La Jornada 4 dicembre 1998
CHIAPAS, RAPPRESENTAZIONE DEL MONDO: SARAMAGO
Juan Manuel Villalobos, speciale per La Jornada, Madrid, 3 dicembre ¤
José Saramago riceverà il prossimo 10 dicembre, in Stoccolma, Svezia, il massimo riconoscimento per la letteratura universale. Sarà la prima volta che si ascolterà la lingua portoghese nell'Accademia Svedese, che ha concesso il premio Nobel allo scrittore lusitano per "aver reso tangibile una realtà fuggitiva grazie alle sue parabole, sostenute dall'immaginazione, dalla compassione e dall'ironia".
Nella sua intervista con La Jornada, Saramago fa un ripasso del suo vissuto recente dopo il conferimento del Nobel e riafferma il suo impegno politico, il suo carattere umanista e la sua condizione di comunista.
- Che le ha dato emozionalmente il Nobel? come ha digerito questo "ampliamento" del suo universo dal passato 8 ottobre?
- Sono stati giorni di profonde emozioni che non posso controllare. Credo che quando tutto questo si tranquillizzerà e quando, entro un mese o magari meno, potrò ricordare e digerire questi momenti, tutto quello che è successo, o almeno l'essenza di tutto ciò, andrà meglio perché adesso la situazione mi supera. Ci sono state così tante emozioni consecutive che non posso rendermi conto di niente, perché non arrivo ad avere tempo per assaporare quello che sta succedendo. Proprio adesso stavo facendo colazione ed ho sentito che qualcuno mi tirava la manica, mi sono voltato ed era una signora che mi diceva: Felice di vederla! Questo mi succede tutti i giorni. Uno ha i suoi limiti ed io i miei, per controllare tutto questo, sono molto stretti. Lettere e lettere, decine, centinaia da Portogallo, Spagna e America fanno che facilmente mi scenda una lacrima. Sono un poco stordito.
Essere un comunista scrittore
- Che sente di aver cambiato da allora?
- Mi sento ogni giorno più ricco di conoscenza, avverto che il mio lavoro, non so se in se stesso, ha troppa importanza. Senza dubbio, sembra che per molti quello che faccio abbia importanza. Ciò mi fa sentire una gran responsabilità.
- Perché crede che per molti sia così importante il Nobel di Saramago?
- Penso che a queste persone piaccia tanto l'opera come l'autore che l'ha scritta. Non è che sia una relazione da lettore a autore, benché sia chiaro che lo è, ma è un vincolo direi quasi di affetto tra il lettore e l'autore, anche senza conoscerci. È come dire, una relazione di affetto con le persone che mi scrivono, che mi fermano per la via. In Lisbona mi suonano il clacson quando mi vedono, si avvicinano non solo per felicitarsi, ma per dirmi grazie. Ed è come se in Portogallo fosse successo qualcosa. Metaforicamente è come se tutto il mondo si rendesse conto, da un momento all'altro, che è cresciuto di due o tre centimetri. È come se tutti dicessero: Sono più alto! E questo è successo a moltissime persone che non mi hanno letto, che non possono leggere perché non sanno leggere, e anche così è come se fosse qualcosa d'importante per loro.
- In Il mito di Sisifo, Albert Camus ha scritto che nel rispetto di un uomo alla sua vita c'è qualcosa di più forte che tutte le miserie del mondo. Che cosa sostiene l'uomo e lo scrittore José Saramago nella sua persistente lotta per combattere quelle "miserie"?
- È che le miserie del mondo sono lì e ci sono solo due modi di reagire di fronte a loro. O capire che uno non ne ha la colpa e pertanto stringersi le spalle e dire che non è nelle proprie mani rimediarlo - e questo è certo -, oppure, assumere che anche se non sta nelle nostre mani la possibilità di risolverle, bisogna comportarci come se così fosse.
- Lei ha dato risalto al fatto che non ha avuto bisogno di smettere d'essere comunista per guadagnarsi il Nobel. I periodici lo citano come "lo scrittore comunista". Che intende Saramago concretamente per essere comunista oggi?
- Primo, non sono un scrittore comunista, io sono un comunista scrittore, che è diverso. Vale a dire che non sono un scrittore comunista che scrive secondo un orientamento politico o ideologico determinato e che utilizza la letteratura per diffondere questo orientamento. Allo stesso modo che c'è una differenza tra essere un giornalista comunista o un comunista giornalista. Per giornalista comunista si intende un giornalista che lavora in un organo di stampa comunista e la sua missione è quella di espandere attivamente quelle idee. In cambio, se si è un comunista giornalista non significa che attivamente tu ti dedichi ad espandere le tue idee nella tua professione. Engels lo aveva molto chiaro, dato che diceva: "quanto meno si nota il messaggio ideologico nell'opera letteraria, meglio è". Ed io aggiungerei, sì, meglio per l'opera, però meglio pure per l'ideologia.
"Adesso, le voglio dare un concetto nuovo per i dibattiti su marxismo e comunismo. C'è qualcosa che io chiamerei comunismo ormonale. È come se gli ormoni determinassero che uno deve essere quello che è, come uno mantenga una relazione stretta con i fatti, con la vita, con il mondo, con la società. È come uno stato dello spirito, cioè, uno è quello che è perché il suo spirito o i suoi ormoni lo determinano così per sempre. Credo che questo sia quello che passa a me con il comunismo. È molto facile cambiare nave quando va a picco la propria. A molti bisognerebbe domandare perché non sono più quello che erano, perché sembra che siamo in molto pochi quelli che manteniamo la fedeltà ai principi, senza dimenticare che nel passato recente ed in nome del comunismo non solo si sono commessi errori, ma pure crimini e uno ha da portarsi tutto questo sulle spalle, anche se non ha responsabilità diretta, perché sarebbe male se io, per il fatto che non sono responsabile diretto, non dessi importanza a ciò.
- Siamo più lontano o più vicino alla costruzione di una società più giusta?
- Siamo più lontano. Nel passato, nonostante errori e crimini, molti credevano che si potesse arrivare ad una società più giusta e che si andasse in questa direzione. Però non si stava facendo e tra le moltissime ragioni per cui si è fallito, è stato anche perché non si può costruire qualcosa di così tanta importanza collettiva, come il socialismo, senza la partecipazione dei cittadini; perché il fatto di immaginare che un partito può dire che ha il potere e che è l'incaricato di organizzare tutto, mentre il resto delle persone non ha altro rimedio che rispettare ciò che si è preparato, è uno sbaglio tremendo. E ciò si paga inevitabilmente con la mancanza di partecipazione dei cittadini, con l'indifferenza. Se a questo si aggiunge la crisi economica, chiaro che le conseguenze inevitabili saranno che tutto ciò affondi, come è affondato.
Positivo, processare Pinochet
"Se c'è qualcosa di positivo in un'idea, al concretizzarla, è quello di creare le condizioni perché tutto il mondo partecipi in ciò e, quando dico partecipare, mi riferisco ad essere parte del dibattito, della discussione, dell'esame dei temi, dei problemi. Perciò, quando dico che siamo più lontano è perché adesso sono molto scarse le persone che nonostante la frustrazione continuano a credere che bisogna tornare a tentarlo. Però per tutto questo c'è da tenere in considerazione il passato ed avere coscienza totale e piena di tutto ciò di negativo che è successo perché non si ripeta."
- Senza dubbio, se si parla di giustizia, per paradosso nel passato non si è mai potuto immaginare un processo contro Pinochet per i crimini in Cile ed, adesso, sembra che la storia voglia correggere questo cammino.
- Sono un poco scettico. Le apparenze dicono che c'è come una specie di onda d'aria fresca che passa per il mondo o per parte del mondo, come nel caso di Pinochet. Bisognerebbe domandarci, in modo indipendente che cosa c'è di positivo in questo caso, che è ciò che porta le grandi potenze a cambiare il loro modo di intervenire nella vita internazionale, in primo luogo, senza spiegarci perché cambiano, senza dirci che obiettivi avevano prima e quali hanno adesso, perché forse se lo facessimo arriveremmo alla conclusione che gli obiettivi sono gli stessi. Quello che succede è che nel passato le mete potevano essere raggiunte meglio, appoggiando e stimolando regimi dittatoriali e adesso sembra che, al contrario, si raggiungano più facilmente con la democrazia o per questo che si presenta lì come se fosse una democrazia.
"D'altra parte, normalmente le masse sono condotte - e i media sono molto responsabili di ciò - da idee generali, da movimenti che a volte non sono nemmeno idee, però sempre con la preoccupazione di occultare le contraddizioni interne delle cose o gli avvenimenti.
"Adesso, chiaramente vedo positivamente che si processi Pinochet e quello che non si può permettere è che si voglia giustificare la sua libertà per ragioni umanitarie, perché ha 83 anni, mentre potrebbe continuare ad essere il dittatore cileno, con questa età, malato e dittatore. E potrebbe continuare ad ammazzare agli 83 anni d'età. Ciò non ha niente a che vedere, né cancella il passato né lo pulisce."
Disprezzo contro una minoranza
- La situazione degli indigeni messicani, i morti di Acteal, le vittime dei paramilitari, il Messico barbaro ha sempre in Saramago una voce di ripudio. Che è quello che scatena la sua enfasi sul Chiapas?
- È che in fondo il Chiapas è la rappresentazione del mondo, perché è un luogo dove si trova praticamente tutto ciò che c'è negativo nel comportamento umano, come il razzismo, la crudeltà, l'indifferenza, il disprezzo contro una minoranza. È come se una parte del Messico stesse dicendo "gli indios sono lì, però non contano". Si vede l'indio come qualcuno che sta lì, solo come un trabocchetto, come un ostacolo che pone problemi per il solo fatto d'esistere. E se abbiamo pensato che il Chiapas ha petrolio, caffè, cacao, non risulta complicato capire che non è un problema tra zapatisti e governo messicano, ma che è un altro luogo dove l'ambizione capitalista ha allungato i suoi artigli. Allora, quando dico che è la rappresentazione del mondo mi riferisco al fatto che situazioni come quelle che si vivono in Chiapas si ripetono in tutto il pianeta. E se a ciò si aggiunge un massacro come quello di Acteal, è naturale e logico che uno si senta implicato ed indignato.
- Come supera il desiderio di parlare di meno, quando il Nobel la obbliga al contrario?
- E' certo che io non posso proseguire così, perché le richieste di opinioni, d'interviste e di atti sono infinite, però neanche posso tacere. Non sono di quelli che si rifugiano in giustificazioni sulla necessità di tranquillità per continuare a lavorare e neppure mi rifugio nella scusa dell'età, non dimenticate che ho 76 anni e la mia energia non è più quella di una volta. E' pure un errore tremendo pensare che perché ho il Nobel, dalla notte alla mattina la mia saggezza sia cresciuta così tanto che io possa parlare di tutto, non posso e non devo. E questo già mi ha creato problemi seri perché io devo concentrarmi nel mio lavoro e da due mesi non scrivo una riga.
- Nelle sue parole per il Nobel, lei ha reso omaggio alla vecchiaia come età creativa. Che significa essere vecchio per José Saramago, quando si rende un culto speciale alla gioventù?
- Essere vecchio è solo avere più anni, aver vissuto di più, avere più cose per dire perché si hanno più cose per ricordare. Credo che se uno arriva alla età in cui si può dire che si è vecchio, il minimo che si può aspettare dalle persone è che si rispetti il suo lavoro, la coscienza ed il diritto a vivere con dignità questa vecchiaia. Senza dubbio, oggi risulta curioso che ci si sente vecchi sempre da più giovani.
"Dal punto di vista dei giovani, a 40 anni sono già vecchi, credo che non sanno e non pensano quello che dicono. D'altra parte, non voglio con questo dire che c'è da rispettare ed ascoltare con molta attenzione i maggiori per il solo fatto che sono maggiori, no; ci sono dei maggiori che non sono niente affatto rispettabili, pertanto, se io penso che è un errore fare della gioventù un valore, neanche vorrei che si pensasse che sto volendo dire che la vecchiaia è un valore, perché non lo è. Valori lo sono, quando lo sono, gli esseri umani, indipendentemente dall'età che hanno."
La fama è niente
- Nei Quaderni di Lanzarote dice che ci sono persone che passano da personaggio a personalità. Senza dubbio, Saramago ha già passato - benché non lo voglia - a far parte della seconda categoria. È questo la fama?
- Sì, sembra che questo sia la fama, però tutto è così relativo. Che è la fama? che è il successo? che è il trionfo? Sembra che sì, che tutto ciò sia qualcosa, però se ci rendiamo conto che abbiamo una vita corta, che addirittura quando è lunga, è per sempre corta, tutto risulta niente. Se consideriamo che l'eternità non esiste e che nemmeno esiste l'eternità nelle cose che facciamo, che tutto è precario, che quello che oggi è domani non sarà, se ci rendiamo conto di tutto ciò, credo che la fama sia niente.
- Ricorda in special modo qualche discorso dei premiati con il Nobel?
- Quello di Albert Camus, che è inevitabile, e quello di Gabriel García Márquez.
- Sarà speciale il suo?
- Non so, lo sapremo al momento, però anche se lo fosse, senz'altro non lo sarà tanto come quelli di Camus e García Márquez.
- Mi dica, per ultimo, che è l'amore per lei?
- A volte dico che in luogo di felicità io credo nell'armonia, penso che l'amore è l'incontro dell'armonia con l'altro, credo che sia ciò.
(a cura del Comitato Chiapas di Torino)
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