico: possono dei delegati zapatisti andare nella capitale, sì o no?

Gli zapatisti meritavano un posto di assoluto rilievo nel Congresso nazionale indigeno che i 50 e passa popoli indo-americani stanno celebrando in questo momento a Città del Messico. Ma il governo, fino all'ultimo,, non era dello stesso parere.

Ovviamente il problema era più politico che giuridico. Il governo non poteva permettere che gli zapatisti facessero un viaggio trionfale attraverso il paese, ospitati in alcune comunità indie famose per le loro lotte, per entrare nella capitale acclamati da decine di migliaia di studenti (che li hanno già invitati all'università). Ma alla fine ha dovuto cedere.

Malgrado sia stata la prima donna zapatista, insieme alla mayor Ana Maria, a comparire in pubblico durante i dialoghi della cattedrale di San Cristobal, della comandante Ramona non si sa molto: che è una tzotzil di una comunità di San Andrés Larraìnzar; che è entrata giovanissima nell'Ezln e parla poco lo spagnolo; che è un quadro politico e ha lavorato alla preparazione della famosa Ley revolucionaria de mujeres; che ha un cancro incurabile e una grande forza interiore.

L'accoglienza calorosissima che le ha dato la capitale testimonia la volontà di riconciliazione storica fra il Messico meticcio e i suoi popoli originari.

Qualcuno ha definito l'atteggiamento degli zapatisti "sindrome di David". Ma anche a voler ignorare i simboli, la figura di questa minuscola india maya, mortalmente malata, che vola su un paese militarizzato - specialmente intorno alle regioni indie - per andare ad abbracciare i suoi fratelli riuniti in congresso significa molto e ricorda qualcosa. E' un messaggio di sofferenza, dignità e coraggio, oltre che politico.

Salinas non è morto

Venduto come pignatta da rompere a bastonate nelle feste, offerto ai semafori come pupazzetto Chupacabras con due avidi canini che gli spuntano sotto i baffetti, Carlos Salinas de Gortari, esorcizzato e maledetto da 90 milioni di messicani alle prese con la crisi, è più vivo che mai.

Nessuno è riuscito ancora a piantargli il fatidico paletto nel cuore. Anche perché il cuore dell'ex-presidente, se così si può chiamare, è sparso in decine di banche con sedi in tutto il mondo conosciuto.

Membro della direzione del Dow Jones, amico personale di Goldman Sachs e del ministro del tesoro americano Rubin, redattore-ombra del Wall Street Journal, Carlos Salinas de Gortari vive ora in una splendida casa in Irlanda. Studia con interesse la cultura irlandese. Ha affari in corso in Canada, a Cuba, negli Stati uniti e, naturalmente, in Messico. Proprietà immobiliari in Europa. Amicizie solide,influenza politica.

Certo, ha anche qualche problema: un fratello in carcere, un sospetto di vincoli con il narco-traffico, qualche punto da chiarire sugli omicidi di stato. Niente di insuperabile, però.

Due settimane fa, il congresso nazionale del Pri, che si era aperto con un clamore di espulsione dell'ex-presidente, si è chiuso in sordina su questo argomento. Nella sessione finale, gli unici due o tre "Fuori Salinas!" sono stati zittiti d'autorità.

Il tonto del pueblo

Credevo, come tutti, che il tonto del pueblo, lo scemo del villaggio, fosse un'invenzione giornalistica, un pretesto come un altro per commentare sulle pagine del quotidiano La Jornada i fatti più caldi dell'attualità messicana.

E invece eccomelo seduto di fronte, nella scenografia barocca del ristorante La Opera, a un passo da Bellas Artes.

Mi ha promesso delle "ultimizie" - ci ho messo un po' a collegarlo con "primizie" - sull'ex-presidente Salinas. "In realtà, è su suo fratello Raùl - mi dice eccitatissimo -. In questo momento, un procuratore, due medium e l'ex amante di Raùl hanno trovato il cadavere di Munoz Rocha nel parco di el Encanto, una proprietà dei Salinas nelle vicinanze della capitale".La vecchia al tavolo vicino ci guarda con aria incredula. Gli faccio segno di abbassare la voce e ordino due aperitivi.

Munoz Rocha è quel deputato del Pri implicato nell'omicidio di Francisco Ruiz Massieu, il segretario del partito ucciso nel settembre del '94 che era ex-cognato dei fratelli Salinas? "Exactamente - sorride il tonto -. Implicato è poco. Fu Munoz Rocha a organizzare l'eleminazione, a contrattare i killer. E sparì misteriosamente subito dopo". La notizia del ritrovamento di "resti umani" nel giardino della villa è poi stata confermata, giovedì, dalla polizia, anche se non è ancora certo che si tratti proprio di Munoz Rocha.

Vuol dure che ormai è guerra fra Salinas e Zedillo? "Ultimamente, guerra" - mi dice il tonto -. La chiusura dell'ippodromo de las Americas, in cui la famiglia Salinas aveva una partecipazione, è solo un dispetto simbolico. Nessuna delle due parti potrebbe permettersi una guerra all'ultimo sangue. Diciamo che, in questo momento, il presidente Zedillo è amicissimo di Clinton e Salinas è vede con più favore i repubblicani". Allora si è fregato da solo, dico, si è messo dalla parte dei perdenti: "Ricordati che Salinas può far crollare la Borsa messicana quando vuole e ha lasciato fra gli attuali ministri e governatori un bel gruppetto di compari. Il suo progetto, "l'America agli Americani!" - ride sgangheratamente - è abbastanza solido da soppravvivergli". Già ma quale America e quali americani?

Ezln e Ezpl

La prima sigla è famosa in tutto il mondo da quasi tre anni. La seconda la riconoscono solo i messicani, e neanche tutti: sono le iniziali di Ernesto Zedillo Ponce de Leòn, attuale presidente della repubblica, capo dei tecnocrati made in Usa. Ammiratore sfegatato di Francisco Madero, il primo presidente rivoluzionario, e del neoliberalismo della scuola di Chicago, questo "grigio burocrate", come fu definito prima della sua elezione, è l'incarnazione del persistente salinismo che tiene ancora in mano, dicono, il 51 del paese. Ma è, soprattutto, un uomo irrimediabilmente sfigato.

E' diventato presidente sulla morte dell'uomo che avrebbe dovuto contribuire a intronizzare.

Zedillo era infatti il responsabile della campagna elettorale di Luis Donaldo Colosio, il candidato presidenziale che cadde, a Tijuana, sotto il peso di killer tuttora misteriosi e delle sue velleità riformatrici.

Lo scorso 16 settembre, anniversario dell'indipendenza messicana, è stata eliminata la partecipazione della forza aerea alla parata militare. L'anno prima due caccia, nel momento in cui venivano indicati con ammirazione dal presidente, si scontrarono producendo vari morti in un quartiere popolare.

Sempre un anno fa, nel settembre '95, l'apertura della stagione di pesca del gambero sull'Atlantico, fu data in un porto di Sinaloa dal presidente in persona, con lo sventolio di una bandiera. Le mogli dei pescatori lo ricordano ancora come "el banderazo de la muerte": il forte uragano che si scatenò subito dopo inghiottì decine di pescherecci. Un centinaio di pescatori non tornarono a casa.

Per concludere la serie, in quello stesso periodo Ezpl andò a visitare un villaggio dello Yucatan devastato dall'uragano. A poche ore dalla sua partenza, l'uragano ripiombò sullo stesso luogo, raddoppiando i danni.

Lo suo slogan elettorale, "il benessere alle famiglie", si è tradotto, dopo neanche un mese di presidenza nel dimezzamento secco del potere acquisitivo del paese. Eppure, intervistato giorni fa da una televisione, Ernesto Zedillo ha dichiarato: "Fortunatamente, niente può colpire il presidente del Messico".

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