TEMPO DI UCCIDERE

 

ADOLFO GILLY *

 

Questa volta non sono stati i paramilitari, come ad Acteal. Tra l'8 e il 10 giugno del 1998 l'esercito messicano e la polizia, con le loro uniformi e i loro comandi istituzionali, hanno ammazzato undici campesinos nello stato di Guerrero e otto nel Chiapas. In nessuno dei due casi vi è stata resistenza, né scontro armato. Quelli del Guerrero, secondo testimoni e prove, sono stati giustiziati o massacrati. Quelli del Chiapas sono stati massacrati a Unión Progreso, secondo la versione ufficiale, in risposta a spari provenienti dalle alture. In tutti e due i casi gli effettivi militari e della polizia erano più di mille, con blindati, bazooka e armi ad alto potenziale. In tutti e due i casi gli abitanti sono fuggiti dai loro villaggi sui monti.

Una truppa di mille e duecento effettivi fortemente armati che, per rispondere a spari dalle alture, massacra una popolazione indifesa, non lo fa per difendere se stessa ma per obbedire agli ordini. "Durante l'operazione, 26 case e due spacci cooperativi sono stati saccheggiati", denunciano i sopravvissuti. Che hanno visto i soldati portarsi via su un camion, legato come un sacco, il corpo inerte di un uomo con gli occhi bendati. Questo esercito ha un comandante in capo. Si chiama Ernesto Zedillo e ricopre l'incarico di Presidente del Messico. Il comandante in capo deve spiegare al paese e al mondo questo bagno di sangue lungamente annunciato.

A forza di ingiurie e di oltraggi, Ernesto Zedillo e i suoi funzionari hanno obbligato il vescovo Samuel Ruiz all'unica soluzione dignitosa: denunciare la politica di guerra del governo, annunciare gli attacchi imminenti e rinunciare alle sue inutili funzioni di mediatore. Questi annunci si sono avverati con una prontezza che ha sorpreso perfino i più severi critici del governo.

I fatti si dipanano dando tragica ragione al prolungato silenzio zapatista. E' l'antico silenzio dei combattenti, dei prigionieri, dei resistenti dinanzi all'offesa, alla menzogna e al cinismo quotidiani di coloro che usano le parole come fossero escrementi. Ma le parole sono sacre. Con chi adoperarle se di fronte non si ha un interlocutore? Cosa rispondere a chi esige il dialogo mentre la sua bocca insulta e le sue truppe ammazzano indigeni, saccheggiano case, distruggono campi e terrorizzano bambini? (...).

E' di altri, ora, il turno di parlare. Il parlamento può intervenire per fermare questa pazzia, ha il potere di chiedere al dottor Ernesto Zedillo una spiegazione, rivolta alla nazione, per questi massacri. 19 uccisi da pallottole del governo messicano alla vigilia del Mondiale di calcio. Nel mondo ci si chiede se era per eliminare testimoni, che sono stati espulsi gli osservatori. Il ministro degli esteri, signora Green, deve spiegare all'opinione internazionale, ai paesi dell'Unione europea e a quelli dell'America latina che cosa significano questi indigeni massacrati e questi prigionieri bendati e legati come sacchi sui camion militari. Che il Mondiale non sia la cortina per occultare queste atrocità e per continuarle. Che la festa non nasconda il tempo di uccidere.


* da "La Jornada" del 12/6/98 - tradotto da IL MANIFESTO il 13/6/98



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