La Jornada 11 giugno 1998
L'incursione dal racconto degli abitanti
Jesús Ramírez Cuevas, speciale per La Jornada, Unione Progresso, Chis., 10 giugno ¤
Sicurezza Pubblica e giudiziari statali e federali hanno effettuato un'incursione questa mattina in questa comunità. Gli abitanti del luogo hanno smentito la versione della Procura locale che si fosse prodotto un scontro tra poliziotti e simpatizzanti dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
I contadini di questa comunità hanno denunciato che la polizia è arrivata sparando e che un gruppo di indigeni tzotziles disarmati sono stati attaccati con armi di fuoco dalle forze dell'ordine. A seguito dell'operazione, 26 case e due negozietti delle cooperative della comunità sono stati saccheggiati e derubati. Più di cento donne e bambini sono fuggiti in montagna.
Dalle quattro della mattina più di mille poliziotti di Sicurezza Pubblica e soldati dell'Esercito Messicano hanno preparato l'attacco contro tre abitati indigeni zapatisti del Bosque (municipio autonomo San Juan della Libertà): El Bosque, Chavajeval e Unione Progresso.
All'alba 16 veicoli di Sicurezza Pubblica, appoggiati da elementi dell'Esercito, sono entrati dall'unica strada sterrata che arriva ad Unione Progresso, un piccolo villaggio situato al fondo di una gran vallata che divide i municipi di San Andrés e di San Juan della Libertà (El Bosque).
Allo stesso tempo, decine di poliziotti statali e federali hanno camminato per i pendii circostanti circondando il villaggio. C'erano due priisti incappucciati con loro che segnalavano gli zapatisti, hanno detto gli abitanti, e dopo essere stato denunciato un gruppo di contadini civili - simpatizzanti zapatisti - è stato attaccato con le armi da fuoco dai poliziotti, però non sanno quello che è successo loro. La polizia si è ritirata alle due del pomeriggio.
Sono sei o sette i contadini spariti: Andrès Gómez Gómez, Antonio Gómez Gómez, Adolfo Gómez Díaz, Mario Sánchez Ruiz, Lorenzo López Méndez e Bartolo López Méndez. Sebastián Gómez Gómez, abitante del luogo, ha denunciato: "Non sappiamo se se li sono portati via, se li hanno ammazzati o se li hanno feriti, però, di sicuro, ci sono stati feriti ma se li sono portati via. Erano un gruppo di compagni che fuggivano per l'arrivo dell'esercito; però li hanno raggiunti e hanno sparato loro.
"Lì nel campo di caffè è rimasta un pozza di sangue ed un fazzoletto. Li hanno fatti salire su un camion e se li sono portati via a Los Plátanos".
Sebastián ha sentito gli spari diretti verso i compagni che si erano rifugiati nel campo di caffè. "A noi invece, ci hanno messo con la faccia a terra; non potevamo vedere niente. I poliziotti ci hanno interrogato: dove erano le armi e se eravamo zapatisti", racconta Gómez Gómez.
"Ci hanno fatti salire sul camion, che doveva portarci in carcere, però dopo è arrivato l'ordine che ci liberassero. L'ufficiale ci ha detto: "Dato che voi non resistereste, non vi portiamo a marcire a Cerro Hueco".
"Dopo è arrivata un'ambulanza e quindi un elicottero che è atterrato in Los Plátanos, distante circa quattro chilometri. Io credo che lì se li siano portati via", ha aggiunto Sebastián Gómez. "La Sicurezza Pubblica è arrivata infuriata sparando. Però noi non abbiamo problemi; gli omicidi che ci sono stati erano tra priisti, però incolpano noi.
"Sfortuna se sono morti dei compagni", aggiunge Mariano Méndez Pérez. Noi come la maggioranza degli uomini stavamo aspettando seduti gli elementi castrensi e di polizia. Questi, arrivando, hanno minacciato gli indigeni con le armi ed a spintoni li hanno obbligati a mettersi bocca in giù al suolo.
Vari di loro sono stati maltrattati dagli agenti. "Circa sette poliziotti mi hanno legato con una corda, dopo mi hanno preso per i piedi e per le mani e mi sono saliti sopra varie volte", ha affermato Antonio Gómez González.
"Quelli di Sicurezza Pubblica dicono che avevamo armi, che avevano trovato una cartucciera e un passamontagna, dicono loro. Però non è vero. Non hanno trovato armi e perciò un poliziotto ha messo un passamontagna ad un compagno e gli ha dato in manio un R-15, e gli ha preso foto e video per mostrarli come prove", ha detto Antonio Gómez.
"Sono entrati in tutte le case, si sono portati via registratori, televisori, denaro, insomma tutti gli averi di valore. Ci era andato bene l'ultimo raccolto di caffè, però si sono portati via tutto i poliziotti e si sono mangiati polli, conigli ed alimenti presi dai negozietti".
I resti di gallette e bibite non finite sono rimasti come vestigia dell'operazione nei negozietti della comunità. Nelle case tutte le cose sono sottosopra e i letti e le cucine distrutte.
"Ci hanno detto i poliziotti che non avevano mangiato da due giorni e che perciò avevano finito il nostro cibo", ha detto Sebastián Gómez, mentre accompagnava in giro per il villaggio i giornalisti.
"Tutto è cominciato il 14 marzo, quando ci sono stati scontri tra priisti in Los Plátanos. Però il governo ha accusato gli zapatisti, che invece non hanno niente a che vedere. Ieri sono ancora venuti qui a uccidere i nostri compagni e ci hanno minacciato che arrivava la Sicurezza. Alle sette della mattina di oggi hanno realizzato la loro minaccia", ha concluso Sebastián.
A Chavajeval sono arrivati centinaia di soldati e poliziotti dopo i dieci chilometri di strada sterrata che comunica questo villaggio con il capoluogo municipale.
I poliziotti di Sicurezza Pubblica ed i militari sono arrivati con decine di camion a Chavajeval alle sette della mattina.
Hanno trovato la strada bloccata da pietre. Secondo un giornalista che era presente ai fatti, i poliziotti che erano in prima linea hanno lanciato granate di gas lacrimogeno verso il villaggio. Dopo poliziotti e militari hanno cominciato a sparare indiscriminatamente - secondo loro perché erano stati aggrediti -; quindi l'Esercito ha preso il controllo e a forze combinate hanno occupato il villaggio, dove hanno incontrato la resistenza degli abitanti.
Fino alle cinque del pomeriggio ci sono stati spari di fucile, tiri di bazuka, granate e perfino spari di mortaio diretti contro le montagne che circondano Chavajeval.
Rimane da segnalare che i militari appostati all'entrata di Chavajeval non hanno permesso l'entrata a nessun giornalista della stampa internazionale (tra loro, ai corrispondenti di pP, Afp, Reuters e del New York Times).
Per arrivare alla zona bisognava passare dieci posti di blocco militari e di polizia collocati lungo la strada che giunge qui.
Il capoluogo municipale e Chavajeval sono rimasti sotto il controllo dell'Esercito e della polizia statale.
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
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