COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO.

COMANDO GENERALE DELL'ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

MESSICO.

8 agosto 1997.

Al Popolo del Messico:

Ai Popoli ed ai Governi del Mondo:

Oggi, 118° anniversario della nascita del generale Emiliano Zapata, torniamo a prendere la parola per parlare al popolo del Messico e per dirgli ciò che pensiamo. Oggi la nostra voce giunge di nuovo per dire la sua parola.

E' questa:

I.- Il 6 luglio 1997 e i molti messico del Messico.

Madero disse: "E' già stato notificato a questi (Zapata) ed ai suoi seguaci che sarebbe stato loro perdonato il delitto di ribellione, ma che saranno però processati secondo la legge per i delitti comuni che possono aver commesso. Si sono rifiutati di arrendersi a queste condizioni, e quindi le truppe federali e le forze rurali che si trovavano sul campo delle operazioni, hanno ricevuto l'ordine di proseguire la campagna, fino all'annientamento dei ribelli''.

L'Heraldo del Messico, 14 novembre 1911.

"Signori, colui che non ha paura venga a firmare, però sappiate che firmate il trionfo o la morte".

Emiliano Zapata con il Piano di Ayala in mano.
28 novembre 1911.

"Sì, pubblicatelo affinché tutti conoscano quel pazzo di Zapata".

Madero a Bonilla, che gli aveva chiesto se pubblicare il Piano di Ayala.
Dicembre 1911.

Il signor Ernesto Zedillo Ponce de León, capo supremo delle forze federali, dopo aver mancato alla parola data rifiutando l'iniziativa di Legge Indigena proposta dalla Commissione di Concordia e Pacificazione, ha dato ordine affinché il suo esercito proseguisse con la campagna di accerchiamento e di annientamento contro le comunità indigene ribelli e contro la dirigenza dell'EZLN. I federali hanno aumentato il numero dei loro effettivi e la qualità del loro materiale bellico, hanno avanzato verso nuove posizioni e hanno ricominciato a pattugliare sui monti per cercare lo scontro con gli accampamenti ribelli. Tutti questi movimenti hanno violato lo spirito della legge per il dialogo ed il negoziato, emessa dal Potere Legislativo federale l'11 marzo 1995.

Oltre a questa pressione militare, l'illegittimo governatore dello stato continua nella sua strategia di destabilizzazione nel nord del Chiapas, sgomberando, incarcerando e assassinando indigeni attraverso la polizia e le guardias blancas. Per occultare il bagno di sangue che perpetra, l'illegale titolare del potere esecutivo del Chiapas, compra menzogne sulla stampa locale e nazionale, e simula opere ed iniziative per nascondere lo sperpero che fa del denaro del popolo.

Ernesto Zedillo, che si dice presidente del Messico, ha completato l'opera contro gli indigeni zapatisti ordinando la militarizzazione delle principali regioni indie del paese. Gli indigeni degli stati di Oaxaca, Veracruz, Guerrero, Hidalgo e San Luis Potosí non hanno visto arrivare la democrazia elettorale, ma truppe federali, carri armati, aerei ed elicotteri da combattimento.

Prima di arrivare al 6 luglio del 1997, il governo ha tracciato una chiara linea di demarcazione che separa il Messico indigeno dagli altri messico che condividono il territorio nazionale.

Mentre in Chiapas, le organizzazioni indigene e per la difesa dei diritti umani, la Commissione Nazionale d'Intermediazione, alcuni parlamentari, e membri onesti dell'IFE [Istituto Federale Elettorale], denunciavano la mancanza di condizioni politiche, sociali e militari per una giornata elettorale normale; nel resto del Messico indio, il Congresso Nazionale Indigeno e organizzazioni nazionali non governative facevano lo stesso riferendosi alle condizioni nelle regioni indigene del centro e del sud del paese.

Agli uni e agli altri erano risultati strani la distanza ed il silenzio o le tiepide manifestazioni dei partiti politici d'opposizione, e lo hanno segnalato pubblicamente. Noi abbiamo capito questo silenzio e questa distanza. La disputa politica si era concentrata in territori dove, bisogna riconoscerlo ed accettarlo, s'erano raggiunte delle condizioni più giuste ed eque per la concorrenza elettorale. Quest'altro Messico aveva l'opportunità d'eleggere i suoi governanti e di far valere le sue scelte elettorali. Città del Messico è apparsa, grazie alla dovuta apertura nei mass media (obbligata dall'aspettativa cittadina), come il punto dove si concentravano queste condizioni democratiche. La viva e agitata lotta elettorale nel DF è riuscita a "strappare" altri territori, altri messico, ha avuto l'opportunità di dire "NO" al governo ed al suo progetto di Nazione, progetto rappresentato dal Partito Rivoluzionario Istituzionale e da Ernesto Zedillo. Però il Messico indio è stato lasciato da parte e dimenticato, non c'è stato nessun serio tentativo di tendere ponti che potessero tradursi in cinghie di trasmissione di questa possibilità politica.

La criminale direzione economica che Carlos Salinas de Gortari ed i suoi seguaci (e fra di loro il signor Zedillo) hanno imposto al paese intero come parte del progetto neoliberale di distruzione nazionale, correva un grave rischio nel Messico che aveva l'opportunità di farsi ascoltare realmente nelle urne. Confidando che, nel Messico Indigeno, l'esercito ed i governi locali avrebbero ottenuto la legittimità di cui aveva bisogno, il supremo governo ha concentrato il suo massimo impegno: primo, cercando di impedire il nascere di una opzione democratica, dopo aver combattuto questa alternativa (rappresentata con dignità da Cuauhtémoc Cárdenas, Solórzano), e infine cercando di neutralizzarla e di appropriarsene per ottenere quella legittimità che il suo partito di Stato non poteva e non può più offrirgli.

Così abbiamo potuto vedere il titolare dell'Esecutivo federale immesso in una campagna elettorale che a momenti pareva più vicina al fondo delle fognature che ad un dibattito maturo e rispettoso. Da venditore di bibite e patatine, il signor Zedillo è passato ad essere un feroce critico del metodo col quale diffonde i suoi "successi" e le sue "conquiste". Dietro di lui hanno marciato i dirigenti ed i candidati del PRI, mentre le basi e alcuni membri di quel partito abbandonavano la nave mal ridotta che minacciava di affondare.

Però le nuove realtà non erano nè complete nè eque. Le successive ondate di ribellione cittadina che si possono ricordare nel 1968 o nel 1985, che sono risorte nel 1988 e nel 1994, sono riapparse nel 1997. La sempre negata e disprezzata (dai politici) società civile aveva conquistato degli spazi reali per far udire la sua voce e per far sentire il suo peso e la sua importanza. Questi spazi, nella mappa nazionale, assomigliano alle macchie sulla pelle di una tigre e definiscono i molti messico che convivono nel nostro Messico.

Perché rifiutarsi di riconoscere che in determinati territori del paese si era conquistato l'opportunità di far valere l'opinione cittadina con mezzi pacifici? E allora, perché rifiutarsi pure di riconoscere che in altri territori, in altri messico, continuano a prevalere le stesse simulazioni e farse rispetto alle votazioni, e continua ad essere chiusa la via pacifica?

Riconoscere una realtà e l'altra è stata la parola degli zapatisti. Per questo abbiamo lanciato l'appello a lottare con il voto dove ci fossero state le condizioni (conquistate dai cittadini e di cui si sono beneficiati i partiti d'opposizione) per farsi valere; e per questo abbiamo lanciato l'appello a resistere ed a reagire contro la simulazione e la farsa, dove l'obiettivo delle elezioni non era altro che dimostrare una "normalità" che, per quei cittadini di infima categoria che sono gli indigeni, significa solo miseria, abbandono, morte, oblio.

Oggi salutiamo il Messico che ha potuto e saputo farsi sentire nella sua ribellione pacifica, e salutiamo l'altro Messico che ha dovuto resistere per farsi sentire nella sua ribellione.

I popoli ribelli zapatisti, le basi d'appoggio dell'EZLN, hanno deciso di non partecipare alle elezioni e di trasformare il 6 luglio 1997 in una giornata di denuncia e di rivolta, in una giornata di protesta contro il disprezzo e l'oblio.

Il 6 luglio 1997 come zapatisti non solo non abbiamo votato, ma abbiamo sovvertito delle elezioni che ignoravano i popoli indios del Messico. Ci siamo assunti un impegno nel 1994 e lo rispettiamo. Non è con quelli in alto che abbiamo degli impegni, è con quelli che sono come noi, con quelli in basso. Non guardiamo in alto, in questo complicato gioco di simulazione che è il chefare politico del potere, di quel luogo che seduce con poltrone e ricchezze.

Ci guardiamo attorno. Guardiamo e troviamo milioni di indigeni dimenticati da una democrazia elettorale che li mette da parte, li disprezza, li raggira e impone loro un modo politico che non appartiene a loro nè lo vogliono. Guardiamo e troviamo disperazione, frustrazione, impotenza. Guardiamo e ascoltiamo, ascoltiamo quello che gli altri non hanno ascoltato. Ci siamo fatti eco di questo silenzio imposto e ripetiamo il ¡Ya Basta! che ci ha dato voce e volto nel mondo moderno.

L'altro Messico, quello indigeno, il nostro, ha obbligato di nuovo la Nazione a voltarsi a guardarlo e a ricordare che ancora rimangono lì gli accordi che lo possono includere e che lo rendano parte attiva nella storia presente del nostro paese.

Chi ha vinto e chi ha perso nelle elezioni del 6 luglio 1997? Grazie a quei colori da tragicommedia con cui la storia del potere si suole rivestire, una complicata alchimia ha fatto sì che i principali perdenti, Zedillo e la sua politica economica, siano stati presentati come i massimi trionfatori. Colui che ha difeso l'efficacia di un progetto economico che distrugge il paese; l'erede (e non solo per ciò che riguarda la poltrona presidenziale) di Carlos Salinas de Gortari, che ha legato il suo destino a quello del suo partito e lo ha appoggiato con tutte le risorse dello Stato; lui, il "signor presidente" (come mormorano con timidezza a Los Pinos [la residenza presidenziale]), si presenta a se stesso come il grande trionfatore del 6 luglio 1997 e invoca la storia affinché lo renda famoso. I suoi adulatori lo chiamano "il nuovo Francisco I. Madero".

Ed Ernesto Zedillo, dopo aver creduto di essere riuscito ad abbindolare (oltre ad analisti e lider politici) tutto il paese, dirige le sue batterie contro quelli che insistono a sfidare il suo sistema politico ed economico: gli zapatisti. I maggiordomi di governo si sfiatano in dichiarazioni per ripetere una menzogna: "le condizioni per la pace in Chiapas ci sono, le recenti elezioni dimostrano che altre forme di lotta sono decadute (ennesimo canto del cigno per la lotta armata), gli sconfitti delle elezioni sono quelli che hanno optato per le armi e non per i voti, gli zapatisti devono firmare la pace ed integrarsi nella vita politica nazionale come forza istituzionale'', ed altri eccetera.

3 anni fa, l'8 agosto 1994, nella Convenzione Nazionale Democratica abbiamo detto: "Lottate. Lottate senza riposo. Lottate e sconfiggete il governo. Lottate e sbaragliate la guerra. Lottate e sconfiggeteci. Mai sarà così dolce la sconfitta se il passaggio pacifico alla democrazia, alla libertà e alla giustizia risulterà essere il vincitore". Oggi continuiamo a pensare allo stesso modo. La nostra aspirazione continua ad essere quella di "soldati che lottano affinché un giorno non siano necessari i soldati". Il nostro sogno è di rendere inutili le armi, vale a dire, contribuire alla costruzione di un paese dove si possa lottare, in uguaglianza, giustizia, libertà e democrazia, senza altre armi che le idee, le parole e la pratica onesta e conseguente.

Viviamo forse in un paese in queste condizioni? Noi pensiamo di no, che ciò che è successo il 6 luglio 1997 sarà un autentico trionfo solo quando tutti i messicani in tutto il paese potranno lottare con mezzi pacifici e civili e con uguali opportunità, e non debbano ricorrere alla violenza per far valere i loro diritti, o anche solo per farsi ascoltare. Nel Messico continuano a convivere molti messico schiavi.

Alla domanda se stiamo già vivendo in una transizione alla democrazia, Ernesto Zedillo si è affrettato a rispondere: nulla ci farà cambiare il modello economico che abbiamo imposto al paese (che è un altro modo per dire "finché la democrazia non turba gli aspetti fondamentali della vita nazionale, sia la benvenuta"), siamo disposti a dimostrare volontà di discutere le condizioni di resa degli zapatisti, continueremo a negare l'esistenza dell'EPR e ad attaccare tutti quelli che sospettiamo di appoggiarlo, continueremo ad essere disposti a simulare che rispettiamo la parola data però non l'adempiremo, continueremo a fare tutto il possibile per "integrare alla modernità" (vale a dire, eliminare) i popoli indios.

Il 6 luglio 1997, e non solo per i voti, ha perso il sistema di partito di Stato, hanno perso Zedillo e la sua ottusa campagna elettorale dalla poltrona presidenziale. Ha perso un Messico, quello dei potenti. Ha perso, però non è stato distrutto. Rapidamente si ricompone per entrare, con tutta la sua superiorità, nel...

II.- Lo spazio democratico in disputa

Dice Zapata:

"Il signor Madero è caduto nella trappola degli scienziati, agisce, senza saperlo o pur sapendolo, per la sua rovina; la pace che annuncia è garanzia per il ricco e calamità per l'indio."

Con le elezioni del 6 luglio 1997 si è aperto uno spazio che può essere di democrazia, libertà e giustizia, o di simulazione ed inganno. Questo spazio è in disputa. Lo vogliono avere dalla loro parte i potenti ed i loro seguaci; e, in senso contrario, lottano per valutarlo e ampliarlo le forze popolari e cittadine.

La sconfitta elettorale del PRI in alcune regioni della Repubblica non significa la fine del sistema di partito di Stato e la democratizzazione del paese. C'è una seria lotta affinché nulla d'importante cambi. Il Potere sa che è grande il suo margine di manovra e di ricatto, mai prima delle elezioni avevano ricevuto così tanti applausi dal grande capitale e dal Potere internazionale. Per questo, mentre perdurano i festeggiamenti per la vittoria e le nostalgie per la lotta, il Potere tesse la sua rete d'imbrogli e riappaiono già i furbi di sempre, a volte sotto un altro nome o di un altro colore, però sempre con la stessa infamia.

La grande attrice (oggi dispersa e immobile) del 6 luglio in Messico che è riuscita a far valere la sua ribellione con mezzi pacifici, è la società civile. Questa complicata mescolanza di operai, contadini, donne di casa, maestri e studenti, professionisti, piccoli e medi impresari, ed eccetera che fuoriescono dalle classificazioni sociologiche, è riuscita a costruire ed a portare avanti un movimento di ribellione cittadino che dev'essere non solo riconosciuto, ma pure applaudito ed imitato, adeguandolo, dove esistano le condizioni. In questo Messico, la società civile è riuscita ad aprire uno spazio democratico.

Questo spazio democratico ha nella capitale il suo più importante punto di disputa. Lì, in questa città e in ciò che in essa succede o lasci succedere, contano le speranze ed i sogni di coloro che continuano ad essere muti e legati, quelli in basso, gli altri messico. Noi vediamo in ciò che può succedere in questa città la possibilità reale che un movimento possa crescere, svilupparsi e diventare padrone di se stesso e del proprio destino (che non vuole dire altro che "sovranità"), la possibilità che un movimento di ribellione popolare possa transitare per il cammino più includente: quello civile e pacifico.

Un uomo può riuscire a diventare il simbolo di questa possibilità che la ribellione cittadina si traduca in democrazia, libertà e giustizia per tutti. Il suo nome è Cuauhtemoc Cardenas Solorzano, il figlio del generale. Da portadandiera della lotta pacifica per la democrazia in Messico, ne è diventato la bandiera. La sua carica, ciò che significa, se la stanno disputando i potenti e quelli in basso. Intorno a ciò che egli rappresenta, si concentrano forze da tutti i lati dello spettro politico nazionale e internazionale. Non é in gioco il governo della città più popolata del mondo, è in gioco la possibilità di una trasformazione radicale attraverso vie pacifiche, appoggiata su e da movimenti cittadini e popolari; o di una simulazione, appoggiata su e da gruppi di Potere nazionali e stranieri, che lascino intoccati i problemi fondamentali della Nazione.

Che parlino i suoi atti per lui, per il combattente per la democrazia che s'è azzardato a sfidare l'autoritarismo di Salinas de Gortari. Noi segnaliamo solo l'aspetto fondamentale (oggi dimenticato) di ciò che è successo il 6 luglio 1997: la maggioranza della società ha manifestato il suo scontento ed il suo rifiuto per la politica governativa di Salinas-Zedillo e del loro partito, di ciò che rappresentano e di ciò che significano.

Questo movimento di scontento cittadino ha provocato l'apertura di uno spazio che può essere di democratizzazione o di simulazione. Se si blocca, non diventerà che un aneddoto in più nella nostalgia popolare. Se continuerà a muoversi ed avanzerà si trasformerà in una possibilità reale, la possibilità della transizione pacifica a democrazia, libertà e giustizia.

Questa possibilità, ancora negata agli altri messico, si scontra con forti nemici, non solo esterni, ma pure interni al movimento. Come risultato del movimento cittadino e popolare, i lider si contendono la parola per invocare prudenza, maturità, e... immobilità!

Nel centro del, già di per sè congestionato, centro politico, il centro-centro (che ora s'insinua nei partiti politici, mentre cerca di dispiegarsi come forza di partito autonoma) offre letture, conseguenze e... ricette. Ora inizia ad essere di moda in quella classe politica l'idea che "le scale si puliscono dall'alto verso il basso", e che a partire dal Potere si opererà la transizione del Messico a un paese con democrazia, libertà e giustizia. Agli sfruttati, dicono, rimane solo da sperare che la scopa arrivi fino in fondo. Non bisogna muoversi - dicono -, bisogna starsene tranquilli.

Però quelli che scommettono sull'immobilità, ad aspettare che dall'alto giungano le soluzioni ed i miracoli, mirano solo alla sconfitta. Dicono che, dato che le cose sono già cambiate, non ci si deve mobilitare per non creare problemi ai nuovi politici al governo. Perché? Non è stata la mobilitazione quella che ha sconfitto il PRI lì? Non è stata la mobilitazione quella che ha aperto questo spazio che può essere di speranza per tutti gli espropriati di questo paese?

Il sempre opportuno "centro politico" è convinto che i grandi mali del Messico procedono dall'alto (e in questo non si sbaglia), e che dall'alto devono procedere i grandi benefici. Pensa che la democrazia, a forza di entrare nella testa e nel cuore di governanti ed impresari, li obbligherà a diventare buoni ed onorevoli. Che basta che sia un altro il colore politico di colui che governa perché il regno, sempre il regno, della felicità s'imponga. Crede che il compito di un nuovo governo è riparare e correggere, non trasformare.

Per il "centro", le forze che sono servite a coloro che ci hanno imposto l'attuale incubo, ora serviranno il popolo. Pensano i centristi, che la democrazia si possa appoggiare sulla stessa classe politica che si è elevata da se stessa nel simbolo che i cittadini rifiutano e che, quelli che hanno potuto farlo, hanno rifiutato con voti che dicevano di "NO" a votare un altro emblema escludendo quello del Rivoluzionario Istituzionale. Dimenticano che il cambio di oggi è arrivato dal basso.

Con questa stessa logica, il "centro" ci chiede, ci obbliga a una firma immediata della pace e ad una rapida trasformazione in forza politica "istituzionale", vale a dire, a trasformarci in una parte in più della macchina del Potere.

A loro noi rispondiamo di "NO" e non lo capiscono. Non comprendono che noi non siamo d'accordo con queste idee. Non capiscono che non vogliamo incarichi o posti nel governo. Non capiscono che noi lottiamo non perché le scale si scopino dall'altro verso il basso, ma perché non ci siano scale, perché non ci sia nessun regno. Non capiscono che non vogliamo una pace che significa solo cambiar nome alla schiavitù e alla miseria, cioè un altro modo meno duro di dire "morte". Non capiscono che la pace che annunciano, la pace di quelli di sopra, è solo garanzia per il potente e condanna per quelli di sotto.

La disputa per l'appropriazione dello spazio aperto dall'insurrezione cittadina del 6 luglio tocca tutti gli attori politici. Non solo attorno alla figura di Cardenas, ma pure attorno alla direzione ed alla definizione del PRD. All'interno della sinistra elettorale si rinnovano gli attacchi alle posizioni radicali, e il Potere lotta per trasformare quelli che ieri si erano opposti alle sue arbitrarietà, nei nuovi sostituti dei suoi caduchi amministratori.

Il duetto alternativa fra governo-principi di lotta non dovrebbe diventare una contraddizione per un'organizzazione che lotta per il potere. Ma quando l'essere alternativa di governo comincia ad esigere concessioni, titubanze e timidezze per diventare realtà, i principi entrano in lotta nelle teste e nei petti di coloro che credono che l'alternativa di governo debba essere conseguente con i principi. La loro lotta è contro quelli che credono che il trasformarsi in un'alternativa di governo reale è la cosa più importante, e che in vista di questo obiettivo si possano sacrificare principi, progetti e programmi, insomma, tutto quello che definisce un'organizzazione politica e la rende differente dalle altre (e, pertanto, la converte in alternativa).

Questa contraddizione vale per tutte le forze politiche che lottano per il potere e, presto o tardi, si risolve. O si ridefinisce l'organizzazione di partito ed il suo posto nello spettro politico, od ottiene che questi principi politici siano quelli che la trasformano in alternativa di governo.

Se il PRI tenta ora la sua ennesima "riforma" è qualcosa che non preoccupa nemmeno i priisti. Dalla sua crisi ormai ricorrente e di volta in volta più distruttiva può uscire ben poco, per tanto che si sforzino i governatori del "Cartello del Sudest". Il principale operatore dello smantellamento del PRI sta sulla poltrona presidenziale, si chiama Zedillo, e non ha fatto altro che continuare il progetto del suo predecessore in Los Pinos: sostituire il PRI come principale sostegno del governo.

Se il PAN rivede in questi momenti i suoi principi e le sue pratiche è perché crede che queste, che sono di destra, non gli assicurino del tutto di diventare alternativa di governo. Fino a prima del 6 luglio 1997 non aveva questo problema, però il poco entusiasmo che ha risvegliato la proposta di destra tra gli abitanti della capitale li ha obbligati a riflessioni e revisioni. Felipe Calderon H., presidente di Azione Nazionale, ha dichiarato nel Consiglio Nazionale che il suo partito "ha necessità pure di una dettagliata revisione dei suoi principi dottrinari", e più avanti si è lamentato che ci fossero "anche se sporadicamente, comportamenti di dirigenti o governanti che mostrano tratti d'intolleranza o di conservatorismo".

Nel caso del PRD questo avviene in maniera più palpabile e cruda. I suoi militanti riconoscono che esiste una disputa sul profilo del PRD. Una lotta tra quelli che dicono che la cosa più importante è essere un'alternativa reale di governo e che bisogna "adattarsi" al profilo dell'elettorato da conquistare, e quelli che dicono che si deve lavorare affinché il profilo di sinistra del PRD conquisti l'elettorato come un'alternativa reale e desiderabile di governo.

Noi pensiamo che sia necessaria l'esistenza di una alternativa elettorale di sinistra. È necessario che un'alternativa nuova, che si basi sui principi dell'eguaglianza sociale, di democrazia, libertà e sovranità nazionale, esista nello scenario dei partiti politici nazionali. Pensiamo che sia necessario che esista un'organizzazione di sinistra che aspiri alla presa del Potere e che ottenga l'appoggio della maggioranza dei cittadini.

Il fatto che noi non aspiriamo al potere, non significa che ci opponiamo a quelli che lottano per ottenerlo. Noi lottiamo contro la relazione che esiste tra Stato e cittadini, dove il primo prescinde dai secondi, quando non s'impone su di loro. E questa relazione di dominazione può avvenire con un governo di destra, di centro (se in realtà esiste) o di sinistra. Per questo lottiamo per il "comandare obbedendo". Però sappiamo pure che questo precetto potrebbe realizzarsi meglio, perlomeno in teoria, attraverso un'alternativa di sinistra.

Se la crisi nel PRD si risolve buttandolo fra le braccia del "centro" o consolidandolo come alternativa elettorale di sinistra, è qualcosa che si deciderà nel PRD e da parte dai perredisti. Ad ogni modo, secondo ciò che annunciano discorsi, prese di distanza e dichiarazioni, inizia già ad insinuarsi la possibilità che rimanga un buco, che si situa esattamente a sinistra del ventaglio politico elettorale.

In politica non ci sono vuoti che durino. Appena si disegnano, sono riempiti da nuovi attori o da un riaggiustamento di quelli esistenti.

Comunque si voglia, e a parte crisi di partito, qui c'è lo spazio aperto dai cittadini e lì continua la disputa sulla direzione che dovrà prendere: o l'immobilità che consenta la ricomposizione dell'incubo, o il movimento che approfondisca e amplifichi questo spazio fino a renderlo nazionale e per tutti.

Uno spazio per risolvere...

III.- L'alternativa della nazione: dialogo e verità, o menzogna e scontro.

"Devo manifestarvi che è necessario che la smettiate con questa farsa ridicola, che vi rende così privi di dignità e disprezzabili, e che se aveste più tatto per trattare con la gente onorata, allora sapreste che i negoziati di pace si accordano fra i cittadini, il presidente ed il vicepresidente della repubblica, signori Francisco I. Madero e dottor Francisco Vazquez Gomez, che sono la testa e gli unici incaricati di accordare la pace e non con me che sono un semplice elemento nella mia categoria di generale, (...) Prego voi e tutti i vostri seguaci che vi dirigiate alla testa e non ai piedi per accordi di pace e non mi confondiate con Figueroa, che non è altro che un povero miserabile che solo s'interessa dei suoi affari e di denaro.

In ultimo vi dirò che io mi sono ribellato, non per arricchirmi, ma per difendere e per compiere questo sacrosanto dovere del popolo messicano onorato e sono disposto a morire alla ora che sia perché nel cuore ho la purezza del sentimento e nella coscienza la tranquillità.

Emiliano Zapata.

P.S.:- Approfitto dell'opportunità dato che lei si preoccupa per la pace, e in modo pacifico mi consegno nella piazza di Cuautla, Morelos, per il bene degli abitanti della città, che potrebbero essere le vittime delle conseguenze; dato che io non ho bisogno che mi facciano dei favori visto che non ho mai chiesto clemenza ad altri che a Dio, nè la necessito da nessun altro che da lui. Bene".

Lettera a Fausto Beltran, 10 maggio 1911.

Nella nuova situazione politica del Messico, il signor Zedillo cerca ora di stringere l'accerchiamento legale contro di noi. Si è reso conto che le sue forze militari non solo non hanno potuto contenerci, ma che non sono neanche d'accordo col ruolo che i politici hanno dato loro. Il signor Zedillo vuole che il nuovo Congresso dell'Unione gli dia l'avallo legale per annientarci. Spera, dai parlamentari del PAN e del PRD, l'aiuto che completi il nodo per il cappio da forca che ha preparato per noi.

Alcuni dirigenti del PRD fanno loro la parola governativa e mettono al primo punto dell'agenda legislativa "la pacificazione" in Chiapas. "Pacificazione", dicevano i potenti parlando delle loro campagne assassine contro gli indigeni nel periodo della Colonia. "Siamo venuti a pacificare", diceva Huerta quando, sotto gli ordini di Madero, perseguitava ed assassinava zapatisti. Però di fronte all'inesplicabile amnesia di questi perredisti rispetto al fatto che il problema nel sudest messicano, e in tutto il paese, è che il governo non rispetta la parola data, altri membri del PRD uniscono la loro voce e la loro lotta a quelle di coloro che esigono un dialogo autentico ed una pace giusta e degna.

Il signor Zedillo pretende che il PRD sia a capo della trappola tesa agli zapatisti, cerca di convincerlo che noi, e tutto quello che rappresentiamo, non siamo altro che un ostacolo nel suo cammino. Non tutto il PRD coincide con questa idea, e questo lo dimostrano i non pochi militanti perredisti che simpatizzano con lo zapatismo.

Intanto si sentono voci che esigono dall'EZLN che ritorni al dialogo e firmi la pace. Si stanno confondendo di interlocutore. Non siamo noi quelli che ostacoliamo la pace, nè quelli che si rifiutano a rispettare la parola data, nè quelli che perseguitano le comunità, nè quelli che assassinano gli indigeni. È il mal governo.

La pace non sta in una firma. Il governo è disposto a firmare qualsiasi pezzo di carta, però non è disposto a rispettare la parola data. L'autentico problema è che la menzogna che il signor Zedillo chiama "dialogo" conduce solo allo scontro, alla violenza e alla posposizione delle soluzioni reali. Il dialogo, se lo si vuole effettivo ed autentico, può solo darsi se c'è una reale volontà di adempiere agli accordi. Quelli che esigono la pace devono dirigersi a colui che si rifiuta di accordarla nuova, giusta e degna: il supremo governo. A lui, ed al...

IV. Le altre mani sporche: l'Esercito antinazionalista, la Chiesa reazionaria ed il capitale straniero.

"Lei non dubiti dell'esercito nazionale, signor presidente, dato che tutti sono fratelli miei e le ribadisco di nuovo la nostra adesione e il nostro rispetto".

Huerta a Madero, novembre 1911 (alcuni mesi prima di assassinarlo).

Un nuovo scandalo scuote il paese. Le implicazioni del narcotraffico con gli alti comandi dell'Esercito federale messicano fanno traballare uno ad uno i pilastri su cui si sostiene il sistema di partito di Stato. L'Esercito federale prosegue nella sua trasformazione in forza politica e si inquina di tutta la corruzione che il Potere diffonde tra la classe politica.

Incapace di sbarazzarsi della figura (solo della figura) di Carlos Salinas de Gortari, il PRI ricorre a un generale di ieri e politico di oggi, e offre menzogne a colui che vuole digerirle. "Salinas negoziò con gli zapatisti nel 1993" dice, e aggiunge: "Lo sapevamo già nel 1993 che c'era guerriglia in Chiapas". Colui che parla è lo stesso che nel 1993 si stancò di negare esistenza di guerriglie nello Stato. "Sono taglialegna. Sono centroamericani", ha detto. Una scritta sulle pareti del palazzo municipale di San Cristobal, in quell'alba del gennaio del 1994, gli rispondeva: "Ma non si diceva che non c'erano guerriglie?".

Quelli che oggi si fanno eco di calunnie, dimenticano che da quel gennaio 1994 noi abbiamo richiesto la destituzione del tiranno che usurpava la poltrona presidenziale. Allora, quelli che oggi si riempiono la bocca di prese di distanza violente e vergognose, ci qualificarono di illusi e di radicali per attentare contro la "sacra" figura presidenziale. Quando molti di quelli che oggi si dichiarano antisalinisti, includendo l'Esercito federale, si affannavano in inchini per adulare l'usurpatore, noi abbiamo innalzato la bandiera del ¡Ya Basta!

Nel 1993, conoscendo già la nostra esistenza, Salinas de Gortari non ne ha parlato con altri che con i suoi complici, gli alti comandi dell'Esercito federale inclusi, e si sono accordati per nascondere l'esistenza di una guerriglia in Messico per non ostacolare la firma del TLC nel parlamento... statunitense! Salinas lo fece confidando nella promessa dei militari: il 10 gennaio del 1994 sarebbero entrati in azione per annientare la guerriglia. Ma non è successo così, noi li abbiamo anticipati. Le altre cose sono supposizioni che, la storia lo dimostra, sono false.

Oltre ad infangarsi col denaro del narcotraffico, l'Esercito federale si riempie le mani col sangue indigeno, direttamente o attraverso gli squadroni paramilitari che addestra e dirige, nelle loro azioni nell'altro Messico (Carlos Rojas ha appena concesso, per le pressioni dell'Esercito, 5 milioni di pesos a "Pace e Giustizia").

L'Esercito federale obbedisce agli ordini dell'Esecutivo federale, però ogni giorno di più, e nonostante le sue dichiarazioni di lealtà, aspira al Potere... come tutte le forze politiche all'interno del sistema.

Però non solo l'Esercito ha interessi politici ed economici nel conflitto chiapaneco.

La Chiesa reazionaria vede nel conflitto del sudest messicano una via per ricomporre la sua influenza. Come da vari secoli, la Chiesa reazionaria ricerca un potere che nulla ha di celestiale ed invece molto di diabolico. Ma non solo la Chiesa cattolica, anche la cupola evangelica richiede l'annientamento degli zapatisti e propone, come soluzione alternativa, l'uscita di Marcos dal paese.

Il grande capitale internazionale, principalmente quello statunitense, ha pure uno speciale interesse a far sì che il conflitto in Chiapas non abbia altra soluzione che l'eliminazione delle comunità indigene. Per lui, gli indios significano un disturbo per appropriarsi dei ricchi giacimenti di petrolio e uranio, oltre al legname prezioso, che abbonda nel...

V.- La posizione e il posto degli zapatisti.

"In riferimento ai servizi che lei ha prestato alla rivoluzione --disse Madero a Zapata--, voglio far sì che lei sia gratificato convenientemente in modo che possa acquistare una buona tenuta". Zapata rispose: "Io non ho partecipato alla rivoluzione per diventare proprietario fondiario, se valgo qualcosa, è per la fiducia che mi hanno concesso i contadini, che hanno fede in noi dato che credono che rispetteremo quello avevamo promesso loro, e se abbandoniamo questo popolo che ha fatto la rivoluzione, avrà ragione a tornare a rivolgere le sue armi contro coloro che si dimenticano degli impegni presi".

Gli accordi del Tavolo 1 del Dialogo di San Andres furono firmati tra l'Esecutivo federale e l'EZLN, attraverso i loro rispettivi rappresentanti. Zedillo non rispetta la parola data e si rifiuta di riconoscere i diritti dei popoli indios adducendo menzogne. Finché non rispetterà ciò che si è accordato, non solo il dialogo è inutile e falso, ma inoltre si mette in dubbio tutta la via del dialogo come reale soluzione per i conflitti.

Non torneremo al dialogo fino a che non si adempiano le condizioni minime, tra le quali si include il rispetto degli Accordi di San Andres in materia di "Diritti e Cultura Indigeni". Questa è nostra posizione.

Il nostro posto? E' con gli indigeni e continueremo lottando per loro, oggi e...

VI.- Domani...

"è il liberatore del schiavo, è colui che promette ricchezza per tutti..., ha offerto la distribuzione di terre e la predica inizia a dare i suoi frutti, gli indios si sono ribellati".

José Maria Lozano, esigendo la fucilazione di Zapata, nel Parlamento dell'Unione, Città del Messico.
Agosto 1911.

Noi zapatisti marceremo a Città del Messico nel mese di settembre di quest'anno. Mille 111 zapatisti, uomini, bambini e donne, uno per ognuna delle comunità indigene che appoggiano l'EZLN, andranno alla capitale.

Andiamo a Città del Messico, sede dei poteri dell'Unione, per esigere il rispetto degli Accordi di San Andres su Diritti e Cultura Indigeni.

Andiamo a manifestare la nostra ribellione nel "Territorio sempre ribelle e degno", come chiamiamo noi zapatisti il Distretto Federale nella nostra posizione del 1° luglio 1997.

Andiamo a Città del Messico per ripetere al governo e a tutta la nazione che siamo messicani, che vogliamo un Messico e lottiamo per un Messico dove ci sia posto per tutti, che non vogliamo più continuare a vivere in questo Messico frammentato che il potere favorisce ed impone. Andiamo ad esigere il posto che si meritano gli indigeni all'interno della nazione. Andiamo a far nostro il Messico che liberarono e difesero gli eroi che ci hanno dato la patria. Andiamo a recuperare, per quelli di sotto, la storia nazionale, quella che oggi sequestrano i governanti per assassinarla e seppellirla sotto gli indici economici. Andiamo a gridare: Mai più un Messico senza di noi!

Andiamo a Città del Messico, gigantesco spazio di ribellioni e dignità, per salutare i nostri fratelli e le nostre sorelle della società civile. Andiamo a riconoscere ai messicani del D.F. il loro coraggio e l'esempio di ribellione civile che hanno dato a tutta la nazione. Andiamo a ringraziarli d'essersi accorti dei loro fratelli indigeni. Andiamo a chiedere loro che continuino a lottare, che non si siedano ad aspettare che regalino loro ciò che devono conquistarsi e difendere. Andiamo a ricordare loro che oggi sono la possibilità del domani o il rischio di ieri, che la svolta definitiva che serve alla storia è opera di quelli di sotto e non una concessione da sopra. Andiamo a dire loro che speriamo un giorno d'essere come loro, uomini e donne, persone che possono far valere i loro diritti per vie pacifiche.

Andiamo, pure, per essere testimoni diretti della nascita formale di una nuova forza politica: il Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale.

Andiamo a Città del Messico senza più armi che la storia, la ragione e la dignità ribelle.

Andiamo a Città del Messico senza altro volto che quello indigeno che dà sostento e radici alla nazione messicana.

Andiamo a Città del Messico senza altre parole che quelle che tutti gli messicani onesti portano dentro: democrazia, libertà e giustizia.

Andiamo a Città del Messico senza altri passi che quelli della ricerca della giustizia e quelli del anelito ad incontrarci con altri differenti e uguali, e senza altri progetti che quello di richiedere d'essere riconosciuti come una parte, non l'unica nè la migliore, però sì una parte della nazione messicana.

Invitiamo tutti i popoli indios del Messico e la società civile nazionale e internazionale ad accompagnarci. Invitiamo specialmente i fratelli e le sorelle del Congresso Nazionale Indigeno, le organizzazioni sociali, non governative e politiche indipendenti, i lavoratori del campo e della città, gli artisti e gli intellettuali, i comitati di quartiere e le casalinghe, omosessuali e lesbiche, lavoratori della cultura e della comunicazione, religiosi e religiose, invitiamo tutto il Messico a marciare con noi alla capitale. Perciò li invitiamo a organizzarci...

VII.- Oggi...

"Dato che io non sono un politico, non capisco questi trionfi a metà, questi trionfi in cui gli sconfitti sono quelli che vincono; questi trionfi in cui, come nel mio caso, mi viene offerto, anzi mi viene ingiunto che, dopo il trionfo della rivoluzione, me ne vada non solo dal mio Stato, ma persino dalla mia patria... Io sono deciso a lottare con tutto e contro tutti senza altro baluardo che la fiducia, l'affetto e l'appoggio del mio popolo, lo faccia pure sapere a tutti; e dica a Don Gustavo (Madero) in risposta a quanto va dicendo su di me, che Emiliano Zapata non si compra con l'oro. Ai compagni che sono incarcerati vittime dell'ingratitudine di Madero, dica loro che non abbiano timore, dato che qui ci sono ancora uomini che provano vergogna e che non perdono la speranza di riuscire a metterli in libertà".

Emiliano Zapata Salazar.
Generale in capo dell'Esercito Liberatore.

Lettera a Gildardo Magaña, 6 dicembre 1911.

Torniamo a parlare ed è solo per ricordare a voi tutti che siamo qui, che non ce ne siamo andati, che continuiamo degni e ribelli. Torniamo a parlare per ripetere...

Democrazia!

Libertà!

Giustizia!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale del Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Ribelle Marcos.

Messico, 8 agosto 1997.


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