La Jornada, 12 ottobre 1996
Mancano poco più di tre settimane alle elezioni presidenziali
negli Stati Uniti ed il supremo governo della Terra si muove su
tutti i fronti affinché nessun conflitto regionale metta
in discussione la probabile rielezione di Clinton. Per questo,
sia nel caso del popolo curdo, diviso ed in conflitto alle frontiere
dell'Iraq e della Turchia, come per la nuova disputa fra Israele
ed i palestinesi, la Casa Bianca si è mossa rapidamente:
bombardando Sadam Husseim e mediando tra Arafat e Netanyahu perché
nessuno muova le acque alla vigilia delle elezioni del Presidente.
In base a questa logica è necessario studiare il sorprendente
controllo che l'amministrazione di Ernesto Zedillo ha esercitato
domenica scorsa sui "caciques" dello Stato di Guerrero,
durante le elezioni municipali che tra l'altro hanno significato
una straordinaria vittoria dei candidati del Partito della Rivoluzione
Democratica (PRD) e hanno dato un meritato appoggio in direzione
di Andrés Manuel López Obrador.
Scongiurato il sicuro straripamento che avrebbe portato senza
dubbio ad una crisi postelettorale in Guerrero, il regime ha alzato
la testa per tirare un respiro di sollievo e rompere la sfida
proposta dalla visita di una delegazione dell'Esercito Zapatista
di Liberazione Nazionale a Città del Messico: una sfida
che, è importante ricordarlo, ha perso agli occhi del paese
e del mondo.
Con la chiara certezza che "la ragione, l'autorità
morale, l'opinione pubblica, la storia e la legge" sono,
come si è detto, "dalla parte degli zapatisti",
il subcomandante ribelle Marcos aveva iniziato martedì
mattina, fra le selvatiche pareti verdi della nuova Numanzia,
una difficile e delicata mano di poker su vari tavoli: in uno,
con i deputati e senatori della Commissione di Concordia e Pacificazione
(Cocopa), in un altro, con le personalità riunite nella
Commissione Nazionale d'Intermediazione (Conai) e in un altro
ancora, attraverso interposte persone e a gran distanza, con la
Segreteria di Governo e - secondo l'acuto articolo di Alvaro Arreola
Ayala di ieri su El Financiero - con l'Esercito.
Scrive Arreola Ayala in proposito: "L'uscita della comandante
Ramona dalla regione chiapaneca, in mezzo all'accerchiamento militare
più grande della storia locale e nazionale, è stato
a tutti gli effetti un accordo negoziato politicamente tra il
titolare dell'Esecutivo Federale e il segretario della Difesa,
nell'ambito di quello che è stato il primo incontro tra
differenti comandanti militari della Repubblica lunedì
scorso".
Proprio la notte di lunedì 7, una volta risolta la divergenza
con le forze armate - notizia che probabilmente, sospetta il tonto
del pueblo, Marcos non ha saputo fino alla fine della partita
- entrarono in azione la Conai e soprattutto la Cocopa, che martedì
8 si trasferirono nella selva. Allora, la prima cosa che Marcos
disse sia agli uni che agli altri, in riunioni separate, fu che
l'EZLN in nessun momento aveva detto pubblicamente che desiderava
mandare rappresentanti al Congresso Nazionale Indigeno, che stava
cominciando proprio in quel giorno a Città del Messico.
Il dibattito che si è sviluppato nelle ultime tre settimane
sul diritto al libero transito degli zapatisti, sottolineò
Marcos, non è stato provocato dall'EZLN ma dalla società
civile, e l'eco è cresciuto in Messico e nel mondo grazie,
in primo luogo, agli spropositi che hanno divulgato gli aiutanti
della segreteria del Governo e, dopo, grazie alle ridicole dichiarazioni
degli alti dirigenti del regime, così come del PRI, del
PAN e dei vertici imprenditoriali, assecondati dai portavoci della
stampa dell'ultradestra salinista.
Quando la valanga di opinioni a favore dell'uscita degli zapatisti
è arrivata al culmine, la Cocopa ha interpretato con certezza
che si apriva la possibilità di ricostruire il dialogo
fra l'EZLN e l'amministrazione di Zedillo, possibilità
che era stata polverizzata dalla goffaggine dei "negoziatori"
governativi nella "Mesa" di San Andres. E fu con tali
precedenti che s'iniziò allora l'interscambio di carte
da gioco fra la Cocopa e il Sup.
Per tutta la durata del gioco, dice lo sciocco del villaggio che
gli dissero fonti vicine ai famigliarmente chiamati "cocopos",
Marcos si comportò con un ammirabile sangue freddo e con
un asso custodito nella manica. L'EZLN, sapeva che i suoi avversari
sul tappeto di feltro, erano caduti in un trabocchetto. Come
organizzazione guerrigliera era stata spiazzata dall'opinione
pubblica per l'impatto dell'EPR. Come impugnatore del regime
aveva perso terreno sui mezzi di comunicazione. Peggio ancora,
la sua alleata strategica, la società civile, era esausta,
demotivata e senza forze. E come colmo di tutto, il suo ritiro
da San Andres non aveva commosso altri se non i burocrati che
vivono al soldo che la società paga loro, attraverso il
governo, per cercare di "immobilizzare politicamente"
gli zapatisti.
Assediato, come dice Alvaro Arreola, " dal più grande
accerchiamento militare" nella storia del Messico, ma isolato
ugualmente all'interno dell'accerchiamento politico creato dal
logoramento proprio e dei suoi adepti, Marcos ha ricevuto la proposta
della Cocopa e ha chiesto il prezzo che avrebbe dovuto pagare
per questo, perché la politica è una rara moneta
che da un lato mostra la faccia della guerra e dall'altra il timbro
del commercio. E visto che il prezzo non era fissato dalla Cocopa
ma dalla Segreteria di Governo, ed era molto alto - in poche parole,
il disarmo, l'abolizione dei passamontagna e l'impegno di trasformarsi
entro poco tempo in un organismo civile -, il Sup rilanciò
segnalando con malizia che stavano cercando di vendergli molto
caro il "permesso" di andare al Distretto Federale,
una mercanzia che, d'altra parte, aveva già in tasca.
Cosicché, signori, dicono che la prese con tutta serenità,
passò la mano.
Nella serata di martedì, quando la maggior parte della
Cocopa se ne andò dall'ejido de La Realidad per volare
direttamente a Città del Messico e atterrare a Bucareli,
Marcos aveva già ottenuto l'offerta nella quale il Governo
accettava ciò che si era pattuito, la Cocopa tornava con
il fermo impegno che nella mattina di giovedì una delegazione
di "non oltre i dieci membri" dell'Esercito Zapatista
di Liberazione Nazionale - scelta liberamente dal comando generale
- sarebbe stata scortata verso la capitale del paese per essere
presente alla chiusura del Congresso Nazionale Indigeno. E non
si discusse neppure se proprio Marcos fosse incluso nel gruppo:
i "cocopos" lo davano per scontato.
Nella stessa notte del martedì, già a Bucareli,
quelli della Cocopa si gettarono a capofitto con gli impiegati
di Chuayffet in una discussione tormentata, il cui tono saliva
e scendeva attraverso stanze e lungo le scale del regime finché
i dadi non arrivarono nelle mani del dottor Zedillo. E quando
questi espresse il suo assenso, era quasi la mattina di mercoledì
9, i "cocopos" si trasferirono un'altra volta nella
selva, ricominciarono la partita di pocker con Marcos e conclusero
l'affare: i legislatori dissero al Sup che il Presidente della
Repubblica accettava che "una delegazione di non più
di dieci membri dell'EZLN partissero, all'indomani mattina, per
andare al Distretto Federale.
Marcos, dicono, ma non è difficile immaginare la situazione,
nascose il sorriso, riempì la pipa, avvicinò la
fiamma al fornello della pipa e procedette nel rivedere le questioni
operative relative al tema. Era stato scartato - perché
in questo aspetto i "cocopos" maneggiarono con abilità
il fattore tempo - che il trasporto potesse effettuarsi via terra,
attraversando gli stati del Chiapas, Oaxaca e Puebla, dove senza
dubbio sarebbero state presenti sulle strade migliaia e migliaia
di persone. No: sarebbe stato un aereo e con l'aiuto della Croce
Rossa nel tratto tra La Realidad e Tuxtla Gutierrez e eccetera,
eccetera.
E allora, quando mancava solamente che l'EZLN facesse conoscere
i nomi dei "dieci" delegati ribelli che avrebbero viaggiato
in compagnia della Cocopa e della società civile, e considerando
che il gioco fosse terminato e che per tanto sarebbe stata una
trappola, Marcos tirò fuori l'asso che aveva conservato
per tutto il tempo nascosto nella manica e lo depositò
sul tappeto per dare un colpo da maestro:
- La delegazione che invieremo al Congresso Nazionale Indigeno
- annunciò - sarà formata unicamente ed esclusivamente
dalla comandante Ramona -.
Una frase che probabilmente non passerà alla storia, che
spiega però, almeno così dice lo sciocco del villaggio,
il taurino titolo di questo articolo.
Il "prezzo" che l'EZLN si è impegnato a pagare
per questo elevato accordo politico non lo conosceremo fino a
martedì prossimo, quando i comandanti zapatisti si incontreranno
nuovamente con la Cocopa in San Cristobal. Ciò che conta,
e merita per questo di essere raccontato, è che attraverso
la negoziazione, senza ricorrere alle armi, gli zapatisti hanno
rotto l'accerchiamento politico nel quale diversi fattori lo avevano
rinchiuso. Questo in primo luogo.
Secondo, che in modo pacifico, favoriti dalla complicità
del popolo, nel segreto della loro organizzazione e con l'efficacia
che li caratterizza, hanno rotto, allo stesso modo, l'accerchiamento
militare, perché la comandante Ramona vive e sempre ha
vissuto nelle montagne tzotziles del Altos de Chiapas, da dove
inferma e tormentata dal suo dolore, incrociò per due volte
le linee governative: una per uscire dalla "terra fredda"
e l'altra per entrare nella zona più calda e vigilata della
selva. Il semplice fatto che Ramona fosse alla Realidad prima
che iniziassero le trattative fra l'EZLN e la Cocopa, conferma
solo che Marcos aveva tenuto questa carta nella manica per tutto
il tempo, non per vincere ma per dimostrare che, nel peggiore
dei casi, avrebbe potuto vincere la mano con il regime.
Adesso, con l'appoggio attivo della società civile e con
la simpatia dell'opinione pubblica mondiale, l'EZLN ha sconfitto
la stupidità e aperto le porte del senso comune, non solo
per impiantare in un futuro immediato nuovi distaccamenti nel
territorio messicano ma, prima di tutto, per esigere, nello stesso
modo di molte altre forze e con la ragione più che mai,
un vero dialogo nazionale per la transizione pacifica ad un nuovo
sistema politico e ad un nuovo progetto economico.
E' un peccato che nel mezzo di questo quadro, nel colmo della
disperazione, per lavare la faccia di tutti quelli che si sono
resi ridicoli opponendosi alla visita degli zapatisti, e per
occupare le otto colonne dei quotidiani con una piccola indigena
malata che arriva alla capitale con la bandiera del Messico teneramente
piegata fra le mani, i propagandisti del potere abbiano dovuto
dissotterrare uno "scheletro" che, se rappresenta qualcosa,
è lo stato di salute del "sistema".
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino )
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