La Jornada 3 dicembre 1998

TESTO DEL DISCORSO PRONUNCIATO IL 1° DICEMBRE 1998 DURANTE LA CERIMONIA DI CONSEGNA DEL PREMIO DELLA MEMORIA, CONFERITO ALLE COMUNITÀ IN RESISTENZA DEL CHIAPAS, MESSICO

Festeggiare la memoria di Danielle Miterrand

Una volta ancora siamo qui riuniti per festeggiare la memoria.

La memoria contro l'oblio: contro l'oblio dei crimini, contro l'oblio dei nomi degli assassini.

Le notizie, per una volta, ci hanno permesso di rallegrarci: uno dei boia del nostro secolo, Pinochet, non finirà i suoi giorni tranquillo. Ma non si tratta solo di non dimenticare l'orrore; la memoria è quello che ci permette di tessere, di secolo in secolo, il filo della vita, il filo delle idee che sono arrivate troppo presto, sepolte nell'indifferenza degli spiriti che non erano pronti a riceverle.

Da quanti secoli gli uomini si alzano, uno dopo l'altro, per proclamare l'idea di una umanità più giusta, più fraterna, liberata dal giogo dell'oppressione e dell'ingiustizia dei potenti? Da quanti secoli gli uomini mettono la vita al servizio di una visione più gaia dell'umanità? Da quanti secoli gli uomini si sacrificano per la giustizia e la libertà? Da Spartaco a Marcos, passando per San Francesco d'Assisi, Victor Hugo, Louise Michel, Victor Shoelcher o Rigoberta Menchù, quanti uomini e donne hanno consacrato la loro vita per ripetere che tutti gli uomini hanno il diritto a vivere liberi, in armonia con i propri simili e con la natura?

Eppure, da secoli ci sono forze che si oppongono.

Festeggiando questa sera la memoria, abbiamo convocato qui le forze dello spirito che, nel brevissimo spazio di una vita, hanno incarnato in carne ed ossa uomini e donne. Manifestiamo non solo il nostro orrore per i boia, ma festeggiamo gli spiriti di tutti coloro che nei secoli precedenti ci hanno permesso di essere oggi quello che siamo e di concepire, per l'umanità di oggi, la necessità assoluta dell'universalità dei diritti dell'uomo.

Quelli che onoriamo questa sera, gli indigeni del Chiapas, sono più di noi, senza dubbio, legati ai loro morti, sanno quanto devono ai loro antenati: una riflessione sulla vita, sul mondo, una conoscenza della natura, delle sue leggi, dei suoi pericoli e dei suoi doni, una concezione dell'uomo legato ai membri della sua comunià ed inscritto nel grande ciclo del cosmo. Le comunità chiapaneche, ci racconta Marcos, consultano i loro antenati quando si avvicinano le macchine da guerra dell'Esercito Messicano, vanno sulla montagna ad ascoltare le voci delle "scatole parlanti". E che cosa dicono queste voci? Che la guerra non è un'arma, che la parola e la negoziazione sono sovrane e che quando i potenti mentono, quando fingono di tendere la mano mentre tendono tranelli, bisogna ritirarsi nel silenzio. Questi uomini e queste donne sono portatori di una saggezza millenaria che oggi viene assassinata in Chiapas, nel sud-est del Messico, paese moderno o che crede di esserlo, democratico o che crede di esserlo. Sono i discendenti di una delle più alte civiltà dell'antichità, i maya, che oggi sono ridotti alla fame e alla morte.

Perché? Perché i potenti ambiscono a possedere la loro terra, perché il governo messicano, entusiasta degli esperti economisti di Chicago, vorrebbe vedere tutti i messicani uniformarsi come un sol uomo nella grande parata neoliberista, diventando individualisti, maleducati e "prestanti" come ordina lo spettro dell'uomo moderno e dinamico con il quale ci riempiono le orecchie.

Ma gli indigeni chiapanechi non vogliono diventare individualisti: hanno sempre vissuto in comunità, hanno sempre sfruttato collettivamente la loro terra, hanno sempre praticato la solidarietà ed il mutuo soccorso. Nessuno di loro lascerebbe morire di freddo un vecchio mendicante, perché tra loro non esistono mendicanti nonostante la spaventosa miseria. Essi non vogliono diventare delle "performance" e sfruttare la natura contro il buon senso fino a che le generazioni future si mordano le dita nel vedere che è troppo tardi per salvarla e che non si può più fare nulla; perché essi hanno vissuto sempre nel rispetto della natura, in accordo con le sue leggi, in una comprensione profonda dei suoi bisogni. Con loro, non si sarebbero nutrite le mucche con prodotti a base di carne, non si sarebbe inventato il terrore della "mucca pazza" con il miraggio del profitto.

Le comunità indigene del Chiapas resistono con tutta la loro forza, non per limitatezza di spirito e conservatorismo, ma perché la modernità presentata loro come il massimo, non gli piace. In questa modernità essi vedono spuntare la "legge della giungla" e dal loro osservatorio privilegiato sanno che cosa è la giungla e l'orrore che si nasconde in essa.

Conferiamo con gioia questo Premio della Memoria a coloro i quali lottano, come noi, contro il neoliberismo e per l'umanità. Perché il futuro dell'umanità, per loro come per noi, è in pericolo e perché è compito di tutti, di qua come di là dell'oceano, coltivare le forze dello spirito che l'hanno fatta vivere.


(a cura del Comitato Capitana Maribel di Bergamo)



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