Editoriale

LE AUTONOMIE AL MARGINE DELLA PACE

 

Il termine grammaticale AUTONOMIA significa: "Podestà della quale possono godere all'interno di uno stato, sue entità per dirigersi". Questa definizione é puntuale e semplice. A sua volta la definizione di STATO é: "Unità Politica Organizzata". Il Messico é una "unità politica organizzata" in 31 stati; gli stessi che in questa gerarchia patteggiata nella Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani, mantengono la loro "unità politica" interna. Gli "Stati" a loro volta sono costituiti da "unità politiche organizzate" in Municipi, i quali sono gli organi che formano il corpo denominato Messico. Il Municipio é la "cellula politica" iniziale nell'organizzazione dello Stato (il paese in questo caso) che gode di sovranità davanti al "concerto" delle nazioni del Pianeta Terra. Questa sovranità (super omnia) sta a significare che uno Stato ha la facoltà esclusiva di autodecidere sul territorio e sulle persone che lo abitano, per un patto costituzionale che prevede la sua organizzazione sociale e il suo governo strutturati per armonizzare la vita e le attività di queste persone. Ogni Stato nella Repubblica é "libero e sovrano", dice il patto sociale; ogni municipio "é libero", afferma l'articolo 115 della Costituzione messicana.

Fino a qui abbiamo contemplato l'organizzazione politica della cultura occidentale. Nonostante questa, l'organizzazione indigena ancestrale ha continuato e continua a mantenere in Messico la sua forma di amministrazione politica, al margine della cultura che gli invasori europei hanno imposto da 500 anni.

Ricordiamo che la cultura é uno stato di coscienza nell'uomo e si riflette nella sua vita quotidiana. La sopravvivenza dell'organizzazione indigena é tanto radicata che, davanti all'aggressione preferisce sparire numanticamente, piuttosto che sottomettersi a forme sociali differenti. Questi estremi hanno permesso la conformazione legale e legittima di 185 forme di autonomia chiamate riserve indigene negli Stati Uniti del Nordamerica e duemila in Canada. Il 27 dicembre del 1978 la Corte degli Stati Spagnoli ha dovuto approvare e la popolazione ratificare la nuova Costituzione Politica che, nel suo articolo 2, "...riconosce e garantisce il diritto all'autonomia delle nazionalità e delle regioni che la integrano...". Queste entità politiche autonome all'interno della loro organizzazione sociale domestica, mantengono forme e tempi che non urtano con il contesto nazionale, non hanno mai urtato e (anzi) si sono assimilate per armonizzare la convivenza nazionale.

Il Messico, che conserva la ricchezza di tante culture primitive, ha attualmente un sistema politico, che pone resistenza a riconoscere e garantire l'autonomia che di fatto esiste e continua in molte regioni che hanno cercato di sopravvivere all'impatto della cultura occidentale. Solamente in Chiapas esiste la diversità culturale di gruppi etnici come i cakchiqueles, choles, lancandones, mames, mo-chòs, tojolabales, tzeltales, tzotziles e zoques.

Gli indios del Messico sanno (ed il Chiapas lo conferma) che il riconoscimento delle autonomie non é gratuito, ne hanno già pagato caro il prezzo e, quello che intelligentemente ne dovrebbe derivare, é il riconoscerne l'esistenza per evitare che i municipi autonomi continuino ad esistere al margine della Costituzione e che il Messico viva al margine della pace...

 


 

ACTEAL

 

"Finché non avremo giustizia, dignità, rispetto, democrazia e autonomia, dobbiamo decidere quale sarà la riconciliazione che vogliamo, non quella che cerca il governo attraverso le armi." - 22 giugno: a sei mesi dal massacro -

 

"Facciamo conoscere le stragi della nostra patria", é il documento presentato nell'atto luttuoso ad Acteal: "Oggi si compiono sei mesi da quando sono stati massacrati i 45 martiri di Acteal e feriti 25 innocenti nella giornata dedicata alle preghiere ed al digiuno, per chiedere i nostri diritti. Libertà, Giustizia, Democrazia, Dignità e Pace... per la vita dei popoli e del Messico... oggi si compiono 182 giorni, 4.348 ore di dolore e di amarezza per la tragedia provocata dai cattivi governanti del Messico. Da quella data non vi é nessuna soluzione positiva per i Diritti e la Cultura Indigena... gli assassini continuano ad essere liberi... Albores Guillén e Ernesto Zedillo stanno guidando i paramilitari in tutte le parti del nostro stato e nella federazione. Sappiamo che non siamo soli nella nostra lotta... e continueremo fino alla vittoria".

Durante l'evento, Mario Lòpez Barrio, gesuita provinciale del Messico, ha affermato che "la situazione é caotica e minacciosa, le condizioni per la pace sono molto difficili. Il panorama é oscuro, manca l'adempimento agli Accordi di San Andrés. Confidiamo nel fatto che i fratelli possano ritornare, ma non si sa cosa potrà succedere. C'è solo insicurezza e impunità".

A una domanda riguardante il silenzio zapatista ha detto: "Si tratta di un silenzio eloquente, di protesta, per non avere ascoltato la loro voce, perché non si presta attenzione alla voce del popolo indigeno. Il mondo - ha aggiunto - non é cieco, sa quello che sta succedendo. Tutti lo sappiamo. Bisogna ascoltare la voce degli indigeni, dire che gli indigeni non parlano é una falsità, hanno già detto la loro parola in San Andrés, lo dicono ogni giorno; é necessario rispettare quello che si é firmato, non ignorarlo. A partire dagli accordi il dialogo deve continuare.

 


 

Le carenze dei rifugiati di guerra

 

A Polhò non pensano al ritorno "stiamo aspettando che si adempia agli accordi di San Andrés. Non crediamo nel governo. Albores é un bugiardo che vuole controllarci, per questo noi teniamo sempre il "cinturone", aspettando che ci attacchino. E' il "cinturone" della speranza. Noi vogliamo il riconoscimento del nostro municipio autonomo".

"Noi resteremo qui, anche se l'acqua entrerà nei rifugi; per le case ci sono più necessità, ci mancano 32.660 lamine. Con la pioggia sono aumentate le febbri, i dolori allo stomaco e la diarrea. Quando piove si ammalano tutti."

 

I "Medici del Mondo" dicono: "Noi siamo un'organizzazione umanitaria internazionale, ci occupiamo degli indigeni come parte di un lavoro sociale nel mondo, non seguiamo nessuna ideologia in particolare. Qui abbiamo 4 medici, due della Croce Rossa e due dei nostri. Come Medici del Mondo vediamo che esistono molte malattie da carenze, per esempio ci sono stati 400 casi di dissenteria da ameba in aprile; in giugno abbiamo avuto quasi 11 casi di quadri diarroici in minori di cinque anni in un giorno".

"L'acqua potabile é sufficiente solo per la metà della popolazione. La dieta formata esclusivamente da fagioli e riso provoca denutrizione e abbassa le difese del corpo, per questo ci sono più malattie".

"Sono anche aumentate le malattie legate alla tensione nervosa: ci sono molti casi di gastriti ulcerose negli uomini e di dismenorree e amenorree nelle donne. C'è molto nervosismo, soprattutto quando c'è lo stato di allerta".

 


 

Rapporto della strage di Chavajebal

"Di alla tua razza che ci ordinano di farvi a pezzi..."

Elio Enriquez

 

"Alle 7 centinaia di poliziotti appoggiati dall'esercito federale, hanno cercato di entrare nella comunità sparando gas lacrimogeni, presumibilmente per eseguire alcuni mandati di cattura per diversi reati".

Quando il gas ha incominciato a disperdersi sono iniziate le prime raffiche e i poliziotti, che venivano davanti, hanno risposto e sono ripiegati. Simultaneamente alcune donne con i loro figli sono corse per sfuggire ai gas fino ad alcuni edifici più sicuri al centro del paese, situato a 200 metri da dove é iniziata la sparatoria o sono scappate verso la montagna.

Il percorso precedente era stato tranquillo e senza cattivi presagi, benché uno dei funzionari che ha poi partecipato all'operazione avesse anticipato due ore prima: "Ne succederanno delle belle a Chavajebal". In effetti, erano appena passati 15 minuti dall'arrivo quando è rimasto ferito il poliziotto Juan Manuel Jiménez de la Cruz e poco dopo sarebbe il suo compagno Rubén Lòpez Magnate.

"Fateli a pezzi", ha gridato uno dei poliziotti, quando nuove raffiche sono passate sopra le loro teste e sopra quelle dei giornalisti che erano al suolo. Un nuovo e disperato grido ha contraddetto l'ordine precedente: "Fermatevi, non rispondete al fuoco". Nessuno ha ascoltato.

I soldati federali si erano fermati 200 metri indietro e gli agenti giudiziali che rispondevano al fuoco erano isterici e furiosi, perché nessuno arrivava ad appoggiarli.

Attraverso la radio di banda civile di una delle camionette della pubblica sicurezza, si ascoltò la voce di un agente statale, che rispondeva così alla risposta negativa dei federali: "Come siete scemi! Venite prima che ci ammazzino".

"Dite all'Esercito che vada di là, da sopra il colle", ordinò un poliziotto e dall'interno del veicolo si ascoltò la voce di un altro dei suoi compagni: "Non vanno quegli scemi, l'Esercito non vuole far fronte".

La sparatoria non cessava e i soldati non si muovevano dalle loro posizioni. "Ma che furbi: adesso che viene il bello non vogliono venire", si lamentava un effettivo statale, che informò uno dei suoi superiori: "Non vogliono avanzare, si sono già ripiegati".

Alcuni minuti dopo il generale Isaac Jiménez Garcìa, Comandante della Zona Militare 31, che viaggiava su un veicolo con mitragliatrice Hummer, diede l'ordine di iniziare di avanzare per il colle, mentre gli agenti statali si dirigevano fino al centro del paese, non senza difficoltà.

"Dì alla tua razza che abbiamo ordine di farvi a pezzi", si é ascoltato nuovamente per radio da una voce non identificata. "Non preoccupatevi, adesso andiamo a controllare..." assecondò qualcuno.

"Non sparate che mi trovo di fronte alla chiesa, perché sembra che lì si siano attrezzati", si udì dalla voce di un poliziotto, che, poco dopo, avvertì che non c'era nessuno nel tempio.

Erano quasi le nove della mattina, i poliziotti e i soldati erano nel centro di Chavajebal - comunità tzotzil in maggioranza zapatista, che dista un'ora da El Bosque - e al momento vi era un altro agente ferito, Ramiro Lòpez Domìnguez, e poco dopo si aggiunse un soldato ferito.

Nello stesso momento, i poliziotti apparvero con vari prigionieri che davanti ai giornalisti negarono di avere sparato e non portavano l'uniforme ribelle e nemmeno gli zaini. In più alcuni esibivano le credenziali del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) per identificarsi. Due di loro sanguinavano per i colpi ricevuti dalla polizia mentre li catturava e inoltre continuavano a picchiarli.

Insieme ai detenuti i poliziotti portavano: 29 bombe molotov, sei fucili calibro 22, un fucile da caccia, cartucce utili, un paio di passamontagna e una bandiera rossonera con una stella e la scritta "EZLN, libertà, democrazia, giustizia e pace".

Per festeggiare il loro trionfo, i poliziotti si diressero verso gli spacci della comunità, aprendo le porte e rubando bibite, biscotti, acqua, denaro contante e altro ancora, come fanno in ogni operativo. I vestiti, i documenti, mais, fagioli e altri prodotti alimentari furono sparpagliati. Nella casa ejidale, più di 20 donne, che dissero di essere del PRI, rimanevano rinchiuse con i loro figli, senza mangiare e senza poter uscire.

Apparentemente la situazione era sotto controllo, però improvvisamente dalle colline si udirono altre raffiche. Due elicotteri si avvicinarono per controllare e da uno l'esercito lanciò potenti proiettili fino alla collina dove si presumeva stessero gli aggressori. "Alla fine si é messa bene!", esclamò un soldato che confessò poi di essersi annoiato nei sei mesi precedenti.

L'esercito ha installato in questa comunità lanciarazzi ed armi di alto calibro per combattere i presunti simpatizzanti zapatisti, che fuggirono e che apparentemente erano rifugiati in grotte sui colli con i loro familiari.

Dopo le 11 arrivò l'ordine di rastrellare la zona e l'elicottero della Procura Generale della Repubblica (PGR) sorvolò nuovamente il colle; ma l'impatto con un proiettile calibro AK- 47 o R-15 provocò un'avaria alla fusoliera e alla tanca del combustibile, oltre a ferire alla gamba il poliziotto Nicolàs Méndez Cruz, il che lo costrinse ad atterrare.

Il Colibrì matricola XC-BGC azzurro e bianco fu riparato immediatamente per trasportare il ferito a Tuxtla Gutiérrez.

Chi ha iniziato la sparatoria?

Secondo Eduardo Montoya Liévano, viceprocuratore operativo del Chiapas, la polizia e l'esercito messicano "furono aggrediti in modo codardo mentre cercavano di entrare nella comunità", ma non ha fornito maggiori dettagli.

- Hanno già identificato il gruppo che sparò?

- In questo momento ancora no, però é il nostro obiettivo.

- Dunque non sa se gli aggressori siano elementi o simpatizzanti dell'EZLN?

- Preferisco che sia la Procura di Giustizia a rilasciare una dichiarazione in questo senso.

La versione delle donne che erano rifugiate nella casa ejidale é differente: "E' successo che arrivarono sparando e ci vennero a cercare nelle nostre case, ci dicevano che ci avrebbero arrestate e controllate, ci facevano pressioni perché ce ne andassimo".

- Chi incominciò a sparare?

- L'esercito, furono loro a sparare e a lanciare gas.

Terrorizzate, le indigene tzotziles raccontano che "l'esercito voleva uccidere le compagne e domandava dove erano le armi e noi non abbiamo nulla". Narrano che videro come parecchi uomini furono picchiati dalla polizia.

A mezzogiorno ancora si udivano sporadici spari, ma poco dopo l'Esercito Messicano e la polizia giudiziaria federale e statale dichiaravano conclusa l'operazione.

Nella comunità tutto era desolazione, le porte di alcune case erano aperte e i padroni erano fuggiti.

"Questa gente non deve continuare con questo, ha luce, acqua, una casa ejidale e persino un centro di salute, che altro vogliono?", diceva un poliziotto a un suo compagno mentre consumavano bibite e biscotti rubati nello spaccio della comunità".

 

TIEMPO n. 76 - che informa e orienta - dal 3 al 9 luglio 1998


(a cura del Comitato Chiapas di Torino)



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