ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
Al: Generale Emiliano Zapata
Capo Massimo dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Là dove vive
Mio Generale:
Con la novità che qui continueremo, Don Emiliano, qui siamo. Già saprà che le scrivo a nome di tutti gli uomini, donne, bambini e anziani di questo suo Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Siamo qui mio Generale, qui continuiamo. Siamo qui perché questi governi vanno avanti senza memoria per gli indigeni e perché i ricchi possidenti, sotto altri nomi, continuano a spogliare i contadini della loro terra. Come quando lei chiamò a lottare per terra e libertà, oggi le terre messicane vengono consegnate ai ricchi stranieri. Come accadde allora, i governi fanno leggi per legittimare il furto delle terre. Come allora, coloro che si rifiutano di accettare le ingiustizie vengono perseguitati, incarcerati, ammazzati. Però come allora, mio Generale, ci sono uomini e donne retti che non se ne stanno zitti e lottano per non mollare, si organizzano per esigere terra e libertà. Per questo le scrivo Don Emiliano, perché sappia che qui siamo e qui continueremo.
Si ricorda di quanto scrisse ad un presidente dei gringos che si chiamava Woodrow Wilson, perché è bene che i governi stranieri sappiano e capiscano la lotta dei messicani. Allora lei scrisse questo... "Ed è che i possidenti, tra spoliazione e spoliazione, oggi con un pretesto, domani con un altro, stanno assorbendo tutte le proprietà che appartengono legittimamente, e da tempo immemorabile sono appartenute, ai popoli indigeni e dalla loro coltivazione questi ultimi ricavavano il sostentamento per loro stessi e per le loro famiglie". Questo fu nel 1914. Ora, nel 1997, la storia non è cambiata.
Ora ci sono leggi che attaccano la proprietà comunale e l'ejido, che favoriscono l'accumulazione di terre, che permettono la vendita delle nostre ricchezze ai denari dello straniero. Queste leggi sono state fatte dai mal governi messicani, "neoliberisti" li chiamiamo noi, che conducono questo paese, il suo e il nostro, mio Generale, come se fosse un'azienda in decadenza, come se fosse una grande tenuta che bisogna mettere in vendita con tutti i peones, ossia con i messicani, mio Generale, inclusi. Sì, lei ha ragione, Don Emiliano, è una vergogna. Noi non riusciamo nè a vivere nè a morire con questa vergogna e allora ci siamo ricordati della parola "dignità" e ci ricordiamo di viverla e di morirla, e allora ci siamo sollevati in armi, e abbiamo detto a tutti che adesso basta, che non si andrà oltre, che già no, che esigevamo un tetto, terra, lavoro, pane, salute, educazione, indipendenza, democrazia, libertà e pace, che si lotta per la democrazia, la libertà e la giustizia, che per tutti tutto, e per noi niente, e molte orecchie e cuori ci hanno ascoltato, cioè hanno ascoltato le sue parole, mio Generale, che hanno parlato attraverso noi.
Come ai suoi tempi, Don Emiliano, i governi hanno tentato d’ingannarci. Parlano e parlano e non mantengono nulla, a parte i massacri di contadini. Firmano e firmano carte e niente diviene realtà, a parte gli sgomberi e la persecuzione di indigeni. Ci hanno anche tradito, mio Generale, i Guajardo e le Chinameche non sono mancati, ma risulta che noi non ci siamo fatti ammazzare molto. Come abbiamo appreso, Don Emiliano, stiamo ancora apprendendo. Ma non voglio annoiarla, mio Generale, perché stanno così le cose come già lei sa, perché di per sé noi siamo lei. E vede, i contadini continuano senza terra, i ricchi continuano a ingrassare, e questo sì, continuano le ribellioni contadine. E continueranno, mio Generale, perché senza terra e libertà non c'è pace.
Adesso i governi dicono che non c'è guerra perché la legge dice che non c'è guerra. Però sì c'è, mio Generale, per questo siamo il suo esercito, perché prima la guerra era solo da là a qua, e ora sarà anche da qui a là. E se vogliono ammazzare contadini, dovranno morire i governi. Perché alle giuste esigenze non si risponde con la morte, perché la morte ritorna di rimbalzo. Se alle richieste di democrazia, libertà e giustizia rispondessero con verità, la storia suonerebbe un’altra musica. Ma per ora no, mio Generale, adesso mera distruzione suona questa musica che chiamano storia...
Così come in quei giorni, mio Generale, ci sono persone di grandi pensieri e grande cuore. C'è, ad esempio, un signore, che si chiama Fernando Benitez, che scrisse una grande opera intitolata "Gli indios del Messico" e in quest'opera spiega che la storia moderna, quella che scrivono i governi e i potenti, è stata fatta per rendere invisibile la popolazione indigena. Così di per sé fanno i mal governi, Don Emiliano, lei lo sa. Pensano che, dimenticando o uccidendo un problema, questi si risolva. Ma questo problema di noi che siamo indigeni, è che non ci lasciamo dimenticare. Dobbiamo lottare per avere un posto in questo paese e nella sua storia, quella vera, dobbiamo mostrarci, far sì che ci vedano, che ci tengano in considerazione. E questo può essere solo con la giustizia.
Sì, mio Generale, come lei, noi comprendiamo che la terra e la libertà, la memoria quindi, può diventare sicura solo nella giustizia. Per questo ci siamo sollevati in armi, come lei ci ha insegnato, Don Emiliano, per libertà e giustizia. E abbiamo visto, come lei, che si potevano ottenere solo con la democrazia. E abbiamo anche capito, come lei, che dobbiamo lottare contro i mal governi per ottenere ciò che ci appartiene.
Sono molti i contadini senza terra in Messico, Don Emiliano, molti gli indigeni dimenticati. Sia gli uni che gli altri disturbano i mal governi e i grandi ricchi. Gli uni e gli altri sono perseguitati dagli eserciti e dalle polizie, criminali come coloro che li comandano. Però gli indigeni e contadini senza terra, i molti che non siamo molti, siamo però in ribellione e in battaglia. Siamo come lei, mio Generale, proprio così, ribelli e combattivi.
Solo le scrivevo, mio Generale, per dirle che qui siamo, qui continuiamo e qui continueremo anche se ci perseguiteranno con le armi e con menzogne, anche se ci vogliono comprare, anche se ci vogliono ingannare, anche se ci vogliono dimenticare. Continueremo qui perché noi ascoltiamo in profondità e perché abbiamo fatto nostre queste sue parole che dissero: "Che si continui la lotta e si vincano coloro che poco fa’ si sono insuperbiti, che aiutano coloro che hanno strappato terre ad altri, coloro che fanno molti soldi per sé con il lavoro di quelli che sono come noi, questi beffatori in affari, questo è il nostro dovere d'onore, se noi vogliamo che ci chiamino uomini di buona vita e veramente buoni abitanti del popolo".
Per ultimo le racconto, Don Emiliano, perché possa ridere un po’, che questi mal governi che abbiamo, credono di averla potuto assassinare in quel pomeriggio dell'aprile del 1919. Non sanno che lei non è morto, che semplicemente lei è diventato noi e così si nasconde e riappare in noi e in tutti i contadini senza terra, in tutti gli indigeni dimenticati. Vede, mio Generale, che smemorati si rivelano questi governi. Dimenticano quanto più conta, ciò che lei e noi ben sappiamo, che Don Emiliano, cioè Zapata, vive e che la lotta continua.
Bene mio Generale. Salute e tanto coraggio, perché ci sono ancora molti conti da regolare nelle terre messicane.
Dalle montagne del Sudest Messicano.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno- Comando
Generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale Messico,
Aprile 1997.
tradotto da Consolato Ribelle del Messico, Brescia.